giovedì 26 marzo 2015

Scoprire Kosztolányi, scrittore ungherese a cavallo di due secoli.

La transizione 1989-90 dei paesi dell’Europa Centro-orientale ha consentito, tra le altre cose, di far uscire dal ghetto la letteratura a cavallo di XIX e XX secolo degli scrittori locali, rivelatisi grandi autori mitteleuropei del Novecento.

Tra essi ha un posto di rilievo l’ungherese Kosztolányi Dezső (1885-1936), scrittore, poeta e giornalista, che ha anche tradotto molte opere di autori occidentali (Baudelaire, Goethe, Maupassant, Rilke, Shakespeare ecc.). Inoltre, egli è stato nel 1908 tra i primi sostenitori della leggendaria rivista letteraria Nyugat (Occidente).
Kosztolányi è nato a Subotica (ungh. Szabadka), oggi in Serbia ma allore parte del Regno d’Ungheria, o meglio dell’Impero Austro-Ungarico; località che servì come modello per la città immaginaria in cui ambientò diversi romanzi, tra cui Pacsirta (“Allodola”, pubblicato nel 2000 da Sellerio, tradotto da Matteo Masini).
Da ragazzo fu espulso per insubordinazione dalla scuola locale, di cui era preside suo padre. Poi per tre anni studiò ungherese e tedesco a Budapest, ma dal 1906 si dedicò al giornalismo. Iniziò poi a pubblicare poesie, rivolgendosi dal 1920 alla narrativa.
Il romanzo che lo ha reso noto in Italia è “Le mirabolanti avventure di Kornél (ediz. E/O, 1990, tradotto da Bruno Ventavoli), una raccolta di tredici racconti, ripubblicata nel 2012 da Mimesis con il titolo originale, Kornél Esti, nella traduzione di Alexandra Foresto. Altri libri tradotti in italiano sono: Nerone, il poeta sanguinario (Nero, a véres költő, Castelvecchi 2014, trad. Silvio De Massimi), Il medico incapace (A rossz orvos, Rubbettino 2009, trad. Roberto Ruspanti), Anna Édes (Édes Anna, Anfora 2014, trad. Rényi Andrea e Szilágyi Mónika); edizioni non reperibili, Nero e Édes Anna furono pubblicati in Italia negli anni ’30.

Conoscere meglio Kosztolányi sarà possibile per chi parteciperà alla conferenza “Un autore mirabolante: Dezső Kosztolányi in Italia. Le traduzioni ‘vecchie’ e nuove, parziali e integrali di Kornél Esti e Anna Édes”, che si terrà a Padova martedì 31 marzo (Palazzo Maldura, h. 16.30) grazie alla locale università.
Introduce l’esperta docente Cinzia Franchi, parleranno le italo-ungheresi Szilágyi Mónika (edizioni Anfora) e Alexandra Foresto (traduttrice).

martedì 24 marzo 2015

Tre interessanti iniziative in FVG

Ecco tre interessanti iniziative in Friuli Venezia Giulia, promosse dall’Associazione culturale italo-ungherese del Triveneto e dal Consolato d’Ungheria di Venezia.

Stasera (h. 20.30) a Udine (Cinema Visionario) si proietta l’eccezionale film di Mario Caputo, L’orologio di Monaco, già presentato l’anno scorso al Festival di Roma. Si tratta di  un documentario tratto da una raccolta di racconti di Giorgio Pressburger, lo scrittore e regista ungherese naturalizzato italiano: un viaggio nella memoria alla ricerca delle proprie radici (e dell’Europa?).

Sabato 28 marzo nella Stazione Museo Multimediale di Fogliano Redipuglia (GO) viene inaugurata la mostra “Italia-Ungheria: una storia comune. Ieri e oggi.”, che resterà aperta fino al 19 aprile. Un’iniziativa che nasce nell’ambito del progetto “Sentiri di pace”, strumento di divulgazione storica (raccolta di testimonianze sulla comune storia delle due nazioni al tempo della monarchia) e di valorizzazione dell’area carsica. Sarà presente Érszegi Márk, del Ministero degli esteri ungherese.

Sabato 11 aprile a Gorizia (Teatro Verdi) saranno in scena gli spettacolari balletti dell’Hungarian State Folk Ensamble (Magyar Állami Népi Együttes). Dal 1951 questo gruppo – diretto da Kelemen László, con le coreografie di Mihály Gábor – conserva e diffonde il folklore ungherese, e di altri gruppi balcanici, in tutto il mondo. In Ungheria l’HSFE esegue iù di 100 spettacoli ogni anno.


lunedì 23 marzo 2015

Cross culture: Italia e Ungheria a confronto.

Italia, Francia e Spagna sono tra i Paesi agli ultimi posti per l’attenzione alle altre culture.
È l’opinione del linguista inglese Richard Donald Lewis, il cui libro When cultures collide (Brealey, 2005) – che studia le differenze culturali e dà consigli per migliorare la comunicazione nel busieness internazionale – è stato tradotto in varie lingue, ma non in quelle dei tre Paesi citati.
Probabilmente tali paesi mediterranei si sentono depositari di una grande eredità culturale, che così fa ombra a tutte le altre: un atteggiamento di superbia non solo disdicevole ma anche autolesionista.
L’attenzione agli altri, infatti, non solo rende più simpatici e tolleranti, ma facilita gli scambi culturali e commerciali. E facilita gli affari. Se ne accorgono sempre più imprese, in particolare quelle che esportano. Se non si adatta la comunicazione alla cultura locale, la merce resta invenduta. Lo rivelano vari studi e ricerche inquadrate sotto la voce “cross culture”, in italiano “interculturalità” (ungh. interkulturalitás).

Non è solo un problema di lingua, ma di diversità culturali (e valoriali) e anche di civiltà. Ad esempio, tra Ungheria e Italia ci sono varie differenze culturali, ma la condivisione di una stessa civiltà, la cosiddetta civiltà “occidentale”, profondamente diverse dalle civiltà asiatiche, come quelle di Cina e Giappone.
Occorre premettere che l’interculturalità è un’azione (attiva) che prende piede con difficoltà, pur se necessaria: essa va al di là della tolleranza tra diversi, è confronto (anche critico) e scambio, che concepisce le diversità culturali come un valore.
Invece, la “multiculturalità” (multikulturalitás) è una condizione (passiva) ormai diffusa in tutto il mondo, che spesso si accompagna a società multietniche.
Una buona competenza interculturale si caratterizza per: pazienza e comprensione per gli altri; consapevolezza sui propri limiti conoscitivi; preparazione a situazioni interculturali (liberandosi da pregiudizi e stereotipi); predisposizione alla cooperazione tra diversi; forte senso dell’identità propria e rispetto di quella altrui.

Capire usi e costumi di altri popoli (cioè acquisire competenze interculturali e sviluppare empatia verso gli starnieri) è sempre più importante, soprattutto negli scambi commerciali. Del resto, la propria cultura è riconoscibile veramente solo dal rapporto con le altre culture.
Proviamo dunque a fare un confronto tra Italia e Ungheria (triangolato con la Germania), nella cultura e negli affari.

Guardano la scarsa diffusione di corsi e libri sull’argomento, gli italiani sembrano poco interessati a questi aspetti e si affidano più alla spontaneità che all’organizzazione, anche negli affari. Comunque, secondo la ricercatrice Caterina Cerutti, che ha studiato il partenariato commerciale italo-tedesco, italiani e tedeschi si compeltano a vicenda, i primi caratterizzati dall’eloquenza (creatività, inventiva) e i secondi dalla precisione (affidabilità).
A livello culturale, grande è l’attenzione alle diversità regionali, mentre la curiosità verso le altre lingue e culture è limitata da un complesso di superiorità (la “genialità” italiana, il “Bel Paese”).

Gli ungheresi, invece, specie negli affari, sembrano più attenti alle altre culture. Hanno preso dai loro vicini (e fino a un secolo fa, amici-nemici alleati) austro-tedeschi un po’ di capacità di pianificazione e di orientamento al risultato. Secondo Lewis, però, per ottenere successo gli ungheresi seguone strade diverse dai tedeschi: questi sono freddi e calcolatori, disciplinati e programmati; i magiari invece sono più fantasiosi e indisciplinati, non sempre coerenti.
L’attenzione alle altre culture, però, si ferma davanti ai pregiudizi verso le minoranze interne. In particolare, appaiono oscurati i rom (ungh. cigány), statisticamente il 2% della popolazione (sulla base di autodichiarazioni influenzate dalla paura di discriminazioni), ma alcune stime li fanno salire a circa il 10%: una presenza in gran parte stanziale (più che nomadi, i rom sono dunque un popolo senza nazione).

Quali differenze tra italiani e ungheresi? 
Prendo in prestito due macrocategorie della sociologia anglosassone: Low Contest Culture e High Contest Culture, proposti nel 1976 dall’antropologo Edward T. Hall.
Alla prima categoria appartiene il tipo di comunicazione dove è più importante il contenuto; alla seconda categoria, quella dove è più importante la relazione. Non che una sia migliore dell’altra: dipende dalle situazioni. Se si stanno trattando affari, il rilievo andrebbe dato al contenuto degli accordi. Se coltiviamo uno scambio culturale, la relazione è l’aspetto decisivo.
I paesi del nord Europa e quelli anglosassoni sono classificati tra quelli Low Contest Culture. I paesi del sud Europa, del sud Amercia, ma anche dell’estremo oriente (Cina, in particolare) rientrano tra quelli High Contest Culture. Non si tratta certo di raggruppamenti omogenei: all’interno di essi abitudini, etichetta, riti e tabù possono essere molto diversi, o addirittura avere significati opposti.
Comunque, italiani e ungheresi appartengono entrambi al modello High Contest Culture e le differenze, mi pare, riguardano aspetti marginali: gli ungheresi sono più attenti alle forme e più composti (almeno inizialmente) nelle relazioni interpersonali; gli italiani abbondano in comunicazione non verbale (gesti, prossimità) e spesso trascurano la chiarezza nel contenuto comunicativo.

A proposito di interculturalità, azzardo una conclusione.
In Ungheria, la conoscenza delle lingue straniere, e relative culture, è più sviluppata, mentre l’attenzione verso le diverse culture all’interno appare insufficiente e segnata da pregiudizi (oltre che da rivalità con i popoli confinanti).

Il contrario in Italia: risultano carenze nell’azione interculturale verso l’esterno, che invece è ben presente verso l’interno, grazie alle forti identità regionali (a volte, in competizione). 

lunedì 16 marzo 2015

Dalla fonte più pura. Ungheria all'Expo.

Una due giorni intensa (anche se improvvisata), coincidenti con le celebrazioni per i moti indipendentisti del 1848 (festa nazionale ungherese). Il 14 e 15 marzo l’Ungheria ha presentato a Milano (Expo Gate) il proprio padiglione all’Expo 2015, all’insegna del tema “Dalla fonte più pura”: il paese è ricco di acque e fonti termali.
Un programma intenso e variegato ha fornito un assaggio di ciò che caratterizzerà la presenza dell’Ungheria all’esposizione universale che si apre il prossimo 1° maggio: salubrità del cibo, stile di vita sano, necessità di garantire sicurezza alimentare e biodiversità alle future generazioni.
Il commissario ungherese all’Expo, Szőcs Géza, e la direttrice del programma, Székely Edit, hanno sottolineato il contributo del padiglione ungherese a due delle maggiori questioni mondiali: la carenza di acqua potabile, il diritto a una sana nutrizione.
Musica, gastronomia e cultura, declinati all’ungherese, saranno la vetrina di un padiglione originale, ideato da Sárkány Sándor: su circa duemila metri quadri, una sorta di Arca di Noè di tre piani accoglierà i visitatori consentendogli di conoscere meglio le bellezze di questo paese e la peculiare presenza culturale e scientifica degli ungheresi nel panorama internazionale.
Eccomi all’Expo Gate con l’attrice ungherese Osvárt Andrea, testimonial per l’Ungheria all’Expo.

lunedì 9 marzo 2015

“Giuriamo che non saremo più schiavi”.

Il prossimo 15 marzo è il 167° anniversario della rivoluzione del 1848-49, quando gli ungheresi si ribellarono agli austriaci e proclamarono la repubblica.
Assieme alla ricorrenza dell’incoronazione di re Stefano (20 agosto), è la festività più sentita e più condivisa dagli ungheresi.
Il poeta nazionale ungherese, Petöfi Sándor (1823-1849), il 15 marzo 1848 incitò la folla raccolta davanti al Museo Nazionale di Budapest, leggendo la sua poesia “Canto Nazionale” (Nemzeti Dal). Scoppiarono i moti di indipendenza. Pochi giorni dopo, ecco “le cinque giornate di Milano”.
Un mese prima lo stesso Petöfi, favorevolmente impressionato dai moti siciliani, scrisse un ode all’Italia, dove chiedeva aiuto al popolo italiano in nome del “Dio della Libertà”.

Nemzeti dal
Talpra magyar, hí a haza!
Itt az idő, most vagy soha!
Rabok legyünk, vagy szabadok?
Ez a kérdés, válasszatok! -
A magyarok istenére
Esküszünk,
Esküszünk, hogy rabok tovább
Nem leszünk!

Rabok voltunk mostanáig,
Kárhozottak ősapáink,
Kik szabadon éltek-haltak,
Szolgaföldben nem nyughatnak.
A magyarok istenére
Esküszünk,
Esküszünk, hogy rabok tovább
Nem leszünk!

Sehonnai bitang ember,
Ki most, ha kell, halni nem mer,
Kinek drágább rongy élete,
Mint a haza becsülete.
A magyarok istenére
Esküszünk,
Esküszünk, hogy rabok tovább
Nem leszünk!

Fényesebb a láncnál a kard,
Jobban ékesíti a kart,
És mi mégis láncot hordunk!
Ide veled, régi kardunk!
A magyarok istenére
Esküszünk,
Esküszünk, hogy rabok tovább
Nem leszünk!

A magyar név megint szép lesz,
Méltó régi nagy hiréhez;
Mit rákentek a századok,
Lemossuk a gyalázatot!
A magyarok istenére
Esküszünk,
Esküszünk, hogy rabok tovább
Nem leszünk!

Hol sírjaink domborulnak,
Unokáink leborulnak,
És áldó imádság mellett
Mondják el szent neveinket.
A magyarok istenére
Esküszünk,
Esküszünk, hogy rabok tovább
Nem leszünk!
Petöfi Sándor (marzo 1848)

La spada brilla più della catena:
S’addice meglio al braccio
Noi invece portiamo catene.
A noi dunque la spada gloriosa.
Per il Dio, per il Dio dei magiari,
Giuriamo
Giuriamo
Che noi non saremo più schiavi!
(trad. della 4° strofa a cura di Sárközy Péter)

Anche gli ungheresi in Italia festeggiano tale anniversario.
A Padova, domenica 15 marzo (ore 12, Chiesa di S. Stefano Re d’Ungheria) Mons. Németh László officierà una messa con l’accompagnamento musicale di Lóczi Klára.
Seguirà un pranzo presso il Patronato della stessa chiesa (prenotazioni presso il Consolato d’Ungheria a Venezia).

A Milano, sabato 14 marzo (ore 12, Pinacoteca Ambrosiana) si svolgerà una commemorazione ufficiale dei moti di indipendenza 1848-49. Sarà presente il nuovo Console generale di Ungheria, Timaffy Judit Vilma (in passato, console ungherese in Nicaragua).

Storia dell’Ungheria.

Nella partizione sinistra dello stemma d’Ungheria (Magyarorsázg címere), sormontato dalla corona di Santo Stefano, quattro fasce d’argento simboleggiano i fiumi principali (Duna, Tisza, Dráva, Száva), alternate a strisce rosse che rappresentano il sangue sparso in guerra; nella partizione destra sono simboleggiati le montagne principali (Tátra, Fátra,Mátra), da cui s’innalza la doppia croce apostolica”.
L’Ungheria è stato uno dei regni più longevi dell’Europa: oltre un millennio. Eppure della sua storia, specie quella precedente, restano diversi punti oscuri.

Ci aiuta ad orientarci, con una pregevole sintesi storica, il prof. Roberto Ruspanti, docente di lingua e letteratura ungherese all’università di Udine (nonché direttore del Cisueco, Centro interuniversitario di Studi Ungheresi e sull’Europa Centro-Orientale), che ringrazio per la gentile concessione alla pubblicazione su questo blog.

Si tratta del testo della conferenza “Il lungo percorso dei Magiari verso e dentro l’Europa” che il prof. Ruspanti ha tenuto a Udine lo scorso 11 febbraio, nell’ambito del progetto scientifico-didattico “L’Ungheria è vicina” (v. post dell’11 febbrai ‘15), che prevede otto incontri pubblici da febbraio a maggio e anche un mini corso di base per conscere la lingua ungherese.

Chi era Fra’ Giuliano (Julianus barát) e dov’era la mitica Magna Hungaria? Cosa s’intende per “Grande Ungheria “ (Nagy-Magyarország)? Queste e altre domande troveranno risposte, anche se resta avvolta nel mistero l’origine remota della patri magiara.

mercoledì 4 marzo 2015

Il centro-studi Adria-Danubia presenta gli atti.

A Capodistria, in Slovenia, il 5 marzo (ore 18, Biblioteca centrale “Srečko Vilhar”), saranno presentati gli atti già pubblicati degli ultimi convegni promossi dal centro-studi Adria-Danubia  di Duino Aurisina (TS).

Si tratta di tre volumi, pubblicati da Luglio editore tra il 2013 e il 2014, che verrano presentati al pubblico dagli autori e da Kristjan Knez, presidente della Società di studi storici e geografici di Pirano.



Ecco le opere:
-         Le via della guerra. Il mondo adriatico-danubiano, a cura di Gizella Nemeth e Adriano Papo;
-         Armi e diplomazia alla vigilia della Grande Guerra, a cura di Gizella Nemeth, Adriano Papo e Gianluca Pastori;
-         Da Sarajevo al Carso, a cura di Gizella Nemeth e Adriano Papo.

L’iniziativa è frutto della cooperazione italo-slovena tra il Centro-studi Adria-Danubia e la Società di studi storici e geografici, oltre alla Biblioteca centrale e al Centro Italiano “Carlo Combi” di Koper-Capodistria.

Da notare che gli sloveni italiani sono poco più di 2mila, di cui un terzo vive nella città di Capodistria (Koper in sloveno). La costituzione slovena garantisce il bilinguismo italo-sloveno: è ufficiale in 4 comuni costieri (Ancarano, Capodistria, Isola d’Istria, Pirano).

Ad est, esiste anche un bilinguismo ungherese-sloveno in 3 comuni oltre il fiume Mura: Dobrovnik, Hodoš, Lendeva (ungh. Dobronák, Hodos, Lendva).

martedì 3 marzo 2015

BAIU: 100.000 grazie!

In meno di due anni dalla nascita (poco più di 20 mesi), questo blog (BAIU, blog amicizia italo ungherese) e il suo successivo collegamento al social network  Google Plus (la mia pagina personale) hanno totalizzato centomila visualizzazioni!

I navigatori provengono da 55 paesi nel mondo (v. cartina): oltre metà sono italiani.
Al secondo e terzo posto si piazzano i followers rispettivamente dell’Ungheria e degli USA.
Seguono: Germania, Francia, Russia, Svizzera, Regno Unito, Ucraina, Polonia e India.

Questi numeri, tradotti in utenti unici, sono meno clamorosi ma comunque importanti. Sono circa cinquecento in Italia e altrettanto o forse più, ma meno fidelizzati (si tratta di stime), negli altri paesi del mondo.
Grazie a tutti costoro!
L’amicizia italo-ungherese è anche una rete virtuale estesa e significativa.

Buona lettura! Jó olvasást!

lunedì 2 marzo 2015

Proverbio/detto ungherese del mese (1023).

Nyújtsd neki a kisujjad, a karodat akarja, tradotto: “gli offri il tuo dito, vuole il tuo braccio”. In italiano è quasi identico, “gli dai un dito e ti prende la mano”, però con una variante che ne inverte quasi il senso: “a chi ti porge il dito, tu piglia il dito e la mano”, che il Giusti inserisce nel gruppo cupidità, amor di se stesso.
Già due mila anni fa i romani mettevano in guardia (latino: si digitum porrexeris, manum invadet) dall’essere troppo arrendevoli o generosi nei confronti di altri (presumibilmente, avidi), che ne approfitterebbero per prendersi il massimo vantaggio.
È un proverbio tuttora molto utilizzato, anche in forma iperbolica, come quella del produttore cinematografico Vittorio Cecchi Gori che – a proposito del politico-imprenditore Silvio Berlusconi – confidò: “Silvio è uno che, se gli dai un dito, si prende il culo”.

Questo proverbio l’ho trovato in European proverbs in 55 laguages (De Proverbio.com, 2002) del paremiologo ungherese Paczolay Gyula, amico di questo blog. Nel libro è accompagnato dagli equivalenti in 50 lingue, arabo e cinese compresi.
Ne riporto alcuni così da fare un confronto tra le varie lingue, di cui riporto i raggruppamenti più vicini e interessanti.

·        lingue indoeuropee
-         germaniche (Germania, Inghilterra, Svezia)
-         romanze o neolatine (Spagna, Francia, Italia, Romania)
-         slave (Slovacchia, Slovenia)
·        lingue uralo-altaiche (non indoeuropee)
-         ugrofinniche (Estonia, Finlandia, Ungheria)
-         altaiche (Turchia)


DE – Wenn man einem den Finger gibt, so will er gleich die ganze Hand.
EN – Give him a finger and will take a hand.
SV – Kommer fan i kyrkan, vill han strax upp på predikstilen.

ES – Al villano dale el pie, y tomará la mano.
FR – Si vous lui donnez un pied, il vous prendra la jambe.
IT – Gli dai un dito e ti prende la mano.
RO – Dai un deget si-ti ia mîna toatǎ.

SK – Podaj čertovi prst, uchmetne ti celú ruku.
SI – Ko mu prst pomoliš, zagrabi vso roko. 

EE – Anna kujale sõrme ots, tema võtab käe.
FI – Anna pirulle pikkusormi, se ottaa koko käden.
HU – Nyújtsd neki a kisujjad, a karodat akarja.
TR – Elini veren kolunu alamz.


Alcune lingue dello stesso gruppo appaiono effettivamente vicine (vedi estone e finlandese, oppure sloveno e slovacco, italiano e spagnolo); altre non sembrerebbero apparentate (vedi ungherese, turco, svedese o rumeno), ma tale è la loro classificazione. Evidentemente la linguistica ha trovato radici comuni nei diversi gruppi, anche se si tratta spesso di teorie contestate.