lunedì 27 maggio 2013

Ungheresi e battaglia di Magenta.

La battaglia di Magenta in un quadro
del pittore italo-svizzero Carlo Bossoli
A scuola la battaglia di Magenta è ricordata come episodio significativo del Risorgimento. L’esito dello scontro al confine tra Piemonte e Lombardia (a pochi chilometri da Milano) tra il Regno di Sardegna, aiutato dall’Impero francese (in totale, oltre  47mila soldati), e l’Impero Austriaco (quasi 56mila armati), portò all’unione della Lombardia al Piemonte, avviando l’Unità d’Italia.

Però, quando ero bambino la “battaglia di Magenta” era un gioco con filastrocca. Entrare così nell’immaginario popolare, e restarci oltre un secolo, significa un impatto speciale. Quale?
Non poteva essere solo l’esito, positivo per gli italiani, di un episodio ricordato oltretutto con retoriche opposte. Bellica: “Nella fausta ricorrenza del primo centenario della battaglia di Magenta, l’Eminentissimo Cardinale Giovanni Battista Montini, Arcivescovo di Milano, ha inaugurato la facciata di questo tempio eretto in memoria di tutti i soldati gloriosamente caduti”, recita una lapide nella Basilica di Magenta. E antibellica: “Ossa di soldati spenti nella giornata 4 giugno 1859: Francesi, Austriaci, Italiani. Cristiani creati per amarsi, si trucidarono negli orrori della guerra, vittime di superstite barbarie” è scritto sull’ossario di Robecco sul Naviglio.
Probabilmente tale impatto fu conseguenza della grande impressione suscitata nella popolazione e dall’eco internazionale. Secondo il corrispondente di The Times, Nandor Eber, l’impressione dopo la battaglia fu penosa, simile all’Inferno di Dante: “Una carneficina che si estendeva sopra diverse miglia quadrate, duemila morti o morenti sparsi intorno (…) Era uno studio anatomico, anzi uno studio lugubre pel più tetro pittore di orrori. (…) In tutti i punti, ove la pugna era stata più ostinata, … sembravano l’avanzo di una gran fiera di cenci.
Addirittura, in Francia fu battezzato un nuovo colore, il “Rosso Magenta” (uno dei 4 colori primari usati nella stampa offset), sull’onda del clamore della grande e terribile battaglia: chi dice a ricordo del sangue versato per la vittoria (in totale, oltre 2.000 morti e circa 8.000 feriti), chi del colore dei pantaloni degli zuavi.

In questa seconda guerra d’indipendenza, gli italiani combatterono su entrambi i fronti.
Alcuni inquadrati nell’Esercito Austriaco (ancora nel 1900, alcuni magentini furono decorati con la medaglia coniata per il 50° del regno di Francesco Giuseppe).
Altri – non solo piemontesi, ma tanti volontari tra cui molti lombardi – nell’Esercito Sardo. Anche la popolazione era divisa: specie nelle campagne e tra il clero erano diffusi i cosiddetti “austriacanti”, contrari all’Unità d’Italia.
È meno noto invece che anche gli ungheresi combatterono nelle fila delle due parti contrapposte.
Molti erano inquadrati con l’Austria, in particolare gli abili cavalieri ussari. Ungherese era addirittura il comandante delle Armate austriache in Italia (nonché Vicerè del regno Lombardo-Veneto), il conte Ferencz Gyulaj.
Ma un buon numero militò anche nell’esercito sardo, soprattutto nella Legione ungherese Klapka (5 battaglioni), formatasi nel giugno 1859, che arrivò a contare circa 3.200 uomini. Si trattava di emigrati, ex soldati o ufficiali nell’esercito ungherese del 1848-49, o disertori dell’esercito austriaco.
Insomma, amor patrio e libertà accomunarono nel Risorgimento italiani e ungheresi che volevano ottenere l’indipendenza e la libertà dagli Asburgo.
Già nel 1849 una Legione italiana di 1.100 soldati comandata dal colonnello Alessandro Monti aveva combattuto in Ungheria. Allo stesso tempo, due legioni ungheresi si formarono in Italia per partecipare alla prima guerra d’indipendenza. Una di 110 soldati guidati da István Türr in Piemonte, l’altra di 60 uomini – costituita a Savona nel 1848 –  comandata da Lajos Winkler a Venezia.
E nel 1860 al seguito di Garibaldi gli stranieri più numerosi furono gli ungheresi (circa 350), assieme ai francesi.
Ma l’ungherese più importante in Italia, durante il Risorgimento, fu Lajos Kossuth. Guidò la rivoluzione ungherese del 1848 e l’anno dopo fece proclamare dall’Assemblea l’indipendenza dell’Ungheria e la decadenza degli Asburgo. Quando la rivoluzione fu stroncata dall’esercito russo e dalla repressione austriaca, Kossuth andò in esilio in varie città europee (gli ultimi decenni della sua vita li trascorse a Torino), diventando capo dell’emigrazione politica magiara e coltivando i rapporti con i movimenti indipendentisti ungherese, polacco e italiano. Il suo obiettivo era l’indipendenza dall’Austria dei popoli danubiani, legando la questione magiara a quella dell’indipendenza e unità italiane. In tal senso, e con l’aiuto di altri ungheresi (György Klapka, Lázló Teleki, Ferencz Puiszky ecc.), cercò accordi con la Francia e il Piemonte, ed ebbe contatti con Garibaldi per preparare uno sbarco in Dalmazia. In particolare, nel 1859 promosse la costituzione della legione ungherese, di stanza ad Acqui e a Genova, che dall’Italia doveva dirigersi in Ungheria (nello stesso anno un Reggimento di ussari, guidati da Gregory Bethlen, si formò a Piacenza). L’obiettivo fallì, ma nel 1866 l’Impero Austriaco dovette concedere una costituzione ed istituzioni liberali, pattuire una parificazione (in tedesco Ausgleich) con i magiari, e il nome dello Stato cambiò in Austria-Ungheria a seguito di un accordo di compromesso (in ungherese Kiegyezés) nel 1867.
Altri ungheresi di spicco in Italia furono i comandanti della “Brigata Eber” istituita da Garibaldi in Sicilia nel 1860: il citato Nandor Eber e Lajos Tüköry (che morì nell’assalto di Palermo). E ancora István Türr, distintosi nella spedizione dei Mille (fu protagonista a Talamone, dove i garibaldini si impossessarono di armi, e poi governatore di Napoli). Anche nella terza guerra d’indipendenza (1866),  Türr fu con Garibaldi, che lo incaricò di preparare una nuova insurrezione in Ungheria, senza seguito per il mutato quadro politico. Fu nominato aiutante di campo onorario di Vittorio Emanuele II e nel 1888 gli fu accordata la cittadinanza italiana.
Gustáv Frigyesy, Daniel Ihasz, Adolf Magyarody, Sándor Teleki furono altri ufficiali ungheresi tra i garibaldini.

I francesi sopportarono il peso maggiore della battaglia e per ricordarla fondarono Ville de Magenta, sulla Marna. Il Comune di Magenta è gemellato con questo piccolo comune della Champagne dal 2009.
Sarebbe una bel gesto se Magenta – per rinsaldare il legame risorgimentale che ha visto affratellati italiani e ungheresi per libertà e pace  – si gemellasse con una città ungherese, magari per il 155° anniversario della battaglia.
Un’idea analoga venne al Prevosto Don Cesare Tragella, a Magenta dal 1884 al 1910. Egli avrebbe voluto dedicare nella Basilica una cappella espiatoria per tutti i soldati morti nella battaglia di Magenta, ma opportunità della Chiesa glielo impedirono. In particolare, pensava alla cappella della Madonna (dal 1911 chiamata Madonna del Rosario), rappresentata come “Regina della Pace”. Essa e Gesù bambino porgono due piccole medaglie ungheresi, su una delle quali c’è scritto: Sancta Maria Mater Dei Patrona Hungariae, Santa Maria Madre di Dio Patrona d’Ungheria.

LETTURE
§         Mario Comincini, L’Est Ticino e il 1859, inCURIA PICTA 2009
§         Attilio Vigevano, La legione ungherese in Italia (1859-1867), Libreria dello Stato 1924
§         Ufficio Storico del Comando del Corpo di Stato Maggiore, La guerra del 1859 per l’indipendenza d’Italia, Roma 1910
INTERNET
L’eco della Battaglia nella Basilica di Magenta

venerdì 24 maggio 2013

EUROVISIONE: Ungheria "Kedvesem".

L’Eurovision Song Contest è una delle poche possibilità che offre la tv di ascoltare canzoni in altre lingue (ma anche lì l’inglese la fa da padrone). Questo concorso canoro è uno dei più duraturi programmi televisivi - si svolge dal 1956 - ed ogni Paese seleziona un’artista partecipante. Alla finale di quest’anno – a Malmö in Svezia – hanno partecipato 26 paesi, tra i quali l’Italia (7° posto a Marco Mengoni col brano L’Essenziale) e l’Ungheria (10°). Ha vinto la Danimarca, con con la canzone Only teardrops, interpretata da Emmelie de Forest, davanti all’Arzebaigian e all’Ucraina. Lo slogan dell’edizione 2013 è stato We are one, il logo scelto: una farfalla multicolore.
L’Italia ha già vinto due volte: nel ’64 con Gigliola Cinguetti (Non ho l’età) e nel ’92 con Toto Cotugno (Insieme). Inoltre, l’Italia ha ospitato la finale nel ’65 a Napoli e nel ’91 a Roma, L’Ungheria non ha mai vinto e finora non ha ospitato una finale.
Quest’anno l’artista ungherese è stato ByeAlex (vero nome Márta Alex), un giovane cantante indie-pop di 29 anni, con la canzone Kedvescem (la mia amata). Questa canzone dolce (per alcuni, troppo) si è piazzata quarta nelle selezioni ungheresi (A Dal, la canzone), dopo i brani di Gigi Radics, Tamás Vastag, Kállay Saunders, ma poi è stata premiata dal televoto.
Il testo (qui tradotto in anteprima) è una romantica dichiarazione d’amore di un innamorato, accompagnato da una musica semplice e accattivante che potete ascoltare su Youtube.


giovedì 16 maggio 2013

Gemellaggi Italia-Ungheria

I gemellaggi coinvolgono oggi oltre venti mila enti locali europei. L’Italia è al terzo posto, con quasi circa 2.800 gemellaggi (su otto mila comuni): 77 sono con l’Ungheria (v. elenco); in testa l’Emilia-Romagna, con 22 comuni e 3 province. Ancora più alta la percentuale di gemellaggi in Ungheria: sono oltre 1.700, su 3.152 comuni.
Oltre ai gemellaggi istituzionali, con tutto il mondo, ci sono anche quelli tra associazioni (sportive, culturali) e tra scuole (gemellaggi elettronici), oggi resi più facili da internet e incentivati dall’UE.
Come nascono e cosa rappresentano i gemellaggi, questa sorta di scambi culturali?
Liberté, Egalité, Fraternité è il motto – nato dalla Rivoluzione francese (1798) – che fonda le moderne democrazie e i diritti fondamentali dei cittadini. Da questa radice sono emerse due diverse concezioni dello stato, l’una liberale centrata sul principio di libertà e l’altra socialista centrata sul principio di uguaglianza. La contrapposizione tra queste appare superata, ma il mondo è ancora in cerca di un modello valido che combatta le disuguaglianze e insieme estenda le libertà.
Il principio di fraternità - “Non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi; fate costantemente agli altri il bene che vorreste ricevere” - è rimasta in ombra. Ma dopo la tragedia di due guerre mondiali originate dall’Europa, forse si è compreso che occorre coltivare anche questo sentimento di solidarietà.
Sono i federalisti, che sognano l’Unione Europea, a fondare il Consiglio dei Comuni d’Europa (1951) per rafforzare la coesione delle autonomie locali. Così nascono i primi “gemellaggi”, che coinvolgono la gente comune, per mantenere la pace e sviluppare l’amicizia tra i popoli. Le comunità locali gemellate instaurano legami di solidarietà basati sulla conoscenza reciproca, lo scambio di esperienze, il dialogo e la cooperazione su questioni importanti del nostro tempo (ambiente, lavoro, beni comuni, giovani, inclusione sociale).
Da allora quell’idea ha fatto molta strada. Ma occorre una nuova forza propulsiva per fondare una piena cittadinanza europea e politiche di cooperazione: le istituzioni politiche europee devono essere espressione diretta del suffragio popolare; il modello europeo va ripensato per essere socialmente e ambientalmente sostenibile. Intanto, piccoli europeisti crescono ... con i gemellaggi.
Ma, in tempi di crisi europea, ci si può occupare di cultura e solidarietà? Forse è proprio la soluzione.


martedì 14 maggio 2013

Conosci l'ungherese.


Kecskére bízza a káposztát. 1001 magyar
közmondás és szólás. (copertina)

Ahány nyelvet tudsz, annyi ember vagy, “quante lingue sai, tante persone sei”. Questo bel proverbio ungherese evidenzia l’esperienza intellettuale fatta da chi conosce un’altra lingua.
Già Leopardi riteneva che la conoscenza di più lingue rendesse più chiaro il pensiero. Non esiste una lingua in cui la parola sia capace di rendere sensibile tutte le proprietà del pensiero. Ciò che risulta poco esprimibile in una lingua può diventare più comprensibile in un’altra. “Noi pensiamo parlando”, sosteneva Leopardi: senza le parole adatte non possiamo neanche esprimere pensieri compiuti.
Ciò significa anche che le lingue incorporano memorie e culture dei popoli. L’Unione Europea sarà un progresso se, oltre che pienamente democratica, saprà salvaguardare le sue lingue, esito di una lunga storia, ricca di diversità e contaminazioni.
Da pochi anni raccolgo proverbi e detti ungheresi per tradurli. Un esercizio di autoapprendimento che si è rivelato anche uno stimolante viaggio nel pensiero. Questa raccolta è diventata un libro, Affida il cavolo alla capra. 1001 proverbi e detti ungheresi (cm 15x21, 152 pp, Youcanprint, € 9,90), per chi desidera avvicinarsi in modo facile e divertente all'ungherese: lingua originale, traduzione fedele, equivalenti italiani. Non è solo una raccolta (con note, curiosità e indici analitici), ma anche una mini-guida alla lingua ungherese: grammatica, sintassi, pronuncia.
Il libro bilingue è disponibile nei principali book store online: Amazon, Feltrinelli, IBS.it ecc. Può anche essere ordinato nel network di oltre 1.350 librerie, comprese IBS e Feltrinelli. Le librerie possono richiedere il libro in conto vendita. L'elenco delle librerie e un'anteprima del libro sono su www.youcanprint.it

Benvenuti italiani e ungheresi

Magyar–Olasz Kulturális Évad 2013 (logo)
Üdvöslöm a magyarokat és az olaszokat.
Gli italiani sono circa 60 milioni, il 95% parla la lingua italiana; nel mondo circa 62 milioni di persone hanno come lingua madre l’italiano.
Gli ungheresi sono circa 10 milioni, il 95% parla la lingua ungherese; nel mondo circa 14 milioni di persone hanno l’ungherese come lingua madre.
Questo blog è dedicato a coloro che sono attratti o solo incuriositi dall’originalità e dal fascino della lingua e della cultura magiare. Uno spazio non limitato ai 24 lettori manzoniani, ma che aspira a incuriosire un buon numero di persone interessate.
Circa un milione di turisti ogni anno si muovono tra Italia e Ungheria: due su tre sono italiani, un terzo ungheresi. Poi ci sono circa 10mila ungheresi residenti in Italia. E ancora: ci sono centinaia di universitari italiani che studiano l’ungherese, e migliaia di ungheresi che studiano l’italiano, in scuole di ogni ordine e grado. Infine, i gemellaggi: circa ottanta enti locali italiani (oltre 2 milioni di abitanti) sono gemellati con altrettanti comuni o province ungheresi.
Insomma, questo blog ha un bel potenziale di lettori e commentatori: italiani, ma anche ungheresi, i quali apprezzano la bellezza e la cultura del Bel Paese più degli italiani stessi.
Il 2013 è anche, per decisione dei governi, Anno Culturale Ungherese-Italiano. Questo blog è un piccolo ponte per favorire lo scambio interculturale e l'amicizia tra i due popoli.