lunedì 25 novembre 2013

L’inno ungherese ufficiale (e quello non).



1° pagina manoscritta di Himnus
Nel post del 4 novembre ho accennato alle particolari tradizioni funerarie di Szatmárcseke, un paesino (falu)  di ca. 1.500 abitanti in provincia di Szabolcs-Szatmár-Bereg, nell’Ungheria nord-orientale. 
Questo falu è conosciuto anche per aver dato i natali all’autore  dell’inno ufficiale dell’Ungheria (dal1845): Kölcsey Ferenc (1790-1838), padre del liberalismo ungherese, poeta e critico letterario. Kölcsey nel 1823 ha scritto la poesia Himnusz, che diventerà – con la musica di Erkel Ferenc (1810-1893) – l’inno nazionale ungherese.
La storia e il testo dell’inno (in ungherese) lo trovate sul relativo sito.

Ecco la traduzione in italiano (di Paolo Agostini) delle prima strofa:

Benedici Iddio il Magiar,
con dovizie e buon umor,
su di lui stendi Tua man,
se combatte l’invasor;
sorte avversa chi subì,
goda alfin anni miglior,
Già il Magiar espiò
della storia amaro duol!

Ed ecco il video più cliccato per ascoltare l’inno ufficiale ungherese.

Ma nel terzo millennio l’inno ufficioso più amato dagli ungheresi sembra Magyarország (Ungheria), che si può ascoltare in quest’altro video.
Cantato dalla popolare Oláh Ibolya, su una celebre musica del Cirque du Soleil (Alegría), questo brano ebbe un immediato successo alla sua prima uscita nel 2005. Lo fece proprio il governo socialista di allora, ma se ne appropriò anche il centrodestra che vinse le elezioni nel 2009.
Eccone in anteprima la traduzione in italiano (a mia cura, non bella ma fedele):

-         Magyarország (testo ungherese/italiano)

giovedì 21 novembre 2013

Il Rinascimento sul Danubio.



Palazzo d'estate (Visegrád)
Il Rinascimento (XIV-XVI secolo) è un’epoca di risveglio artistico e culturale tra Medioevo ed età Moderna che si sviluppa a Firenze e si irradia in tutta Europa all’inizio del XVI secolo, influenzando con l'umanesimo le idee correnti.
Fa eccezione l’Ungheria, dove l’influenza rinascimentale si afferma già nel XV secolo subentrando a ideali e arti gotiche. Questa anticipazione la si deve soprattutto alla Regina d’Ungheria, Beatrice d’Aragona – nata a Napoli e figlia del re Ferdinando I – e al suo consorte, Mátyás (Mattia Corvino, 1440-1490), Re d’Ungheria dal 1458 alla morte.
Alla corte di Re Mattia furono invitati artisti e letterati italiani (Antonio Bonfini, Galeotto Marzio, Naldo Naldi e altri), e fu creata la celebre Biblioteca Corviviana – seconda in Europa solo a quella vaticana – dove furono raccolti migliaia di codici (ne sono rimasti solo 216) su tutto il sapere umano. Artisti italiani andarono ad ispirarsi sulle rive del Danubio, come il pittore perugino Tommaso Musolino da Panicale (v. post del 2 ottobre).
E naturalmente artisti ungheresi vennero in Italia, come Mihály Pannóniai (Michele Orango/Michele Pannonio), pittore alla corte degli Estensi di Ferrara. A Ferrara studiò anche, alla celebre scuola di Guarino Veronese, Janus Pannonius (1434-1472), il più importante poeta umanista ungherese, che divenne anche vescovo a Pécs.
Influenze si ebbero anche sulle lavorazioni della pietra tagliata, dei mobili, della ceramica (Mattia fondò a Buda la prima fabbrica di ceramiche), e si sviluppò anche la stampa (nel 1473 venne fondata da András Hess la prima tipografia a Buda).
Non fu tutto rosa e fiori: le nuove idee dell’umanesimo vennero combattute perché tacciate d’immoralità e scarsa religiosità dai monaci francescani di Buda (Temesvári Pelbart e Laskai Osvát), che trovarono larghi consensi.
Molte tracce dello splendido passato rinascimentale ungherese sono andate perse, ma restano ancora testimonianze mirabili (come il cortile rinascimentale del Palazzo d’estate di Visegrád, a pochi chilometri da Budapest, o la cappella di Bakócz a Esztergom).

Ben venga dunque la lodevole iniziativa del Consolato Generale d’Ungheria a Milano che, in collaborazione con la Biblioteca Ambrosiana, promuove la mostra “Artisti, poeti e intellettuali del Rinascimento sulle rive del Danubiodal 4 dicembre ’13 al 2 febbraio ’14. All’inaugurazione parteciperanno il poeta Szőcs Géza e Csorba Csilla, direttrice del Museo Letterario Petőfi (Budapest), oltre a Mons. Franco Buzzi e Don Federico Gallo.

-          BibliotecaAmbrosiana
-          Petőfi Irodalmi Múzeum

martedì 19 novembre 2013

Diversità culturale e biologica s'incontrano a Firenze.



“La diversità culturale è necessaria per l’umanità quanto la biodiversità per la natura.” (dalla dichiarazione dell’UNESCO del 2 novembre 2001). Tali diversità sono dunque un valore e un patrimonio da preservare, per assicurare a noi e ai nostri discendenti un futuro socialmente e ambientalmente sostenibile.
Queste considerazioni erano solo latenti nei pensieri miei e dell’amico Giulio Rosetti, quando abbiamo pensato di organizzare a Firenze un incontro pubblico per promuovere la diversità culturale (kulturális sokszínűség) e la diversità biologica (biológiai sokféleség).
Giulio sta già promuovendo i prodotti agricoli biologici, in particolare olio e vino, dell’azienda toscana Dalle nostre mani, fondata con l’amico d’infanzia Lapo Tardelli. Prossimo appuntamento: sabato 30 novembre ore 18 alla Cascina Cuccagna di Milano.
Dal canto mio, cerco di contribuire a promuovere – attraverso questo blog e il libro sui proverbi ungheresi – la lingua e la cultura magiara.
Ma quando parliamo di lingua e di gusto, vengono in mente diversi significati: legati sia ai saperi che ai sapori (ungh. rispettivamente tudások e ízek). Così è diventato naturale associare i due percorsi e promuovere un incontro conviviale: “Parla come mangi/ Beszélj úgy, ahogy eszel, che si terrà venerdì 6 dicembre (h. 21, cena+lettura € 20 con prenotazione) presso l’enoteca-gastronomia Vivanda in via Santa Monaca n. 7, nel quartiere San Frediano di Firenze.
Là presenterò la mia raccolta bilingue di proverbi e detti ungheresi, in tandem con Giulio che dal canto suo presenterà i vini e l’olio nuovo della sua azienda.

L’ingresso è libero, con degustazione gratuita. Sono invitati gli amministratori del Comune di Firenze (città gemellata con Budapest), il Console onorario d’Ungheria, l’Associazione culturale italo-ungherese della Toscana e tutti i cittadini interessati.
Egészségünkre! (Alla nostra salute!).

-          il locale
-          il libro

lunedì 18 novembre 2013

La storia comune di Croazia e Ungheria.



Biblioteca Statale - Trieste
L’infaticabile coppia di mediatori culturali italo-ungheresi Gizella Nemeth e Adriano Papo animano, in quel di Duino (vicino a Trieste), il Centro studi Adria-Danubia, nonché due associazioni culturali: Sodalitas e “Pier Paolo Vergerio”. 
Due settimane fa erano all’università di Szeged (terza città dell’Ungheria) per presentare due loro libri: Ungheria. Dalle cospirazioni giacobine alla crisi del terzo millenio e La via della Guerra. Italia e mondo adriatico-danubiano alla vigilia della Grande Guerra (entrambi per le Ed. Luglio, San Dorligo della Valle 2013).
Questa settimana, invece, apriranno a Trieste “Adria-Danubia - 2° Festival di storia e cultura”, con interventi di studiosi e ricercatori italiani, croati, ungheresi. Sono previsti due convegni internazionali, presso la Biblioteca Statale di Trieste: “Croazia e Ungheria: otto secoli di storia comune” (giovedì 21); “La via della guerra. Eserciti e fortificazioni alla vigilia della Grande Guerra” (venerdì 22). Sabato 23 a Duino ci sarà un incontro letterario e musicale: “Le lacrime e il sangue delle battaglie”, a cura di Antonio Sciacovelli e Balázs Barták, con l’intervento dei giovani allievi del Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico.
Tra le varie collaborazioni pubbliche e private, nell’ambito dell’Anno culturale italo-ungherese 2013, da segnalare la presenza dell’Università dell’Ungheria occidentale, Polo di Szomathhely.

giovedì 14 novembre 2013

Capa, padre del fotogiornalismo in mostra.



The Falling Soldier (Robert Capa)
I fotoreporter contemporanei devono molto a Robert Capa.
Era ungherese e in realtà si chiamava Ernő Friedmann Endre (1913-1954). Nel ’31 fu esule dall’Ungheria e cominciò in Germania la sua carriera. Nel ’36 scelse lo pseudonimo di Robert Capa, con cui firmò una dei suoi più noti reportage fotografici: quello sulla guerra civile spagnola (1936-37), con la celebre foto del “miliziano caduto” (The Falling Soldier). Nel ’38 quelle foto furono raccolte in un volume, ideato dall’amico ungherese Kertész André, che Capa dedicò alla donna della sua vita, la fotografa tedesca Gerda Taro, uccisa sul fronte spagnolo l’anno prima.
Poi fu in Francia e negli USA. Nel ’47 fondò – con Henri Cartier-Bresson, George, Rodger, David Seymour – l’agenzia fotografica indipendente Magnum, che diede nuova dignità al fotogiornalismo. Morì su una mina in Vietnam nel ’54: a soli quarantun’anni aveva già scattato 70mila foto.

Il Museo di Roma Palazzo Baschi, nel centenario della morte, dedica una mostra a 78 suoi scatti in bianco e nero durante la II guerra mondiale (soprattutto come fotoreporter di Life): “Robert Capa in Italia 1943-1944”. La mostra – curata da Legyel Beatrix del Museo nazionale ungherese è aperta fino al 6 gennaio 2014, poi sarà a Firenze dal 10 gennaio al 30 marzo 2014.
Più ricca e interessante la mostra “Robert Capa / A Játékos” (Il Giocatore), in corso fino al 12 gennaio 2014 presso il museo nazionale di Budapest (Magyar Nemzeti Múzeum), che cinque anni fa acquistò la serie Robert Capa Masyter Selection III dall’International Center of Photography di New York, che custodisce l’eredità fotografica di Capa.

Mostre a Firenze nell’anno culturale italo-ungherese.
  • Fino al 6 gennaio 2014 a Firenze (Museo di San Marco) è aperta la mostra Mattia Corvino e Firenze. Arte e umanesimo alla corte del re di Ungheria”, sui rapporti tra il re ungherese e l’Umanesimo di Firenze.
  • Ancora a Firenze (ex chiesa di San Scheraggio), è aperta fino al 30 novembre la mostra “Gli autoritratti ungheresi degli Uffizi”, 23 opere della Collezione degli autoritratti della Galleria degli Uffizi. L’esposizione è dedicata alla memoria di Boskovits Miklós, storico dell’arte ungherese scomparso nel 2011, dal ‘68 docente nell’ateneo fiorentino.
  • Sempre a Firenze (Villa Finaly) era aperta solo ad ottobre la mostra “Budapest Amore Mio” di Ottò Kaiser. All’inaugurazione ha partecipato, tra gli altri, Tarlòs Istvàn sindaco di Budapest, città gemellata con Firenze.
  • Non è più a Firenze (era in ottobre al Palazzo Medici Riccardi), ma gira per l’Italia, la mostra “Le case della memoria italiane e ungheresi: una risorsa condivisa per la cultura”. Si tratta di pannelli che illustrano la rete italiana e quella ungherese di case-museo, luoghi che hanno ospitato personaggi illustri. C’è un catalogo trilingue della mostra (inglese, italiano, ungherese), che si può ancora vedere a Lastra a Signa (fino al 17 novembre), a Roma (21 novembre – 8 dicembre), a Modena (21 dicembre – 6 gennaio). Poi andrà in varie città dell’Ungheria.
-         la mostra di Capa
-         le case della memoria

domenica 10 novembre 2013

Questo blog e l'amicizia.



Provenienza del pubblico di questo blog.
Questo blog ambisce ad essere un piccolo ponte tra due culture. Mettendo a disposizione di tutti informazioni e dati (selezionati secondo il criterio: tutto ciò che mi sembra interessante per la conoscenza reciproca tra i due popoli), vorrei contribuire a costruire e rafforzare legami tra persone italiane e ungheresi (in tutte le parti del mondo). Anche un legame solido e duraturo come l’amicizia.
Ma cosa significa amicizia?
Questo sentimento è universale, ma non così antico e radicato nella “natura umana” come si potrebbe pensare.
Infatti, nelle tante lingue indoeuropee la formazione delle parole “amico” o “amicizia” ha seguito strade differenti.
Per esempio, l’italiano “amico” deriva dal latino amicus che ha la medesima radice di amare. E così in altre lingue romanze: ami (F), amigo (SP e P). Il rumeno prieten, però, è un prestito dalle lingue slave.
Il tedesco freund e lo sloveno prijatelj hanno radici nell’antico tedesco fridel, col significato di “amante, sposo”.
Invece, l’ungherese barát (amico; barátság, amicizia) deriva dall’antico slavo bratŭ (fratello) con evidente richiamo ai legami parentali. Nel ceppo ugrofinnico ci sono differenze: in finlandese “amico” si dice ystävä, mentre in estone sõber.
Va notato che nelle lingue occidentali l’idea di “amico” trae origine da legami parentali (una persona amata), mentre in quelle orientali da un “compagno” senza riferimenti all’ambito familiare.

Tra gli antichi greci non c’era una netta distinzione tra amore e amicizia: “amore” era declinato in sette diversi sensi, tra cui quello della philia (affetto e piacere reciproci). Aristotele introdusse una differenza più netta, e distinse tre tipi di amicizia a seconda dell’origine (piacere, interesse, bontà).
Nell’antico mondo romano l’amicizia era considerata una manifestazione della volontà, anziché – come oggi – un sentimento involontario, e la forma perfetta dell’amore.
Oggi distinguiamo l’amore dall’amicizia, di cui percepiamo diversi gradi di intimità, in base alle diverse culture ma anche secondo un giudizio individuale.
Il concetto di amicizia comprende sentimenti di amore e/o fraternità tra individui, e solo in epoca moderna si è esteso a popoli e stati legati da affinità o interessi (ma già nell’antichità si stringevano legami simili tramite matrimoni combinati tra famiglie).

Quali legami tra Italia e Ungheria?
Nella premessa del volume Ricordi Ungheresi in Italia, di Florio Banfi (Holik László Flóris, 1899-1967), pubblicato negli annuari dell’Accademia d’Ungheria in Roma (ed. 2005, aggiornata e ampliata, a cura di Péter Sárközy), si afferma che i rapporti tra Italia e Ungheria non si sono mai interrotti dalla fondazione del Regno d’Ungheria, oltre un millennio fa. Lo stesso fondatore, Stefano I, si imparentò col doge di Venezia e un duo discendente, Pietro Orseolo, salì sul trono ungherese.
Le relazioni più strette e intense sono avvenute in particolare durante il Rinascimento, per iniziativa del re Mattia Corvino, e nel Risorgimento, quando italiani e ungheresi si trovarono spesso insieme a combattere per la libertà dall’Austria (v. post del 27 maggio su questo blog).
Notevole anche il resoconto contenuto nel volume Italia ed Ungheria, dieci secoli di rapporti letterari (Akadémiai, 1967), che ripercorre anche gli episodi storici che hanno tessuto un’amicizia millenaria.
Più di recente, un buon livello di relazioni culturali è avvenuto negli anni ’90, anche per lo sviluppo interuniversitario degli studi ungheresi in Italia.
Nel 2010 Italia e Ungheria hanno sottoscritto una Dichiarazione di partenariato strategico per sviluppare la cooperazione politica, militare, economica, culturale, scientifica.
Infine, ma forse il dato più significativo, l’italiano è una delle lingue più studiate in Ungheria: lo conoscono circa 100mila magiari (poche migliaia, purtroppo, gli italiani che conoscono l’ungherese, insegnato in sole sei università).

Spero che la nascita di amicizia-italo-ungherese – sorta di mediatore culturale virtuale – sia anche uno stimolo agli altri siti web italo-ungheresi per costituire una rete.
Intanto questo blog allunga l’elenco delle manifestazioni di interesse, e allarga la sua visibilità. Con oltre 3.500 contatti in cinque mesi (due terzi dall’Italia, poi gli altri Paesi con in testa USA, Ungheria, Russia), è stato visualizzato finora in 32 Paesi nel mondo (v. la cartina a fianco):

EUROPA (EURÓPA)
Austria (Ausztria), Bielorussia (Belarus), Finlandia (Finnország), Francia (Franciaország), Germania (Németország), Gran Bretagna (nagy Britannia), Irlanda (Írország), Italia (Olaszország), Lettonia (Lettország), Lussemburgo (Luxemburg), Montenegro (Montenegró), Olanda (Hollandia), Polonia (Lengyelorságz), Romania (Románia), Russia (Oroszország), Serbia (Szerbia), Slovenia (Szlovénia), Spagna (Spanyolország), Svizzera (Svájci), Turchia (Törökország), Ucraina (Ukrajna), Ungheria (Magyarország)

AMERICHE (AMERIKA)
Argentina (Argentína), Canada (Kanada), Messico (Mexicó), Usa (Amerikai Egyesült Állomok), Venezuela (Venezuela)

ASIA (ÁZSIA)
Cina (Kína), Giappone (Japán), Malesia (Malaysia), Thailandia (Thaiföld)

AFRICA (AFRIKA)
Egitto (Egyiptom)

OCEANIA (ÓCEÁNIA)

venerdì 8 novembre 2013

Errata-Corrige / Hibajegyzék



Nella mia raccolta di proverbi ungheresi ci sono circa 160 mila caratteri. Impossibile non commettere errori (ne ho trovati anche su vocabolari). Ma trattandosi di un testo bilingue, seppur non accademico, ci tengo alla precisione.
Purtroppo, anche con una qualità del 99,99%, sono prevedibili 16 errori. Finora ne sono stati trovati 11 (più una imprecisione). Alcuni errori non cambiano il senso della frase. Altri, come il semplice scambio tra una stessa vocale corta e una lunga (l’ungherese ha 14 vocali), cambiano – anche radicalmente – il significato.
È probabile quindi, e non solo per refusi o sviste, che abbia fatto qualche errore di trascrizione o di traduzione.

Spero, anche con l’aiuto dei lettori (specie quelli di madrelingua ungherese), di rimediare.

La lista degli errori (ungh. hibajegyzék) fin qui riscontrati è disponibile sulla pagina di questo blog dedicata al libro di proverbi: la 1° edizione è messa a confronto con la 2°, e anticipo già le correzioni che apporterà alla 3° (se ci sarà).

PS: grazie alla rilettura certosina della 1° edizione del miolibro da parte di Melinda B. Tamás-Tarr, direttrice della rivista Osservatorio Letterario (Ferrara), sono stati corretti anche i più piccoli errori; in particolare due da cui è derivata una traduzione sbagliata: nel n. 546 ho confuso túrós (di ricotta) con túros (di crosta); nel n. 882 ho frainteso korán (presto) con Korán (Corano).

Errata-corrige = locuzione latina che significa “correggi [queste] cose errate”.

mercoledì 6 novembre 2013

L’Osservatorio Letterario recensisce.



la copertina dell’ultimo numero di OL
Ho già citato il periodico bimestrale Osservatorio Letterario. È una “rassegna di poesia, narrativa, saggistica, critica letteraria - cinematografica - pittorica e di altre Muse” per chiunque sia interessato ai rapporti tra cultura italiana e cultura ungherese. Ha una versione cartacea (l’abbonamento annuale a sei numeri, o tre doppi, è di 41 euro) ed è presente online.
Questa rivista culturale è stata fondata a Ferrara nel 1997 ed è diretta dalla professoressa e giornalista, nonché scrittrice,  Melinda Bonani Tamás-Tarr, ungherese di origine e italiana di adozione (nel ’93 ha ricevuto il 1° premio dalla Società Dante Alighieri per la critica letteraria).
La rivista, suddivise in rubriche fisse, contiene articoli in italiano e in ungherese (pubblicati anche in Almanacchi).
Anche i supplementi delle Edizioni O.L.F.A. (in attivo un settantina di libri) ha questa caratteristica:  pubblicazioni in italiano, in ungherese e bilingue.
Sul sito di wikipedia dedicato alla rivista si possono scaricare alcuni numeri completi.

L’ultimo numero della rivista (numero doppio 95/96) è molto ricco, sia nella parte italiana (di cui segnalo la riflessione del compianto Paolo Santarcangeli sulla poesia ungherese moderna) che in quella ungherese.
Contiene anche una recensione al mio libro bilingue, Affida il cavolo alla capra, molto circostanziata e di cui raccomando la lettura poiché segnala alcuni errori, cui rimedierò se riuscirò a pubblicare una nuova edizione della raccolta di proverbi ungheresi.


lunedì 4 novembre 2013

Riti funerari ungheresi al “Passi e trapassi 2013”.



Csónak alakú fejfák (Szatmácseke)
Passi e trapassi è un’insolita rassegna culturale per confrontarsi sui temi della morte e del morire, che si svolge per il secondo anno a Belluno, da oggi al 12 novembre. In programma ci sono conferenze, mostre, proiezioni cinematografiche e visite guidate al cimitero.
Da segnalare due eventi resi possibili dalla collaborazione del Consolato ungherese di Venezia e dell’Associazione Culturale italo-ungherese del Triveneto con il Comune di Belluno.
         La mostra fotografica “L’albero di testa. Immagini dai cimiteri ungheresi”  a cura di Roberto Manzotti e Toni Serena, con la partecipazione di Marco Travisan (Palazzo Crepadone, dal 5 al 17 novembre).
         La conferenza “Viaggio in barca dopo la morte. Simboli tombali e usanze funebri in Ungheria” dell’antropologo Amedeo Boros (Sala Bianchi, lunedì 4 novembre h. 20.30).

Di particolare interesse la conferenza di Boros, docente all’università di Padova, che da anni studia gli antichi rituali funerari ungheresi. Si tratta, anzi si trattava - dato che le innovazioni tecnologiche e i cambiamenti sociali della fine del secolo scorso ne hanno indotto la scomparsa – di rituali comunitari che aiutavano la famiglia del defunto ad elaborare il lutto.
Boros ha effettuato ricerche, tra l’altro, sui rituali calvinisti  - ma di origine pagana - del villaggio di Szatmárcseke (abbrev. Cseke), al confine con l’Ucraina. Un rituale connesso a un simbolo tombale unico al mondo. Si tratta del csónak alakú fejfa, “colonnetta (lett. albero di testa) a forma di barca”. Nei cimiteri ungheresi sono diffuse svariate tipologie di fejfa, poste in cima al tumulo. La particolarità di quelle di Cseke è il sommarsi di una triplice simbologia: quella dell’albero, quella antropomorfa e quella della barca. La colonnetta è scolpita da un unico tronco di quercia ed è alta 3 metri (un metro va sottoterra) e 70 cm di diametro, e si distingue in tre parti: testa, torso, piede, oltre alla pagina scritta (epitaffio). Boros sottolinea come la professionalizzazione del sistema funerario, con la scomparsa dei rituali comunitari, ha lasciato le famiglie sole di fronte alla morte.

domenica 3 novembre 2013

Proverbio/detto ungherese del mese (1007).



Addig nem úszik a kutya, míg farkát nem éri a víz  (Il cane non nuota finché l’acqua non tocca la sua coda) è il 1007 proverbio ungherese che traduco in italiano.
Corrisponde al nostro “Quando l’acqua arriva alla gola, tutti imparano a nuotare”. Il Giusti, nel suo Dizionario dei proverbi italiani, ne raccoglie anche un più sboccato: “Quando l’acqua tocca il culo s’impara a nuotare”.
Siamo dunque nel campo dei proverbi classificabili sotto la voce “bisogno/necessità”. Altri proverbi italiani analoghi sono: la necessità aguzza l’ingegno; fare di necessità virtù. Gli equivalenti ungheresi (compresi nella mia raccolta) sono rispettivamente: a szükség találékonnyá tesz; a szükségből erényt csinál.
In definitiva, il Giusti rileva che: "Il bisogno fa l'uomo bravo (o ingegnoso).

Insomma, gli uomini avrebbero bisogno di arrivare alle condizioni estreme per dare il meglio di sé.
Lo rilevava già Niccolò Machiavelli (1469-1527): “Gli uomini non operano mai nulla bene, se non per necessità”.
E il politico africano Abba Eban (1915-2002) estendeva l’insegnamento ai popoli: “La storia insegna che gli uomini e le nazioni si comportano saggiamente solo quando hanno esaurito ogni altra alternativa”.
C’è chi però, fraintendendo il rapporto causa/effetto, ha pensato che “mettere” l’uomo in condizioni estreme consente di ottenere il bene. È nato così il motto: “tanto peggio, tanto meglio”, che però s’è rivelato bugiardo e ha causato solo limitazioni (insopportabili) della “libertà di scelta”.