mercoledì 17 dicembre 2014

Ricordi ungheresi/4: Weisz Árpád.

Sono interista ed è una bella sorpresa scoprire che lo scudetto del 1929/30  fu vinto dalla FC Internazionale (allora si chiamava Ambrosiana) grazie a un ungherese. Si trattava di Weisz Árpád (1896-1944), ancor oggi l’allenatore più giovane che abbia mai vinto un campionato e forse il miglior allenatore della sua epoca.

Lo rivela una targa posta nello stadio di San Siro a Milano. Tale ricordo ungherese è stato collocato nel foyer della tribuna rossa del “Meazza” il 27 gennaio 2012, giorno della memoria, in quanto Weisz era di origine ebraica e morì nel ’44 nel campo di concentramento nazista di Auschwitz. Weisz – che era stato anche un’ottima ala sinistra nell’Olimpica ungherese del ’24 (anno in cui si trasferì al Padova) –  lasciò l’Italia nel gennaio del ‘39 in seguito alle leggi razziali, ma poi fu arrestato dai nazisti in Olanda e deportato nei campi di sterminio insieme alla moglie e ai due figli (uccisi nel ’42).

Weisz fu anche il primo a scrivere, insieme al dirigente  Aldo Molinari, un manuale dedicato alle tecniche di calcio (Il giuoco del calcio, con prefazione di Vittorio Pozzo). Introdusse lo schema WM (una sorta di 3-4-3) sui campi di calcio italiani, sperimentò i ritiri (nelle terme) e inaugurò l’allenamento (in calzoncini) insieme ai giocatori. Iniziò la sua carriera di allenatore nel ’26 all’Ambrosiana, dove fece esordire Peppino Meazza, e che portò a vincere il suo terzo scudetto nel 1930 (anno di istituzione della Serie A a girone unico).

Nel 2007 è stata inaugurata una targa in memoria di Weisz anche allo stadio Dall’Ara di Bologna, dove vinse tre scudetti vicini (1935/36, 36/37, 38/39). Nello stesso anno Matteo Marani, giornalista sportivo, ha scritto su di lui un libro, Weisz, l’allenatore che finì ad Auschwitz (Aliberti editore). Il grande Bologna fu il suo capolavoro, che divenne “la squadra che tremare il mondo fa”, segnando un’epoca nell’Italia e nell’Europa calcistica. Tra il ’35 e il ’39, infatti, oltre a tre campionati italiani, il Bologna vinse la Coppa dell’Esposizione (sorta di Champions) battendo gli inglesi del Chelsea per 4-1.

Chissà se c’è una targa anche a Torino, dove un altro ungherese costruì le fortune del grande Torino, che dominò il campionato italiano tra il ’43 e il ‘49. Si trattava di Egri Erbstein Anton, prima direttore tecnico e poi allenatore. Introdusse tecniche avanzate di preparazione degli atleti, come il riscaldamento prepartita, e preconizzò l’avvento di tecniche che si svilupparono più tardi, come il pressing, il movimento senza palla e il gioco a tutto campo. Ma il suo segreto vincente fu l’attenzione allo spogliatoio, la grande capacità di dialogare con i calciatori. Riuscì a sfuggire alle leggi razziali, ma poi morì con tutti i giocatori del leggendario Torino nella tragica sciagura di Superga (l’aereo che li riportava a casa, dopo un’amichevole col Benfica in Portogallo, si schiantò contro il muraglione della cattedrale).

Però il periodo migliore per i calciatori e i tecnici ungheresi è considerato il ‘49-‘56, con la “squadra d’oro” (aranycsapat). La nazionale di calcio ungherese (Magyar labdarúgó-válogatott) ha lasciato un segno profondo nel mondo del pallone, fino al “calcio totale” olandese e al tiki-taka spagnolo odierni (v. post del 5 agosto ’13), prima di declinare dopo gli anni ’70.
Nel ’49 arrivò l’allenatore Sebes Gustáv, che rifondò la nazionale sul blocco della più forte squadra di Budapest, l’Honvéd, integrata dai giocatori del MTK e di altre formazioni.
Dal ’50 al ’54 l’Ungheria non ebbe sconfitte per ben 32 partite, record eguagliato solo da Brasile e Spagna. Vinse la Coppa internazionale 1948/1953, le Olimpiadi di Helsinki nel ’52 e arrivò seconda nel Campionato del mondo del ’54 in Svizzera. Una finale tumultuosa: in testa per 2-0, l’Ungheria fu raggiunta e superata dalla Germania che vinse per 3-2, ma col sospetto di doping. Addirittura in Ungheria scoppiarono manifestazioni contro il governo, accusato di aver venduto la partita ai tedeschi (un sospetto che non trovò fondamento). Nell’ottobre del ’56 l’Honvéd era in tournée internazionale: molti giocatori, allo scoppio della rivolta ungherese, preferirono l’esilio e non tornare in patria, tra essi Czibor, Kocsis e Puskás, che – assieme a Di Stefano – fece grande il Real Madrid. Ma questa è un’altra storia.

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