lunedì 29 dicembre 2014

AUGURI!

Kellemes ünnepeket 
és Boldog új évet!


Buone feste 
e Felice anno nuovo!

L'Ufficio Turistico Ungherese cambia.


Cercate l’Ufficio Turistico Ungherese in Italia? È a Milano, ma non è più in via Giotto.
Questa estate si è spostato presso il Consolato, in via Fieno n. 3 (zona MM3 – Missori), ma in Internet trovate ancora il vecchio indirizzo.

È la rappresentanza ufficiale dell’Ente Turistico Ungherese, l’ufficio più appropriato per dare informazioni turistiche sull’Ungheria, ma anche dove raccontare le proprie impressioni dopo il viaggio. Naturalmente, si possono ottenere vari opuscoli e depliant.
È cambiato anche il direttore (anzi, direttrice) dell’ufficio:  Keresztes Dóra subentra a Obrofta Anita.

Nell’apposita conferenza stampa di pochi mesi fa, il Console Generale, Manno István, ha sostenuto che questo cambiamento migliorerà il lavoro di promozione: “È stato deciso di razionalizzare le rappresentanze del nostro Paese in città per essere più efficienti possibili”. La Keresztes ha rimarcato l’impegno del suo ufficio ad essere ancora presenti in Italia: “Crediamo molto nel mercato italiano, che dimostra un’attenzione costante all’Ungheria e si trova tra i primi mercati per importanza”. Novità in vista, con il restyling del sito internet e lo sbarco sui social media.
Info: info@turismoungherese.it tel. (0039) 02.72095737
Altre informazioni possono essere otteute direttamente in Ungheria, negli oltre 90 uffici di Tourinform.
L’Ambasciata italiana a Budapest è in Stefánia út, 95 - tel. (0036) 1 4606200.

mercoledì 17 dicembre 2014

Ricordi ungheresi/4: Weisz Árpád.

Sono interista ed è una bella sorpresa scoprire che lo scudetto del 1929/30  fu vinto dalla FC Internazionale (allora si chiamava Ambrosiana) grazie a un ungherese. Si trattava di Weisz Árpád (1896-1944), ancor oggi l’allenatore più giovane che abbia mai vinto un campionato e forse il miglior allenatore della sua epoca.

Lo rivela una targa posta nello stadio di San Siro a Milano. Tale ricordo ungherese è stato collocato nel foyer della tribuna rossa del “Meazza” il 27 gennaio 2012, giorno della memoria, in quanto Weisz era di origine ebraica e morì nel ’44 nel campo di concentramento nazista di Auschwitz. Weisz – che era stato anche un’ottima ala sinistra nell’Olimpica ungherese del ’24 (anno in cui si trasferì al Padova) –  lasciò l’Italia nel gennaio del ‘39 in seguito alle leggi razziali, ma poi fu arrestato dai nazisti in Olanda e deportato nei campi di sterminio insieme alla moglie e ai due figli (uccisi nel ’42).

Weisz fu anche il primo a scrivere, insieme al dirigente  Aldo Molinari, un manuale dedicato alle tecniche di calcio (Il giuoco del calcio, con prefazione di Vittorio Pozzo). Introdusse lo schema WM (una sorta di 3-4-3) sui campi di calcio italiani, sperimentò i ritiri (nelle terme) e inaugurò l’allenamento (in calzoncini) insieme ai giocatori. Iniziò la sua carriera di allenatore nel ’26 all’Ambrosiana, dove fece esordire Peppino Meazza, e che portò a vincere il suo terzo scudetto nel 1930 (anno di istituzione della Serie A a girone unico).

Nel 2007 è stata inaugurata una targa in memoria di Weisz anche allo stadio Dall’Ara di Bologna, dove vinse tre scudetti vicini (1935/36, 36/37, 38/39). Nello stesso anno Matteo Marani, giornalista sportivo, ha scritto su di lui un libro, Weisz, l’allenatore che finì ad Auschwitz (Aliberti editore). Il grande Bologna fu il suo capolavoro, che divenne “la squadra che tremare il mondo fa”, segnando un’epoca nell’Italia e nell’Europa calcistica. Tra il ’35 e il ’39, infatti, oltre a tre campionati italiani, il Bologna vinse la Coppa dell’Esposizione (sorta di Champions) battendo gli inglesi del Chelsea per 4-1.

Chissà se c’è una targa anche a Torino, dove un altro ungherese costruì le fortune del grande Torino, che dominò il campionato italiano tra il ’43 e il ‘49. Si trattava di Egri Erbstein Anton, prima direttore tecnico e poi allenatore. Introdusse tecniche avanzate di preparazione degli atleti, come il riscaldamento prepartita, e preconizzò l’avvento di tecniche che si svilupparono più tardi, come il pressing, il movimento senza palla e il gioco a tutto campo. Ma il suo segreto vincente fu l’attenzione allo spogliatoio, la grande capacità di dialogare con i calciatori. Riuscì a sfuggire alle leggi razziali, ma poi morì con tutti i giocatori del leggendario Torino nella tragica sciagura di Superga (l’aereo che li riportava a casa, dopo un’amichevole col Benfica in Portogallo, si schiantò contro il muraglione della cattedrale).

Però il periodo migliore per i calciatori e i tecnici ungheresi è considerato il ‘49-‘56, con la “squadra d’oro” (aranycsapat). La nazionale di calcio ungherese (Magyar labdarúgó-válogatott) ha lasciato un segno profondo nel mondo del pallone, fino al “calcio totale” olandese e al tiki-taka spagnolo odierni (v. post del 5 agosto ’13), prima di declinare dopo gli anni ’70.
Nel ’49 arrivò l’allenatore Sebes Gustáv, che rifondò la nazionale sul blocco della più forte squadra di Budapest, l’Honvéd, integrata dai giocatori del MTK e di altre formazioni.
Dal ’50 al ’54 l’Ungheria non ebbe sconfitte per ben 32 partite, record eguagliato solo da Brasile e Spagna. Vinse la Coppa internazionale 1948/1953, le Olimpiadi di Helsinki nel ’52 e arrivò seconda nel Campionato del mondo del ’54 in Svizzera. Una finale tumultuosa: in testa per 2-0, l’Ungheria fu raggiunta e superata dalla Germania che vinse per 3-2, ma col sospetto di doping. Addirittura in Ungheria scoppiarono manifestazioni contro il governo, accusato di aver venduto la partita ai tedeschi (un sospetto che non trovò fondamento). Nell’ottobre del ’56 l’Honvéd era in tournée internazionale: molti giocatori, allo scoppio della rivolta ungherese, preferirono l’esilio e non tornare in patria, tra essi Czibor, Kocsis e Puskás, che – assieme a Di Stefano – fece grande il Real Madrid. Ma questa è un’altra storia.

-          enciclopedia del calcio

giovedì 11 dicembre 2014

1989: rivoluzione o compromesso?

“La metà orientale del continente europeo ha attraversato nell’ultimo secolo rivolgimenti politici, tensioni sociali e conflitti etnici che ne hanno profondamente deviato e rallentato lo sviluppo. Con il fallimento del sistema di Versailles, gli Stati della regione divennero uno dei teatri principali dell’espansione nazionalsocialista e dello sterminio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. La vittoria dell’Unione Sovietica portò a una liberazione/occupazione, all’egemonia comunista e alla creazione di un blocco politico, economico e militare rimasto in vita per quasi mezzo secolo. Dopo il biennio rivoluzionario 1989-91, le guerre balcaniche e il difficile cammino dell’integrazione con la UE, i venti Stati postcomunisti e postsovietici si misurano con gravi problemi sociali ed etnici ereditati dal sistema comunista o aggravatisi durante la transizione democratica".

Si tratta di uno stralcio della presentazione di un libro di Stefano Bottini, Un altro Novecento. L’Europa orientale dal 1919 a oggi (Carrocci, 2011).
Aiuta a entrare nell’argomento di un interessante conferenza – “Rivoluzione o compromesso? Il 1989 in Europa centrale” – che si terrà a Venezia il prossimo 18 dicembre (ore 18), presso il Teatro ai Frari (Calle drio l’Archivio, S. Polo 2464/Q).
Bottini (ricercatore a Budapest presso l’Accademia Ungherese delle Scienze, Magyar Tudományos Akadémia) aggiornerà la sua interpretazione sulla storia recente di questa area dell’Europa, la cui integrazione nell’Unione Europea non appare del tutto avvenuta. Inoltre, quale ruolo hanno (avuto) Usa e Russia (ex Urss) negli eventi post-caduta del Muro?
La ricerca storica è indispensabile se, come afferma Moshe Halbertal nel suo ultimo libro Sul sacrificio (Giuntina, 2014, traduzione di R. Volponi), “il passato non è mai un evento concluso; il suo significato continua a svilupparsi e, retroattivamente, cambia in relazione ai nuovi sviluppi”.
Bottini, gode di una posizione privilegiata, potendo avere accesso in Ungheria ad archivi rimasti segreti fino all’89. Ecco perché sarà estremamente interessante ascoltarlo, e porgli domande, in questo appuntamento.

La conferenza è promossa dall’attivissima Associazione Culturale italo-ungherese del Triveneto, in collaborazione con il Consolato Onorario d’Ungheria a Venezia.


sabato 6 dicembre 2014

Arriva Mikulás!

Babbo Natale in Ungheria si chiama Mikulás, da Miklós (Nicola). Più laicamente, Télapó, "Papà inverno".
Si festeggia dunque il 6 dicembre, giorno di San Nicola: vescovo bizantino del IV sec. d.C., nato in Anatolia, le cui spoglie sono a Bari dal tempo delle crociate e da cui è nato il mito di Santa Claus.
Alimenta una tradizione simile a quella della nostra Befana (6 gennaio) o di Santa Lucia (13 dicembre). I bambini ungheresi, la sera del 5 dicembre, lasciano scarpe o stivali davanti alla loro finestra, sperando di trovare al mattino dolciumi e frutti (impacchettati in carta rossa) come premio per essere stati buoni. In caso contrario, troveranno anche paglia e foglie, lasciate dal diavoletto Krampusz. Infatti, nel periodo dell’Avvento si può incontrare il buon Mikulás, con barba bianca e vestito rosso, accompagnato da un piccolo diavolo in costume nero e qualche ramo secco in mano per “punire” i monelli.
Però il Babbo Natale ungherese non porta i tradizionali doni natalizi, cui “provvede” Gesù Bambino nella notte della vigilia di Natale (Szent este). Nelle stessa “santa sera” si addobba l’albero di Natale (tra l’altro, con tipiche caramelle – szaloncukor – avvolte in carta colorata) e si cena tutti assieme, mentre non è abitudine dare il presepe, che si trova solo nelle chiese (dove i cattolici partecipano alla tradizionale messa di mezzanotte).
L’atmosfera natalizia viene creata durante l’Avvento con la creazione della tradizionale Ghirlanda (adventi koszorú) che prevede 4 candele colorate (possibilmente tre viola e una rossa) da accendere una alla settimana, da fine novembre in poi.
Il periodo a cavallo del solstizio d’inverno è occasione, fin dall’epoca precristiana, per festeggiare con cibi speciali e ricchi piatti. In particolare, per Natale (Korácsony) il pesce è un simbolo del cristianesimo ma anche un porta fortuna: le sue scaglie sono come le lenticchie, più sono e più soldi arriveranno! Per capodanno (újév napja) o la notte di San Silvestro (Szilveszter éjszakája), non può mancare la carne di maiale, simbolo di abbondanza e fortuna.
Ecco un elenco di piatti tipici ungheresi per questo periodo:
-         borleves, zuppa di vino (dolce);
-         halászlé, zuppa di pesce simile al gulyás, ma con pesci d’acqua dolce anziché carni;
-         töltött káposzta, involtini di cavolo, da servire con panna acida (tejföl);
-         rantott ponty, carpa impanata fritta;
-         harcsa pörkölt, spezzatino di pesce gatto, da servire con gnocchetti di pasta (galuska);
-         kacsasült, anatra arrosto;
-         libasült, oca arrosto;
-         pulykasült, tacchino arrosto;
-         kocsonya, carne in gelatina;
-         újév malacsült, maiale arrosto di capodanno, da servire con lenticchie lessate (lencsefözelék);
-         zserbo szelet, fetta di Gerbaud, dolce di origine francese;
-         bejgli, è il “panettone” ungherese, un tradizionale rotolo di pasta dolce con differenti farciture: noci (diós bejgli), semi di papavero (mákos bejgli) o castagne.

Allora, buon appetito! Jó étvágyat!

E non dimenticate gli auguri.
Buona Natale! Boldog Karácsonyt!
Felice anno nuovo! Boldog új évet kívánok!
Oppure, poiché agli ungheresi piace accorciare le parole e utilizzare gli acronimi (ottimi per SMS), scrivete in breve: Buék!,


martedì 2 dicembre 2014

La musicista ungherese Guessus a Rho.

Suona il saz, un liuto a manico lungo, strumento simbolo della musica folk turca. Ma è nata a Budapest e si è appassionata di musica popolare in Turchia, dove ha studiato, e India.
È Guessus Majda Mária e si esibirà venerdì 12 dicembre (ore 21) nella chiesa S. Maria a Lucernate di Rho. Sarà accompagnata da Dimitri Grechi Espinoza, sassofonista folk-jazz italiano tra i più originali.
Il concerto (ingresso gratuito), Welcome, è un ponte sonoro spirituale tra Ungheria e Medioriente.

Fa parte della rassegna “La Musica dei Cieli – Voci e musiche nelle religioni del mondo”, quest’anno al femminile, giunta alla 18° edizione e promossa dal Polo Culturale Insieme Groane.
Il programma prevede 11 concerti, tra il 10 e il 21 dicembre, in diverse chiese dei comuni del nord-ovest milanese.
Tali eventi rientrano nel progetto di valorizzazione del territorio “Voci e Musiche dal Mondo” – realizzato dall’Accademia Vivaldi di Bollate, oltre ad Acli e Polo Culturale – che, attraverso la musica, intende favorire lo scambio interculturale (specie giovanile) e il dialogo interreligioso.
La conclusione è prevista nel giugno 2015 con un grande concerto dell’Orchestra della Pace – Pequeñas Huellas, in cui si esibiranno giovani musicisti da tutto il mondo.

- La Musica dei Cieli (programma)

Dal 3 dicembre 2014 all’11 gennaio 2015 a Palazzo Marino  (Comune di Milano) è in mostra la Madonna Esterhazy di Raffaello, opera proveniente dal Museo di Belle Arti di Budapest (Szép Művézeti Múzeum).


lunedì 1 dicembre 2014

Proverbio/detto del mese (1020).

Menj a búsba, letteralmente intraducibile (bús significa: addolorato, afflitto, malinconico, mesto, triste). É un modo non volgare di mandare qualcuno a quel paese (a fenébe küldeni valakit); in Italia diremmo ”va’ a farti benedire!”
Ma, come in Italia, anche in Ungheria sono svariati, e piú crudi, i modi per esprimere un sentimento di irritazione o insofferenza verso chi ci disturba o ci opprime. E si tratta di espressioni quasi quotidiane!
Eccone alcune (tra parentesi un corrispondente italiano): menj a fenébe! (va’ all’inferno!); húzzál el! (vai a quel paese!); húzz el innen! (fila di qua!); menj a pokolba! (va’ all’inferno!); vigyen el az ördög! (va’ al diavolo!).

In italiano il modo più volgare di esprimere lo stesso ”invito” é: vaffanculo! (diventato perfino uno slogan politico, seppur – pudicamente – in forma abbreviata: vaffa!), giá presente nei vari dialetti italiani nelle forme disparate in cui si  è espressa la “creatività” popolare.
In Ungheria sono quasi assenti i dialetti e l’equivalente espressione volgare é: menj a picsába! (dove picsa è il dispregiativo di ”fica”).
Ma basta molto meno per offendere qualcuno in Ungheria, alludendo a un insulto (sértés) per chi ci è piú caro; solo due sillabe: anyad! (tua madre).
In Italia, si trovano i corrispondenti in tutti i dialetti: da “a’ mammete” in napoletano a “to mare” in veneziano.
Altra variante, più vicina all’italiano “fottiti!”, è baszd meg! o bassza meg!, assimilabile all’inglese fuck off! o fuck you!, oppure allo spagnolo ¡vete al carajo! o ¡vete a la mierda!

Perché inserire tali modi di dire in questa rassegna, che prosegue la mia raccolta bilingue?
Intanto perché il linguaggio volgare (durva beszéd) fa parte della lingua viva e popolare.
E poi perché sono detti a loro modo proverbiali.
Infatti, Alberto Sordi nel ritornello di in una mitica canzone, in romanesco, presentata a Sanremo nel 1981 (E va e va, di Mogliacci-Mattone) si chiede: Te c’hanno mai mannato a quer paese? E alla fine ci ricorda ”che tanto prima o poi ce annamo tutti… a quel paese”, cioè che ciascuno di noi lascerà questo mondo.

Se poi volete consolare qualcuno che se l’è presa per un “vaffa” immeritato, allora in ungherese potete dirgli: Búsuljon a ló! (lett. ”si affligga il cavallo”), cioè ”Non te la prendere!”.
Nem éri meg (non vale la pena)!