giovedì 29 maggio 2014

Dalla Galizia al Carso.



Il centenario dell’inizio della Grande Guerra (per l’Italia, 1915-18) può essere occasione di riflessione serena su quel tragico conflitto europeo e mondiale. Ad esempio con l’iniziativa della Provincia di Trieste (Comunicare ai giovani la Grande Guerra) per sensibilizzare le nuove generazioni, o di quella di Gorizia (Progetto Carso 2014+), per coniugare la memoria storica con la valorizzazione del territorio.
Oppure come le associazioni Vergerio e Sodalitas, che propongono il tema “Dalla Galizia al Carso” per il 3° Festival di storia e cultura Adria-Danubia. Si tratta di quattro appuntamenti (un convegno internazionale, una serata letterario-musicale, due presentazioni di libri), dal 30 maggio al 12 giugno, tra Trieste, Duino Aurisina e Sistiana. Con l’adesione delle università ungheresi di Szeged e Szombathely, tra gli altri è prevista la partecipazione dei professori Barták Balázs, Buda Boton, Madarász Imre e Szabó Tibor, nonché dell’italiano magiarista Antonio Sciacovelli.

Alcuni degli itinerari dell’”inferno di pietra” (così il titolo di un libro sulla guerra nel Carso) sono noti: il sacrario di Redipuglia, Monte San Michele, musei di Gorizia e Caporetto. Altri meno: cimitero austro-ungarico di Fogliano, Trincea delle frasche, Dolina dei Bersaglieri, Monte Sei Busi.

Forse, anche meno note sono le vicende della I guerra mondiale.
L’evento scatenante: l’assassinio dell’arciduca Ferdinando, erede al trono dell’Impero Austro-Ungarico, da parte dell’indipendentista serbo Gavrilo Princip.
La situazione preesistente: la Duplice Monarchia Austria-Ungheria nel censimento del 1910, su 52 milioni di abitanti, vedeva presenti 12 etnie , tra cui austriaci (24%), ungheresi (20%), italiani (2%).
La situazione degli italiani oltre confine (Gorizia, Monfalcone, Trieste erano asburgiche): gli italiani erano mandati sul fronte orientale (Galizia) o sul Carso, se risultavano filo-Regno d’Italia, oppure al confino se considerati pericolosi; per non parlare dei profughi di guerra (100mila dalla sola Trieste).
Le conseguenze post-belliche: oltre alle decine di milioni di morti e ai traumi di una carneficina inenarrabile, la dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico e lo smembramento dell’Ungheria (Trattato del Trianon, 1920).
Sembrano detriti di un passato lontano, ma forse hanno ancora da dire qualcosa alle forze disgregatrici che attraversano l’Europa odierna.

Un altro momento di riflessione è previsto tra breve a Udine: la presentazione del libro Ungheria. Dalle cospirazioni giacobine alla crisi del terzo millennio, di Gizella Nemeth e Adriano Papo (Ed. Luglio, 2013), dell’associazione culturale Paolo Vergerio.


mercoledì 28 maggio 2014

Eger, non solo cantine.



Eger: chiesa e minareto.
Lo ammetto. Conosco Eger (55mila abitanti, capoluogo della provincia nord di Heves) solo per due ottimi vini rossi ungheresi: Egri Bikavér (sangue di toro) e Egri Kékfrankos.
Ma l’invito alla presentazione del libro Stelle di Eger (ungh. Egri Csillagok) – premiato nel 2005 come “il libro più amato dai lettori ungheresi” – m’incuriosisce molto.
L’evento sarà a Venezia (Scoletta dei Calegheri) il 6 giugno (ore 18), promosso dall’Associazione italo-ungherese del Triveneto, il Consolato ungherese e l’università di Debrecen (parteciperà Madarász Imre, docente di italianistica a Budapest e Debrecen).

Il libro è di Gárdonyi Géza (1863-1922), famoso in Ungheria per i romanzi storici, ma anche per racconti di vita campestre con una vena umoristica.
Stelle di Eger descrive il patriottismo magiaro contro l’impero ottomano che minacciava l’Europa nel XVI secolo (le guerre ottomano-ungheresi durarono dalla fine del ‘300 a metà del ‘500, concludendosi con la distruzione del Regno d’Ungheria e la sua spartizione tra turchi e austriaci). Leggendaria fu la difesa della fortezza di Eger (1552) da parte di un gruppo di magiari capitanati da Dobó István contro i turchi di Alì Pascià.
La fortezza pentagonale è ancora là, così come una traccia della presenza turca: un minareto (quello più a nord in Europa).

Eger (gemellata con Arezzo e Sarzana) è famosa per il vino (bor), i vigneti (borvidék), le cantine (pincék). Una città con tante testimonianze storiche (barocche e medievali), che si trova anche in una invidiabile posizione geografica, tra  i monti Bükk e Mátra e il fiume Tibisco (Tisza): la pittoresca “valle delle belle signore” (Szépasszony-völgy).

L’evento di Venezia è un’occasione unica, anche perché libri di Gárdonyi in Italia non ce ne sono: l’unico finora tradotto da Filippo Faber risale al 1939, Gli schiavi di Dio (Utet). Stelle di Eger - tradotto in italiano da Patricia Nagy e curato da Guido Tanca – è stato stampato lo scorso anno in Ungheria, a Pécs, e sarà in vendita all’incontro.

domenica 25 maggio 2014

Attila in Italia.

A Magyarok nyilaitól ments meg Uram, Minket! Così in ungherese, ma l'originale era in latino: A sagittis Hugarorum Libera Nos Domine, “dalla frecce degli Ungari, salvaci Nostro Signore”, una preghiera cristiana del IX secolo. Era un'invocazione contro le invasioni degli Ungari in quel periodo, affinché non si ripetesse la tragedia del 452, quando gli Unni guidati da Attila “il flagello di Dio” (Isten ostora) invasero l'Impero Romano d'Occidente e, tra l'altro, rasero al suolo Aquileia, i cui abitanti si rifugiarono nelle paludi, dando origine così a Venezia.
Nell'immaginario ungherse Unni (Hunok) e Magiari (Magyarok) sono ancora associati.

Un interessante convegno, ATTILA IN ITALIA dalla letteratura franco-italiana a Verdi (e oltre), è previsto a Padova (Accademia Galileiana) il 29 e 30 maggio (inizio giovedì ore 15.30).
Tra i relatori anche Edina Bozoky, studiosa di storia medievale all’Università di Poitiers (Francia), autrice del libro ATTILA E GLI UNNI. Verità e leggende (Il Mulino, 2014, traduzione di A. Talamonti).
Chi erano Attila e gli Unni, circondati da fama di devastazione e crudeltà? Il libro racconta storia e leggenda, nelle diverse aree europee. Attila per gli italiani è “il terribile”, ma nei paesi germanici è un re benevolo e generoso; in Ungheria addirittura un eroe nazionale.
L'evento è promosso dall' Associazione Culturale italo-ungherese del Triveneto, oltre che dal Consolato ungherese di Venezia e l'Accademia d'Ungheria di Roma.

Per Antonio Bonfini, umanista e storiografo italiano alla corte ungherese del XV secolo, Attila era come un principe rinascimentale, astuto condottiero capace di tenere unite le varie tribù nomadi degli Unni. Incaricato di scrivere una storia dei Magiari (Rerum Ungaricarum Decades), ne fece un modello ideale del “secondo Attila”, il Re Mattia Corvino, capace di ristabilire un Regno unitario e rinascimentale. Una raffigurazione divergente, quella del Bonfini: ora Attila era potente e simpatico, ora diveniva antipatico e crudele (nella descrizione delle campagne militari contro Italia e Francia). Un paragone che si ritorse contro il Re Mattia, nuovo “Flagellum Dei” per i suoi critici.
Ma il mito di Attila servì come strumento ideologico a scopo politico. Del resto, secondo Kulcsár Péter, la leggenda degli Unni offriva un passato eroico agli Ungheresi.
In seguito, si è chiarito che i Magiari o Ungari – di origine ugrica (est degli Urali), con mescolanze bulgaro-turche – non discendevano dagli Unni, di origine turco-mongola. La presenza dei due popoli nel bacino carpatico è separata da 600 anni e, alla morte di Attila nel 453, l'impero cadde e gli Unni tornarono verso le steppe asiatiche.

Il mito sopravvive tra i magiari: ancor'oggi è comune il nome Attila (gli ungheresi lo pronunciano “ò-tilla”), simbolo di coraggio e fiera indipendenza, come pure quello di Ildikó, sua seconda moglie.
Oltre ai libri storici, anche il cinema e la tv si sono occupati di lui. Attila the Hun nel 2001 è stata una mini-serie tv di produzione americana. “Dove passa Attila non cresce più l'erba” era un modo di dire, specie nel Nord-Est dell'Italia, e una persona malvagia o un bambino violento venivano definiti “Attila”. Oggi gli si riconoscono anche doti di abile politico ed esperto di strategie militari, ma nell'immaginario resta il temibile condottiero che capeggiava abili cavalieri-arceri.

sabato 24 maggio 2014

L'ungherese Mundruczó vince a Cannes.

Mundruczó e il cane Hagen
In una delle sezioni dei premi minori di Cannes (Un certain regard) il primo premio, assegnato dalla giuria presieduta dal regista argentino Pablo Trapero, è andato al film White God (Dio Bianco, ungh. Fehér Isten) dell'ungherese Mundruczó Kornél, già premiato nel 2008.

In questo decimo lungometraggio, Mundruczó descrive un mondo apocalittico di perdenti, dove contano i privilegi. Ma alla fine si intravede la speranza di un mondo più giusto e senza ipocrisie.

È la storia, della tredicenne Lili e del suo miglior amico, il cane meticcio Hagen.
In una intervista, Mundruczó sostiene che oggi: “ Il senso di superiorità è diventato il principale privilegio e valore della civilizzazione occidentale ed è divenuto impossibile evitarne l’abuso.
E prosegue: “E’ proprio questo atteggiamento che favorisce l’odio e che crea menzogne e semiverità. Che sembra volere incessantemente addomesticare le minoranze mentre in realtà vuole distruggerle. Che in maniera ipocrita nega le illegalità mostrando di non credere né alla pace sociale né alla possibilità di una coesistenza possibile. Al posto delle minoranze ho voluto scegliere pertanto degli animali come soggetto del mio film, una specie derelitta che è stata una volta amica dell’uomo e che ora è costretta a rivoltarglisi contro pur di far valere la sua esistenza.”

Insomma, il film è una critica alla società in cui viviamo in Europa. Un film che utilizza molti generi, dal melodrammatico al thriller, e che probabilmente avrà un successo internazionale grazie anche al produttore ungherese Andrew G. Vajna, quello di Atto di forza, Terminator 3, Die Hard.

Il premio maggiore, la Palma d'Oro, va a Winter Sleep, film del turco Yuri Bilge Ceylan. C'è un premio anche per l'Italia: il film Le Meraviglie, di Alice Rohrwarcher, si aggiudica il Gran Prix.

martedì 20 maggio 2014

Viaggio in Ungheria 80 anni fa.



Com’era l’Ungheria 80 fa?
Un inglese diciannovenne la attraversa in un vitalistico viaggio, a piedi, dall’Olanda a Costantinopoli.  Non come turista, ma come un viaggiatore che si ferma ad ascoltare, osservare,  imparare.
Patrick Leigh Fermor (1915-2011) ha poi raccontato quel viaggio di formazione in tre libri. Ho letto il secondo, Fra i boschi e l’acqua (Adelphi, 2013; traduzione di Adriana Bottini e Jacopo M. Colucci), ambientato in Ungheria e Transilvania.

Questa parte del viaggio, seguendo il corso del Danubio, comincia da Esztergom, al confine tra Slovacchia e Ungheria, e arriva alle Porte di ferro, in Romania, dopo aver attraversato “la frontiera più odiata d’Europa” (nel contenzioso tra i due Stati, Tremor si colloca a metà strada tra la teoria ungherese del vuoto e quella rumena del focolaio, che legittimerebbero le rispettive rivendicazioni territoriali sull’Erdély/Ardeal, e “desidera ardentemente la riconciliazione” tra i due popoli).
È una lettura avvincente, piena di dotte descrizioni naturalistiche, architettoniche, etnologiche, negli scenari della grande pianura ungherese (Alföld) prima, e dei boschi montani della Transilvania (fino al 1920 parte dell’Ungheria, dove ancora oggi vive la più grande minoranza in Europa, quella magiara) poi.
Una lettura densa di digressioni stimolanti sulla lingua (“miracolosamente integra”) e sulla storia ungherese, in quegli anni sfociata nello smembramento del multietnico Regno d’Ungheria, sancito dal Trattato del Trianon a seguito della sconfitta nella I guerra mondiale.

Fermor descrive un mondo – quello dell’aristocrazia decaduta e quello di pastori e contadini non toccati dalla rivoluzione industriale – che da lì a pochi anni scomparirà, con la catastrofe della II guerra mondiale e le trasformazioni socio-economiche del dopoguerra.
È anche un’esperienza sentimentale e ludica, foriera di nuove sensazioni, come il mulatság (sul vocabolario è tradotto “divertimento, trattenimento, kermesse”, ma questa parola ungherese è intraducibile e corrisponde a uno stato d’animo brioso, godereccio ma anche melanconico, suscitato da musica zigana, ballo e alcool).

Un libro da leggere, per salvare la ricchezza delle diversità culturali. “La cultura è ciò che resta quando si è tutto dimenticato”, secondo Erbert Herriot, citato da Fermor.

mercoledì 14 maggio 2014

Un anno di BAIU.



Circa 9mila visualizzazioni da 41 Paesi diversi (v. elenco in fondo e immagine a lato), 90 post e – soprattutto – nuovi legami tra italiani e ungheresi. È un bilancio soddisfacente del 1° anno di vita di questo blog per l’amicizia italo-ungherese (BAIU). Anche se avrei preferito più commenti.

Poi c’è il libro bilingue di proverbi ungheresi. Dopo 3 edizioni e oltre trecento copie vendute (o regalate), arriverà un’edizione speciale per l’Expo Milano 2015. In fondo alla pagina dedicata al libro trovate gli appuntamenti pubblici di presentazione, con l’elenco degli incontri (találkozásók).

Ed ecco due “regali”per festeggiare con i lettori questo primo compleanno.

Il primo è l’elenco di tutte le pubblicazioni in lingua italiana (o bilingue), apparse in Italia o in Ungheria, di autori ungheresi o di argomento ungherese, dal dopoguerra. La bibliografia è redatta a cura del Consolato ungherese di Venezia e ospitata sul sito dell’Associazione Culturale italo-ungherese del Triveneto. Si tratta di un aggiornamento delle “pubblicazioni ungheresi degli ultimi cinquant’anni in Italia”, raccolte da Anna Rossi (addetta consolare) già nel 2004, sul n. 19 della Rivista di Studi Ungheresi.
L’elenco è il più completo in circolazione, ma richiede sempre aggiornamenti.
Ne segnalo tre:
-         a cura di Amedeo Di Francesco e Judit Papp, premessa di Amedeo Di Francesco, Sándor Márai e Napoli, Atti del convegno internazionale 2012 (M. D’Auria Editore, 2013, € 30,00);
-         a cura di Peter Sárközy, Fioretti della prosa antica ungherese. Antologia bilingue. Testo ungherese a fronte. (Sapienza Università editrice, 2013, € 15,00);
-         Gizella Nemeth, Adriano Papo, Pippo Spano. Un eroe antiturco antesignano del Rinascimento (Edizioni della Laguna, 2006, € 20,00).

Il secondo è la nuova pagina “download”: un elenco progressivo di tutti i documenti scaricabili da questo blog.

Buona lettura! Jó olvasást!


PAESI VISUALIZZANTI

AFRICA (Afrika)
Egitto (Egyiptom)
Nigeria (Nigéria)
Sudafrica (Dél-Afrika)

AMERICHE (Amerika)
Argentina (Argentína)
Canada (Kanada)
Messico (Mexicó)
Usa (Amerikai Egyesült Állomok)
Venezuela (Venezuela)

ASIA E OCEANIA  (Ázsia és Óceánia)
Cina (Kína)
Giappone (Japán)
India (India)
Malesia (Malaysia)
Taiwan (Tajvan)
Thailandia (Thaiföld)
Vietnam (Vietnam)

EUROPA (Európa)
Austria (Ausztria)
Belgio (Belgium)
Bielorussia (Belarus)
Finlandia (Finnország)
Francia (Franciaország)
Germania (Németország)
Gran Bretagna (nagy Britannia)
Grecia (Görögország)
Irlanda (Írország)
Italia (Olaszország)
Lettonia (Lettország)
Lussemburgo (Luxemburg)
Montenegro (Montenegró)
Olanda (Hollandia)
Polonia (Lengyelorságz)
Romania (Románia)
Russia (Oroszország)
Serbia (Szerbia)
Slovacchia (Szlovákia)
Slovenia (Szlovénia)
Spagna (Spanyolország)
Svezia (Svédország)
Svizzera (Svájci)
Turchia (Törökország)
Ucraina (Ukrajna)
Ungheria(Magyarország)

-          documenti scaricabili del blog

lunedì 12 maggio 2014

Italia e Ungheria a Cannes.



Il 67° festival del cinema di Cannes, dal 14 al 25 maggio, ha nel poster ufficiale l'immagine di Marcello Mastroianni: uno sguardo rivolto alle donne.
E le donne appaiono protagoniste di questa edizione del prestigioso festival cinematografico francese.

Il cinema italiano è presente con due donne nelle sezioni più importanti: Alice Rohrwacher (le Meraviglie) per il Concorso, e Asia Argento (Incompresa) per la sezione “Un certain regard”.
Per i film di studenti (Cinéfondation) è presente Fulvio Risuleo (Lievito Madre).
Altri italiani sono presenti nelle sezioni parallele del festival: in particolare, Jonas Carpignano (A Ciambra) e Sebastiano Riso (Più buio di mezzanotte) per la “Semaine de la critique”.

È donna la regista ungherese Szőcs Petra (A kivégzés, L'esecuzione), che compete con altri otto film selezionati per la Palma d'oro dei cortometraggi con una coproduzione Ungheria-Romania. Tra l'altro, suo padre Szőcs Géza è attualmente in Italia come commissario ungherese per l'Expo 2015.
Per il Concorso dei lungometraggi gareggia il 39enne ungherese Mundruczó Kornél (Fehér Isten, Dio Bianco), già più volte presente a Cannes.
Per i film di studenti è presente il giovane ungherese Kárpáti György Móri (Provincia), dell'Università delle arti filmiche e teatrali (Színház-és Filművézeti Egyetem) di Budapest.

Chissà se potremo vedere al cinema queste opere? Su Internet qualcosa si può già visionare.



- siti sul festival di Cannes: italianoe ungherese

lunedì 5 maggio 2014

Proverbio/detto ungherese del mese (1013).



Questa rubrica compie un anno e si concede un tuffo nei modi di dire attuali.
La creazione di nuovi proverbi (közmondások) si è arrestata con l’affermarsi dei nuovi mass media: la prima generazione, analogica, tra il XIX e il XX secolo (cinema, fotografia, radio); la seconda, digitale, nel passaggio tra il I e il II millennio (tv, pc, internet, smartphone).
In realtà la creazioni di frasi fatte di contenuto “sapienziale” è continuata sotto forma di nuovi aforismi (aforizmák). Infatti, l’anonimato dei vecchi proverbi (prodotto della cultura orale) ha ceduto il posto all’informazione in tempo reale (corto circuito tra scrittore e lettore).
Ancor più è continuata la creazione di modi di dire (szólások), a livello locale e globale, veicolati dalla rete e utilizzati a piene mani nel linguaggio giornalistico e nella pubblicità.

Quelli che seguono sono alcuni modi di dire (con equivalenti inglesi,), raccolti da Paczolay Gyula, il pariemiologo che già conosciamo (v. post del 16 dicembre ‘13). Paczolay – ancora attivo ricercatore, nonostante il pensionamento – li ha rilevati da giornali, riviste, radio e tv ungheresi.
Naturalmente, li ho corredati dei corrispondenti modi di dire italiani.

Béna kacsa.
Lame ducy.
È un’anatra zoppa.

Kiteríti a kártyáit.
He spreads out his card.
Mettere le carte sul tavolo.

Egészpályás letámadás.
Attacks on all frontlines.
Attacco su tutta la linea.

Ez a meccs még nincs lejátszva.
This competition is not yet over.
La partita non è ancora finita.

Soha ne mondd, hogy soha.
Never say: never.
Mai dire mai.