sabato 2 maggio 2015

Ungheria a Venezia.

Dal 9 maggio al 22 novembre Venezia ospita la 56° Mostra internazionale di Arte contemporanea.
Tra i Paesi ospitati c'è anche l'Ungheria con “Identità sostenibili” (padiglioneGiardini 22), mostra interattiva del quarantottenne artista ungherese Cseke Szilárd. Un'occasione imperdibile.
German Kinga ha curato la mostra; commissario del padiglione è Balatoni Monika con i commissari aggiunti Puskás István, Fodor Sándor e Karády Anna.

Un'occasione imperdibile, preceduta da due altri eventi filo-ungheresi a Venezia.

Il 5 maggio (h. 18, Teatro ai Frari) c'è la presentazione del libro della linguista e magiarista Cinzia Franchi. Il libro, L'arancia ungherese. La letteratura in Ungheria negli anni Cinquanta (Lithos, 2014), affronta il periodo più buio dell'Ungheria post-bellica, recuperando quella letteratura che darà frutti nel magnifico e terribile '56. In quegli anni si afferma il modello stalinista in Ungheria, in versione nazionale: un agrume clonato, “la nuova arancia ungherese. Un po' gialla, un po' aspra, ma è la nostra”. Il titolo del libro evoca il frutto protagonista del film di Bancsó Péter, A tanú (Il testimone), ambientato negli anni Cinquanta.

Il 6 maggio (h. 18 e 19.45, Cinema Giorgione), viene proiettato il film di Mauro Caputo, L'orologio di Monaco, già presentato a Udine (v. post 24 marzo '15). Sarà presente anche lo scrittore italo-ungherese Giorgio Pressburger: il film-documentario è tratto da una sua raccolta di racconti.
Ecco come il critico Paolo Mereghetti descrive il film.
L’orologio di Monaco di Mauro Caputo conduce lo spettatore a condividere con intelligenza e partecipazione il mondo di ricordi e di riflessioni di Giorgio Pressburger, un mondo che si snoda attraverso mezza Europa e che incrocia personaggi celebri (da Heine a Mendelssohn, da Marx a Husserl al regista Emeric Pressburger, tutti legati ai suoi antenati) e persone comuni, momenti drammatici (Pressburger fuggì dall’Ungheria nel 1956, la sua famiglia subì le persecuzioni naziste) e pause di riflessione. Ma questo viaggio nel tempo e nella memoria non ha mai l’arroganza o l’orgoglio di chi vuole trasformarlo in vanto ma piuttosto la dolcezza e la delicatezza di chi sa che «i miti ci visitano fino a che, a un certo punto, come sono nati, svaniscono».

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