venerdì 25 settembre 2015

Cose da sapere sull'Italia.

Ho già riportato alcuni consigli per chi vuole recarsi in Ungheria (v. post del 7 agosto '15).

Ora propongo alcuni elenchi di cose da sapere per chi, ungherese, vuole venire a visitare l'Italia. 
 
Un elenco di luoghi comuni (közhelyek) sugli italiani, in parte fondati, era stato elaborato e analizzato nel 2007 sul sito di RAI International:
- cantano
- mangiano pasta
- vivono di arte
- sono cattolici
- devono fare i conti con mafia e terrorismo
- sono appassionati di calcio
- bevono il caffè
- sono poveri.

Un altro elenco di luoghi comuni (infondati?) è stato elaborato di recente dal Ministero dello Sviluppo Economico (in occasione del World Economic Forum del 2015): uno spot pubblicitario – Italy the Extraordinary Commonplace – per sostenere che “l'Italia non è solo cibo, vino, moda e design, ma anche un produttore di beni tecnologici, secondo esportatore europeo nel settore meccanica e dell'automazione” (una volta gli italiani si autoelogiavano dipingendosi come “un popolo di santi, poeti e navigatori”).
Ecco l'elenco:
- pizza makers
- latin lovers
- party addicts
- gesticulators
- eternal children
- food enthusiast
- dolce vita lovers
- football maniacs.

Insomma, gli italiani non sono “mafia, pizza e mandolino”, e neppure “scansafatiche e inaffidabili” o inguaribili “dongiovanni”, come ancora certa pubblicità o certi titoli ad effetto dei rotocalchi popolari si ostinano a rappresentare.

I soliti americani propongono 11 cose da sapere prima di venire in Italia (11Travel Trips Italians Want You To Know, di Lisa Condie, blogger dell'HuffPost USA, settembre 2014):
1. cena: tra le 19.30 e le 21
2. pelle: non mostrata così tanto
3. pane: non viene servito con olio o aceto balsamico (se non si tratta di amercani)
4. semplifica il tuo programmatore
5. chiuso di pomeriggio
6. taxi: non si chiamano per strada
7. si parla italiano
8. coperto: importo per persona a tavola (mancia non necessaria)
9. chiedi il conto (non arriva automaticamente)
10. rallenta, non puoi vedere tutto
11. sorridi, è un paese che ha ispirato i visitatori per secoli.

Abbastanza stereotipato anche il recente elenco di 10 cose sull'Italia che scioccano i turisti la prima volta, su un sito inglese: il rumore; il menù complesso; la colazione poco saporita; gesticolare con le mani; la devozione alla famiglia; le carreggiate strette; la mancanza di spazio personale; la pausa pranzo; il caffè; la vita lenta.
Prima di arrivare ai miei consigli per ungheresi in Italia, alcune avvertenze.
Non esiste l'italiano-tipo (quello proposto da cinema o tv nel mondo – facilone, gesticolatore, furbo nell'arrangiarsi – è la versione stereotipata di alcune maschere” del centro-sud).
Non esistono usi e costumi generalizzabili (quelli creduti dagli stranieri sono pregiudizi, spesso negativi).
L'Italia ha una eterogeneità culturale unica in Europa. Ci sono 20 regioni, 22 famiglie di dialetti – (anche diversissisimi tra loro e che si differenziano ulteriormente zona per zona): aggiunte alle altre lingue non italiane, si arriva a 36 lingue diverse (dato Ethnologue 2013).
L'Italia è il paese dei molti campanilismi e dal territorio estrememente variegato: caratteristiche che, assieme all'essere stata per secoli crocevia europeo di tanti popoli diversi, hanno determinato una grande diversificazione culturale.

Ecco dunque i miei personalissimi consigli (tanácsok).
Tralascio quelli soliti che si danno a chi viaggia (documenti, soldi, orari ecc.) e cerco di evitare stereotipi e pregiudizi (v. post del 7 gennaio '14, 23 marzo e 20 maggio 2015).

a) Scoprite il genius loci” in sagre e feste. L'Italia, specie d'estate, è percorse da sagre o fiere (dall'aglio alla zucca), pali (non solo Siena), feste patronali (con relative processioni dove il cattolicesimo ha incorporato i riti pagani). Ecco un sito che può aiutare a trovare quella più vicina.

b) Fate conoscenze. È facile fare conoscenza con gli italiani, ospitali e accoglienti (specie al centro-sud). Fatte le presentazioni di rito, si può passare a darsi del tu e anche a frequentarsi.

c) Cercate il cibo da strada (street food). L'Italia è il paese della pasta (e del caffè), ma è anche il paese del pane. Si trova in svariate varietà e in versioni adatte come cibo da strada (da solo o col companatico): focaccia, grissino, piadina, gnocco fritto ecc. Cibo semplice e gustoso.

d) Evitate gli orrori culinari. Gustate l'enogastroomia italiana come si deve (il ketchup sulla pizza no!), facendovi consigliare ed evitando i 10“orrori”elencati dall'Accademia Barilla.

e) Chiedete prima il prezzo. Nei ristoranti, nei negozi o al mercato, chiedete prima i prezzi, per non rischiare fregature (accadono, ahinoi!). Potete anche mercanteggiare sul prezzo, come consiglia anche un detto ungherese: alkudj czigányosan, fizess becsületesen (mercanteggia al modo zigano, paga onestamente).

f) Scoprite l'ignoto. Dimenticate i luoghi comuni o gli sereotipi e non limitatevi alle attrazioni principali. L'Italia ha il più grande patrimonio culturale nel mondo (anche se insufficientemente valorizzato): oltre 3.400 musei, circa 2.100 aree e parchi archeologici, 51 siti Unesco. Prima di partire, selezionate l'itinerario, ma, se avete tempo, lasciatevi guidare dalla curiosità della scoperta casuale.

Eccoci ai souvenir italiani (olasz emlékezik).
Evitare, se possibile, i negozi per turisti e fate attenzione al taroccamento (hamisítás)!
Consiglio innanzitutto i souvenir enogastronomici, le specialità locali: vini, aceto balsamico, olio di oliva, formaggi, salumi e conserve, dolci e biscotti, che si possono acquistare anche direttamente dal produttore. E ricordatevi di assaggiare il gelato artigianale italiano!
Poi i prodotti artigianali: ogni Regione ne ha di originali, dal vetro alle pelli, dal legno a pietre e metalli, dalle ceramiche alle terracotte, dai merletti ai ricami. Anche in questo caso, cercate di acquistare direttamente dall'artigiano.

E poiché noi italiani non ci facciamo mancare un po' di autolesionismo, ecco in sintesi una fotografia impietosa dei limiti dell'Italia, secondo il Censis (48° rapporto sulla situazione sociale del paese nel 2014): italiani vulnerabili (crisi economica), capitale umano dissipato (bassa occupazione), ceto medio corroso (più diseguaglianze e meno inclusione), famiglie a consumo zero, sempre meno figli, investimenti ai minimi, riforme fallimentari.

Infine, un po' d'ironia nell'”ABC dello stile italiano” di Massimo Guadalupi a questo link.

lunedì 21 settembre 2015

Hungarikum: marchio per le tipicità ungheresi .

Ho già scritto del marchio italiano che farà riconoscere l'Italian Taste (v. post del 4 giugno 2015).

Un'iniziativa analoga c'è in Ungheria, ma più ampia: Hugarikum. Con questo nome (traducibile con specialità ungheresi”), in passato usato senza criteri determinati, sono individuati (in base ad una legge del 2012) sia i prodotti tipici enogastronomici che le eccellenze ambientali-culturali.
Insomma, tutto ciò che è caratteristico e tipicamente ungherese è Hungaricum (combinazione delle parole Hungaria e unikum), ripartito in 8 raggruppamenti:
- personaggi ungheresi (magyar személyek)
- creazioni artistiche (művészeti alkotások)
- invenzioni, creazioni (találmányok, alkotások)
- specialità [ungheresi] etnografiche (néprajzi hungarikumok)
- cibo (élelmiszerek)
- animali indigeni e allevati (őshonos és nemesített állatok )
- piante autoctone e allevate (őshonos és nemesített növények )
- paesaggi (tájegységek ).

Ecco alcuni dei più noti Hungarikum.
Enogastronomia e animali
- amaro Unicum
- bovino grigio (szürke szarvasmarha)
- dolci e marzapane (kürtőskalács és Szabó Marzipan)
- maiale mangalica (mangalica sertés)
- pálinka (grappe di frutti vari, alcool 37,5-86%)
- paprika (polvere rossa di peperoni)
- salame Pick o Hertz
- salsiccia di Békéscsaba o di Gyula (csabai v. gyulai kolbász)
- snak Túró Rudi
- vino Tokaji aszú
- vino Sangue di toro (Bikavér)
- zuppa del mandriano (gulyásleves)

Artigianato e folklore
- ballo csárdás
- cane Puli
- cane Viszla
- costume del cavallaio (Csikós ruha)
- cubo di Rubik (bűvös kocka)
- merletti di Halas (halasi csipke)
- porcellana di Herend (herendi porcelán)
- ricamo di Kalocsa (hímzés Kalocsai)
- orchesta sinfonica dei 100 gitani (100 Tagú cigányzenekar)
- scuola di Kassa di arciere a cavallo (Kassai-féle lovasíjász módszer).

Dove trovare i sapori ungheresi (magyar ízek) della lista enogastronomica?
Oltre alle città citate, se siete a Budapest dovete assolutamente andare al mercato coperto, Vásárcsarnok, in Vámház körút 1 (in fondo alla via dei turisti, Váci utca).

mercoledì 16 settembre 2015

Szívtelen Magyarország? (Ungheria senza cuore?)

Menekültek Európába jönnek gondolva, hogy civilizációt, demokráciát, szolidaritást találnak. Ellenben Magyarországot találnak.
Sono un magiarofilo, attratto da lingua e cultura magiare. Ciò è avvenuto per caso (sei anni fa ho conosciuto un gruppo di giovani ungheresi arrivati in Italia per trovare lavoro).
Avrei potuto essere turcofilo o cinesofilo, se avessi incontrato altri stranieri. Ogni cultura contiene una ricchezza originale che può attrarre.
Questa passione si è tramutata nel mio libro sui proverbi ungheresi e in questo blog per alimentare l'amicizia tra i due popoli, facendo conoscere di più l'Ungheria di cui si parla poco in Italia.

Ma oggi l'Ungheria è all'attenzione dell'opinione pubblica mondiale.
Forse solo nel 1956 l'Ungheria fu così spesso sulle prime pagine dei giornali, ma per un evento di tutt'altra portata (la rivolta popolare contro il regime socalista).
E forse fu solo verso la fine del IX secolo d.c. che gli “Ungari” (così li chiamavano) non avevano un'immagine così negativa, pur intrisa di ammirazione: “Salvaci Signore nostro dalla frecce degli Ungari”, si pregava allora contro le invasioni di quegli spietati ma abili guerrieri.
Oggi l'immagine dell'Ungheria è quella delle posizioni “xenofobe” (definizione data dall'editorialista del Corriere della Sera, Aldo Cazzullo, 8 settembre 2015 ) del governo di Budapest, guidato da Orbán Viktor. Addirittura il cancelliere austriaco Werner Fayman ha paragonato la gestione ungherese dell'emergenza profughi al nazismo: “Stipare i rifugiati nei treni e mandarli in luoghi completamente diversi da quelli che essi credono ci ricorda i più bui capitoli della storia del nostro continente”. Dopo le immagini di lacrimogeni e idranti usati dalla polizia ungherese contro i migranti alla frontiera chiusa Ungheria-Serbia, il segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon, ha commentato: “Sono scioccato nel vedere come alcuni migranti e rifugiati sono trattati, non è accettabile. È gente che scappa da guerra e persecuzione e deve essere trattata con dignità umana” (emberi méltóság).

Insomma, il partito al governo in Ungheria, Fidesz – pur facendo parte, nel Parlamento dell'UE, dello stesso raggruppamento della CDU (il partito di Angela Merkel), il Partito Popolare Europeo – sembra appiattito sulle posizioni del gruppo di estrema destra Jobbik.
Ieri quasi nessuno sapeva che l'Ungheria è stato il primo paese ad abbattere il muro che divideva Est/Ovest. Oggi tutti sanno che l'Ungheria è il primo paese a costruire un muro di separazione Nord/Sud. Oggi verso la Serbia, domani verso Croazia e Romania. Quasi un isolamento dall'Europa.

Quando avevo poco più di due anni i miei genitori sono emigrati dal Sud al Nord Italia: per anni ho percepito il disprezzo di chi ci considerava indesiderati “terroni” (insulto razzista).
Quasi sempre i 27 milioni di italiani emigrati nel mondo tra il 1876 e il 1976 sono stati male accolti, oggetto di pregiudizi e discriminazioni, che hanno causato sofferenze individuali e generato scontri sociali. Poi l'integrazione ha prevalso e le società più “altruiste” hanno avuto i maggiori benefici.
Perciò io sono xenofilo, cioò favorevole all'integrazione di ogni cultura, di ogni popolo, pur sapendo che l'opinione pubblica mondiale è divisa su ciò: la xenofobia è diffusa a tutte le latitudini ed è causa di gravi conflitti sociali.

Certamente servono regole certe ed efficaci (distinguere, senza discriminare, profughi e migranti economici). L'Europa non ne ha di adeguate al fenomeno epocale dell'immigrazione (comunque, di dimensioni inferiori a quella del Novecento, quando nel solo periodo della 2° guerra mondiale, emigrarono 16 milioni di europei; negli ultimi cinque anni sono stati 2 milioni gli immigrati in Europa), ed è divisa. La scelta di alcuni paesi dell'Unione Europea (Európai Unió), in particolare Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Romania, di sottrarsi ai doveri di solidarietà (szolidaritás) – oltre che di ignorare il diritto d'asilo (menedékjog), uno dei diritti umani fondamentali – appare una chiusura inutile quanto controproducente.

Giova ricordare che nel 2014 (fonte UE) l'Ungheria ha versato all'Unione Europea circa 1 miliardo di euro (l'Italia quasi 16) e ne ha ricevuti quasi 6 (l'Italia 12,5): questa è una forma, economica, della solidarietà .
E giova ricordare che l'immigrazione (bevándorlás) non è un grande problema in Ungheria, dove gli stranieri sono il 2% (in Italia l'8%). Finora, quest'anno, sono stati poco meno di 200mila i migranti giunti in Ungheria, terra di transito e non meta finale: un numero gestibile (al Sziget Festival sono state gestite oltre 400mila persone in otto giorni). Anzi, l'Ungheria ha il problema dell'emigrazione (kivándorlás), che – assieme alla bassa natalità – sta riducendo la popolazione.

Ci sono problemi politici (che Europa vogliamo), ci sono problemi economici (ma le politiche anti-immigrazione costano più dell'accoglienza), ma soprattutto ci sono problemi culturali.
Però ciò che mi ha più colpito è l'apparenza mancanza di umanità nell'accoglienza dei migranti in Ungheria da parte delle forze dell'ordine (rendőrség) e da parte di alcuni settori della società (disgustose le immagini della reporter ungherese che prende a calci i profughi mentre li riprende con la telecamera, e preoccupanti quelle della polizia che butta alimenti ai migranti rinchiusi in un recinto). Comprensibile è dunque il sarcasmo della vignetta di Ellekappa che riporto a fianco, pubblicata da Repubblica.
D'altra parte, so che una parte dell'opinione pubblica magiara si è schierata per l'accoglienza: semplici cittadini che hanno manifestato sotto lo slogan Az én nevemben ne (non in mio nome) o hanno dato aiuto e assistenza ai migranti (siriani, irakeni e afgani in gran parte), associazioni come Migration Aid, giornali e movimenti.

In un articolo sulla Stampa, l'esperto Bruno Ventavoli (19 giugno '15) cercava di comprendere, senza giustificare, le posizioni dure del governo ungherese. I magiari sarebbero spaventati dalla sindrome dell'assedo e il nazionalismo è anche paura di sparire.
Ma le scelte del governo ungherese (ultima la decisione di mettere in prigione fino a tre anni chi attraversa illegalmente il confine, anche se profugo di guerra) non fanno che alimentare queste vecchie paure alla ricerca di un'identità unidimensionale.
L'antropologo e psicanalista, Georges Devereux (1908-1985; nato ungherese come Győrgy Dobó, poi naturalizzato francese), fondatore dell'etnopsichiatria moderna, metteva in guardia dal “rischio dell'identità”. Intravedeva la tendenza a limitare l'identità ad un solo aspetto (essere musulmano, ebreo, nero ecc.) come riduttiva della molteplicità che compone la storia di una persona (e, aggiungo, di un popolo).
In tutto il mondo, non solo in Ungheria, c'è il problema dell'atteggiamento verso l'Altro, il diverso da noi (un tempo risolto violentemente con le invasioni e le guerre d'aggressione).
Secondo lo psicanalista greco Sarantis Thanopulos “non è esatto dire che abbiamo paura dello straniero dentro e fuori di noi. Siamo diventati stranieri a noi stessi”.
Dopo la foto del picclo Aylan, morto annegato su una spiaggia turca, il mondo si è interrogato sulla sua umanità (jóérzés) e ha cambiato verso: l'umanità (emberség) non può chiudere gli occhi di fronte alla realtà, il fenomeno dell'immigrazione va accettato e governato.

No, l'Ungheria non è il cuore nero” dell'Europa (cosa sono qualche centinaia di migliai di voti per Jobbik a confronto dei milioni di voti per il Front National in Francia?). Ma il governo ungherese appare senza cuore, in lingua magiara si dice szívtelen, che significa anche “disumano”.
Invece il popolo ungherese è umano e ospitale, come gli italiani e tanti altri popoli, e saprà ritrovare la strada giusta, ricordando il monito che mille anni fa il primo re ungherese, Stefano I, scrisse per suo figlio Imre: unius linguae, uniusque moris regnum imbecille et fragile est (debole e caduco è il regno che possiede una sola lingua e unici costumi). 
 
PS: anche qui tira una brutta aria. La Regione Lombardia, guidata dalla Lega Nord, ha deciso di penalizzare economicamente gli albergatori che ospitano (legalmente!) gli immigrati. E ci sono lombardi per i quali io sono ancora un terrone”...

lunedì 14 settembre 2015

Da Budapest a Milano. Da Raffaello a Schiele.

Autoritratto come martire, Artemisia Gentileschi (1593-1653)
Una delle maggiori collezioni di quadri al mondo è al Museo di Belle Arti di Budapest (Szépművészeti Múzeum).

Dal 17 settembre 2015 al 7 febbraio 2016 Milano (Palazzo Reale) ospita 76 capolavori provenienti dal museo ungherese. 
Si tratta della mostra Da Raffaello a Schiele”: una sorta di museo ideale” con l'evoluzione del'arte moderna..
La storia della pittura occidentale (con i suoi vari generi), dal Rinascimento al Novecento, viene ripercorsa attraverso alcune delle più belle opere di Artemisia Gentileschi, Cezanne, Dürer, Gauguin, Goya, Manet, Monet, Rodin, Raffaello, Schiele, Tintoretto.
Oltre ai dipinti, sono esposti alcuni disegni preparatori delle opere.

martedì 8 settembre 2015

Karinthy Frigyes: l'humor di un giornalista [post biligue/kétnyelvű post].

L’uomo e la donna... come potrebbero capirsi. Infatti ciascuno dei due vuole qualcosa di differente. L’uomo la donna, e la donna l’uomo.” 
È un acuto e ironico aforisma di Karinthy Frigyes (1887-1938), giornalista, scrittore e soprattutto straordinario umorista ungherese. Una volta annotò: “L’umorismo è tutta la verità”.
Secondo Lajos Nagy, chi lo incontrava pensava: “Cosa frulla nella testa del maestro?” Spesso si lamentava della maleducazione della gente. Sull’ultimo taccuino scrisse queste amare righe: “Mi usano come la patata in Europa: colgono i miei fiori e i miei frutti (umorismo e barzellette) e gettano via il tubero (la mia filosofia)”.

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Férfi és nő... hogyan is érthetné meg egymást. Hiszen mindkettő mást akar. A férfi: a nőt. A nő: a férfit.”. Ez egy Karinthy éles és gúnyos aforizmaja.
Újságíró, író, mindenekfelett rendkívüli magyar humorista, Karinthy Frigyes (1887-1938) volt.
A humor a teljes igazság” – egyszer jegyezte fel.
Nagy Lajos szerinte, ki találkozott vele azt gondolta: “ Miben sántikál éppen most a mester agygörbéje?”. Gyakran panaszkodott az emberek szemtelenségről. Az utolsó noteszba ezek a keserű sorokat irtá: “Úgy használnak engem, mint a krumplit Európában – virágomat és gyümölcsömet (humor és vicc) tépik, a gyökérgumót (filozófiámat) eldobják”.

Nel Lessico balordo prendeva in giro anche i proverbi. Ecco qualche esempio (mia traduzione).
*
Az Együgyű lexikon-ban a közmondásokat is csúfolta. Itt van néhány példa a Karinthy magyarázataival (hű forditás).

Kaparj, kurta, neked is lesz.
Például ha valakinek valami bőrbetegsége van, és azt egy másik ember kaparja, neki is lesz.

Gratta, piccolo, anche tu ne avrai.
Per esempio se qualcuno ha qualche malattia cutanea e gratta un altro, anch’egli l’avrà.

Eső után köpönyeg.
Egészségügyi szabály, mert eső után rendesen hűvösebb a levegő, és így ajánlatos übercigert húzni.

Il mantello dopo la pioggia.
Norma igienica, perché dopo la pioggia l’aria si è rinfrescata per bene e così è consigliabile infilarsi il soprabito.

Vér nem válik vízzé.
A legújabb orvosi tudomány által megdöntött tapasztalat (lásd: vízibetegségek).

Il sangue non si trasforma in acqua.
Esperienza fatta a pezzi dalla più recente scienza medica (leggi: malattie dell’acqua).

Kutyából nem lesz szalonna.
Legfeljebb disznózsír.

Da un cane non ci sarà salsiccia.
Tuttalpiù grasso di maiale.

Addig nyújtózkodj, amíg a takaród ér.
Egészségügyi tanács, ami főleg azoknak kellemetlen, akiknek nagyon hosszú takarójuk van; ezeknek néha kétméternyire ki kell nyújtózkodni.

Allungati fino a quanto arriva la tua coperta.
Consiglio sanitario, sgradevole soprattutto per quelli che hanno la coperta lunghissima; questi devono allungarsi almeno due metri.

Minden látszat csal.
De minden csaló látszik.

Ogni apparenza inganna.
Ma ogni ingannatore si vede.


mercoledì 2 settembre 2015

Szekszárd e il mistero di Wood Morrison.

A volte qualche follower diventa collaboratore di questo blog e manda uno scritto. E a volte dietro alle parole si cela un mistero.
È il caso ora dell'americano Mark Wood Morrison (45 anni), che segnala la città ungherese di Szekszárd (circa 34mila abitanti, capoluogo della provincia di Tolna, nel Transdanubio, sud dell'Ungheria), “famosa per le produzioni di vini e situata a sud del fiume Sió, che collega il lago di Balaton el Danubio”.

Continuo la segnalazione con le parole di Mark (mia traduzione dall'inglese).
Questa piccola città è la più importante di una regione chiamata Sárköz. Nei secoli passati fu un insediamento celtico e poi romano. Il sesto re d'Ungheria, Bela I, le conferì lo status di Città Reale e nel 1061 fondò un'abbazia benedettina. Il municipio fu progettato nel 1828 da Mihály Pollack, e all'interno ci sono la Sala Liszt e la Galleria Ester Mattioni. Liszt visse nel Palazzo d'Agosto. Un altro interessante museo mostra la vita e le opere di Mihály Babits (1833-1941). Non molto lontano sul monte Kálvária nel 1986 fu costruita una scultura da István Kiss per celebrare il 925° anniversario della fondazione della città. Mihály Pollack (30 agosto 1773 – 5 gennaio 1855) fu un architetto ungherese, figura chiave dell'architettura neoclassica. La sua opera principale è il Museo Nazionale Ungherese (1837-1846). Mihály Pollack è nato a Vienna nel 1773. Tra il 1793-1974 si trasferì a Milano dal suo fratellastro architetto Leopold Pollack. Nel 1798 si trasferì a Pest, dove nel 1808 assunse un ruolo guida nella Commissione per l'Abbellimento della città, e divenne sempre più influente. Tra il 1810 e il 1830 progettò molti edifici residenziali, e più tardi palazzi ed edifici pubblici. La sua espressione architettonica progredì dal barocco verso lo stile neoclassico.”

Posso aggiungere di mio che la zona di Sárköz comprende alcuni piccoli villaggi, come Öcseny, Decs, Sárpilis e Alsónyék. Poco più a sud esiste anche la città di Sárköz, che nel primo dopoguerra diventò parte della Romania.

Quale mistero si cela dietro tale segnalazione?
In calce a questo scritto, Mark aggiunge – oltre alla propria data di nascita – queste informazioni.
James Morrison dei Doors (8 dicembre 1943 – 3 giugno 1971) nacque in Florida, a Melbourne, ma i genitori di Morrison vivevano a Roma (Usa).
L'attrice Natalie Wood (cognome Usa) nacque il 20 giugno 1938 in Russia [in realtà, da genitori russi ma a San Francisco, Usa, ndr] e morì il 29 novembre 1981 in Usa.”

Insomma, Mark sarebbe il figlio naturale del poeta-cantautore Jim Morrison e dell'attrice Natalie Wood (entrambi morti in circostanze misteriose), anche se ufficialmente non risulta un legame tra i due artisti.
È così, o è solo un desiderio?
E cosa lega Mark alla cittadina ungherese di Szekszárd?

martedì 1 settembre 2015

Proverbio/detto ungherese del mese (1029).


Ne együk meg az aranytojást tojó tyúkot, ovvero dall'ungherese: “non mangiare la gallina dalle uova d'oro”. È un proverbio prescrittivo noto anche in inglese: The hen laying golden eggs should not be eaten, “la gallina dalle uova d'oro non dev'essere mangiata”.
In italiano esiste solo come modo di dire: “trovare la gallina dalle uova d'oro”, cioè qualcuno o qualcosa che ci porta un guadagno facile e cospicuo.
Tali espressioni derivano da una favola del greco Esopo (620-560 a.c). Un tale aveva una gallina che gli faceva uova d'oro. Credendo dunque che all'interno ci fosse una massa d'oro, le tirò il collo, ma trovò che era simile alle altre galline. Così per aver sperato di trovare in essa un intero tesoro, restò privo anche del modesto guadagno.
Ecco la morale di Esopo: sia pago ognuno di ciò che ha e fugga lontano dall'insaziabile cupidigia.

In italiano esiste un'espressione analoga ancora più utilizzata: “segare il ramo su cui si è seduti”, una metafora utilizzata anche da Bertolt Brecht nell'Esilio: “segavano i rami sui quali erano seduti e si scambiavano a gran voce la loro esperienza di come segare più in fretta, e precipitarono con uno schianto, e quelli che li videro scossero la testa segando e continuarono a segare”.

Insomma, spesso l'uomo ha un comportamento stupido, un egoismo stupido incapace di vedere il futuro anche prossimo. Anche senza appellarsi all'altruismo e alla solidarietà, sarebbe sufficiente un comportamento da “egoismo solidale” per affrontare con successo i gravi problemi del proprio paese, dell'UE, del mondo.
L'attuale vicenda UE-Grecia non sembra mostrare, purtroppo, tale lungimiranza da parte dei vertici europei (v. articolo dell'economista americano Barry Eichengreen sul Sole 24ore del 16 luglio 2015 dal titolo esplicativo: Un accordo che contiene misure draconiane. La Grecia e l'Europa meritano di meglio. Il programma imposto dalla Germania spingerà Atene fuori dall'euro).
Potremmo applicare all'UE un amaro aforisma di Giuseppe Giusti: il Buonsenso, che già fu caposcuola, ora in parecchie scuole è morto affatto; la Scienza, sua figliola l'uccise, per veder com'era fatto.
In conclusione, come recita un vecchio proverbio contadino: chi troppo munge, ne ricava sangue.