mercoledì 23 ottobre 2013

Video art ungherese a Venezia.



Sfera 2.2, Mátrai Erik
Il giovane artista di Budapest, Mátrai Erik, espone una delle sue installazioni alla Chiesa San Lio (Castello, Venezia) fino al 20 novembre.
L’ingresso è gratuito (h. 10-18).
Questo artista è considerato uno dei maggiori talenti della sua generazione. Utilizza le nuove tecnologie, affidandosi a una simbologia essenziale – legata ai temi della religiosità e del sacro – dove domina la luce.
L’installazione nella Chiesa di S. Lio è un adattamento di un’opera già allestita nel 2011 nella città ungherese di Eger. Nel buio della chiesa spicca una sfera luminosa formata da 600 pezzi di carta illuminati da raggi ultravioletti; alla base della “Sfera 02.2” stanno due vasche semicircolari riempite d’acqua, che il visitatore può attraversare solcando la semisfera reale e quella riflessa.

La mostra è stata inaugurata lo scorso 30 settembre dal commissario ungherese per la Biennale di Venezia, Gulyás Gábor. L’evento rientra nell’ambito dell’anno culturale Ungheria-Italia 2013, che ha visto molto attiva l’Associazione Culturale italo-ungherese del Triveneto, la quale domenica scorsa ha festeggiato il “Szabadság nap” (giorno della libertà, 23 ottobre) che ricorda la rivoluzione ungherese del ’56.
L’associazione promuove anche la diffusione della lingua e cultura ungherese. In tal senso ha segnalato i corsi dell’università di Padova (Cinzia Franchi) e Udine (Paolo Driussi, Kiss Katalin).

-          Mátrai Erik.PORTFOLIO  

lunedì 21 ottobre 2013

Budapest: bel caleidoscopio, ma quanta Italia manca!



Juhász Zsuzsanna (l'altro sono io)
Lo scorso week-end (nonostante un imprevisto stop all’ospedale), con amici ungheresi, ho visitato la rassegna Kaleidoscopio Italia, organizzata a Budapest dall’Istituto Italiano di Cultura (IIC).
Oltre 100 espositori, decine di spettacoli (film, musica) e, soprattutto, molti visitatori hanno decretato il successo di questa iniziativa, dopo il primo timido tentativo dello scorso anno.
In Ungheria ci sono oltre 2.700 aziende italiane che occupano migliaia di lavoratori ungheresi. Nonostante la crisi che accomuna i due Paesi, ci sono molte opportunità di espandere gli scambi commerciali.
Inoltre, l’attrazione per l’Italia e le sue qualità (moda, design, enogastronomia, arte e cultura) è forte: oltre 100mila ungheresi parlano l’italiano, insegnato in circa 250 scuole. Il flusso turistico di circa 1 milione di persone l’anno può essere incrementato.
Ben vengano iniziative come questa che offrono un “assaggio” dell’Italia a potenziali turisti, clienti, investitori.
Io ho trovato diverse occasioni di scambio, mentre promuovevo il mio libro.
Ho incontrato la redattrice di Economia.hu, Claudia Leporatti, che svolge un lavoro pionieristico nella capitale magiara.
Ho avuto il grande piacere di conoscere Juhász Zsuzsanna, autrice di vari libri in italiano per ungheresi e, soprattutto, coautrice dei due grandi vocabolari italiano/ungherese e ungherese/italiano editi da Akadémiai. Ha chiesto una dedica sulla mia raccolta di proverbi, ma sono orgoglioso della sua dedica su uno dei suoi libri (Italiano economico, Holnap 2009).

Dunque tutto bene? Qualche lacuna c’è stata (del resto la prestigiosa sede dell’IIC ha spazi limitati) e qualche suggerimento si  può dare.
I miei amici ungheresi, che si aspettavano un minimo di rassegna enogastronomica, sono rimasti delusi. C’era solo un limitato catalogo di vini (di un distributore privato) e due tavoli di presentazione con prezzi poco abbordabili (in Ungheria costo della vita e stipendi sono inferiori alla metà di quelli italiani).
I brand italiani sono conosciuti ma non sempre abbinati ai relativi prodotti. Per esempio, mi è sembrato che tra gli ungheresi la Ferrero sia poco conosciuta e, soprattutto, ad essa non vengono associati i suoi prodotti: Kinder e Nutella vengono scambiati per prodotti tedeschi, Mon Cheri per francese e Pocket Coffee per inglese.
Insomma, mancavano - oltre a una cartella stampa - degli opuscoli illustrativi sul “made in Italy” e sulle bellezze italiche. C’erano solo: un catalogo della mostra di Carla Accardi (al Museo delle Belle Arti di Budapest nell’estate scorsa); un libretto in ungherese sulla cucina italiana (dell’Istituto del Commercio Estero); una presentazione bilingue degli artisti italiani presenti nel Museo delle Belle Arti. Pochino, manca troppa Italia!
Credo che il Ministero degli Esteri italiano, nonché l’Ambasciata, abbiano il dovere di dotarsi di materiale divulgativo da distribuire ai tanti curiosi e appassionati della “dolce vita” italiana.

Prosegue intanto l’anno culturale italo-ungherese 2013, con ancora decine di iniziative promosse dall’IIC: mostre, concerti, incontri letterari, convegni e seminari. Segnalo in particolare le mostre “Maestri del design italiano” (Museo delle Arti Applicate, fino al 24 novembre) e quella dedicata a Silvio Monti (al Museo nazionale fino al 14 gennaio ’14).

martedì 8 ottobre 2013

Lingue, salute della mente.




All’iniziativa della Biblioteca di Baranzate (incontro pubblico dal “vivo” con lingue straniere), parlando della lingua ungherese, ho fatto un’ipotesi che va spiegata.
Lo studio di un’altra lingua – per acquisire una competenza comunicativa e linguistica, ma anche e soprattutto culturale – favorisce la nostra salute mentale.

Ancora oggi non è chiaro come la lingua influisca sul nostro pensiero e sulla nostra cultura.

Sul rapporto tra lingua e pensiero il postmodernismo afferma che il pensiero è preceduto e precondizionato dalla lingua. Già Leopardi (1798-1837), nella sua teoria su lingua e poesia contenuta nello Zibaldone dei pensieri, sosteneva che “pensiamo parlando”. E aggiungeva che nessuna lingua ha le parole per rendere sensibile tutte le proprietà del pensiero. Pertanto la conoscenza di più lingue rende più chiaro il pensiero, poiché ciò che una lingua non esprime bene potrebbe essere più chiaro in un’altra lingua. La visione di Leopardi contiene una teoria sulla natura delle parole. Egli contrappone i termini, circoscritti alla definizione della sola cosa, alle parole, che suscitano l’immagine della cosa ma anche immagini accessorie, metafore e similitudini che stimolano le idee (“le idee sono inseparabili dalle parole”), il cui significato si forma nella relazione parlante/uditore.

Sul rapporto tra lingua e cultura, Guy Deutscher – nel suo libro uscito quest’anno La lingua colora il mondo (Boringhieri) – dimostra che un’influenza esiste, ma non si sa ancora in che maniera (diversa da lingua a lingua). Appare comunque certa l’affermazione del linguista russo-americano Roman Jakobson (1896-1982): “le lingue differiscono essenzialmente per ciò che devono esprimere, non per ciò che possono esprimere”. In sintesi, nessuna lingua limita le facoltà concettuali del pensiero, ma ogni lingua vede le cose in modo peculiare. 

Ciò premesso, come si collega lo studio di un’altra lingua con la salute mentale?
Ho trovato il nesso leggendo un articolo dello psicanalista, filosofo e saggista, Umberto Galimberti (“Ci vuole un filosofo per curare le idee” su Donna, supplemento di Repubblica). Galimberti cita James Hillman (1926-2011), psicologo junghiano, filosofo e saggista americano: “Anche le idee si ammalano o, indisturbate, lavorano come dettati ipnotici”, che distorcono il giudizio sulla realtà, rendendo difficoltosa, quando non dolorosa la propria vita più del necessario. Chi vuole mettere ordine nella propria vita, riesaminando  le proprie idee e la propria visione del mondo, può – secondo Galimberti – affidarsi a consulenti filosofici che operano con gli insegnamenti sulla saggezza, o arte del vivere.

Non so quanti abbiano la possibilità di avvalersi di un consulente filosofico e seguire il buon consiglio di Galimberti. Sono convinto però che il primo passo deve avvenire dentro se stessi.
In tal senso, credo che una strada – certo non la sola – per aprirci al mondo e perseguire un equilibrio psichico-relazionale (la salute della mente) sia quella di studiare un'altra lingua. Questo ci induce ad assumere un altro punto di vista, a vedere il mondo con altri occhi (o con altri “colori”). Studiare una lingua, anche e soprattutto nell’aspetto culturale, ci spinge ad aprirci verso l’altro da noi, per comprenderlo (nel duplice senso di “rendersi ragione di qualche cosa” e di “accogliere spiritualmente in sé”), e quindi per comprenderci meglio.
È avvenuto così per l’ungherese (non per l’inglese e il francese, forse perché a scuola non c’è stato un sufficiente approfondimento culturale), i cui stimoli culturali mi hanno indotto altre visioni del mondo, favorendo un maggiore equilibrio nella mia vita. Quindi dico: több nyelv, egészség az észnek.

venerdì 4 ottobre 2013

Budapest: Kaleidoscopio Italia



Istituto Italiano di Cultura - Budapest
Tre giorni dedicati al “Made in Italiy” e alla cultura italiana, a Budapest dal 18 al 20 ottobre. È Kaleidoscopio Italia, ospitato nel bel palazzo dell’Istituto Italiano di Cultura (Bródy S. u. 8), che ha promosso l’iniziativa in collaborazione con la Camera di Commercio per l’Ungheria (Magyarországi Olasz Kereskedelmi Kamara) e Italian Trade Agency.
Saranno presenti decine di espositori (motori, moda, istruzione, industria, enogastronomia, servizi, arredamento, immobiliari), e sono previsti incontri, film e animazione.
C’è il patrocinio dell’Ambasciata d’Italia in Ungheria, anche perché l’evento coincide con la  “settimana della lingua italiana nel mondo”. È il tredicesimo anno che si svolge tale manifestazione in varie parti del mondo per promuovere l’italiano, su iniziativa dell’Accademia della Crusca e del Ministero degli Affari Esteri.

Entrambi i Paesi attraversano una grave crisi economica. Incrementare l’interscambio - che ha superato i 7 miliardi di euro nel 2011 (quell’anno l’Italia era il 5° cliente e l’8° fornitore dell’Ungheria) – è un modo per uscire dalla lunga recessione.
In particolare, oltre ai settori delle infrastrutture e della multimedialità, il settore turistico ha notevoli potenzialità, nei due sensi (l’anno scorso circa un milione di persone hanno viaggiato tra Italia e Ungheria). E gli scambi culturali, con iniziative come quelle legate all’Anno Culturale Ungheria-Italia 2013, rappresentano un  importante volano per rafforzare le relazioni tra i due Paesi.

mercoledì 2 ottobre 2013

Artisti dei laghi lombardi in Ungheria.



Banchetto di Erode, Masolino (1435)
Artisti italiani in Ungheria, artisti ungheresi in Italia. Uno scambio culturale lungo circa mille anni. Fin dalla nascita del Regno d’Ungheria, i rapporti tra i due Paesi sono stati intensi, in particolare nel Rinascimento e nel Risorgimento.
Nell’ambito dell’Anno culturale Ungheria-Italia 2013, il Consolato generale d’Ungheria di Milano ha organizzato un ricco ciclo di conferenze dove studiosi ed esperti italiani ed ungheresi – coordinati dal docente di storia dell’arte Andrea Spiriti – descriveranno episodi salienti di tale scambio culturale: “Artisti dei Laghi Lombardi in Ungheria. Dal Medioevo ai Secoli Moderni
Per esempio si parlerà del “Banchetto di Erode”, dipinto nel battistero di Castiglione Olona (VA) nel 1435 dal pittore perugino Tommaso Musolino da Panicale (1383-1440), dove – a seguito del soggiorno del pittore in Ungheria - compaiono personaggi storici di quel Paese. E si parlerà degli scultori ungheresi nel Duomo di Milano.

Le conferenze si terranno dal 10 al 12 ottobre nella sala conferenze della splendida basilica milanese di Sant’Ambrogio. L’ingresso è libero, a partire dal pomeriggio di giovedì 10. Sabato 12, dalle ore 9, sarà anche possibile visitare gratuitamente la basilica e il museo di Sant’Ambrogio.
All’organizzazione dell’evento ha collaborato anche l’Associazione per la Protezione del Patrimonio Artistico e Culturale della Valle Intelvi (APPACUVI).

martedì 1 ottobre 2013

Proverbio/detto ungherese del mese (1006).



Il proverbio ungherese di ottobre (1006°) è A víz is oda siet, ahol sok van, letteralmente: “Anche l’acqua corre là dove ce n’è tanta”. Più sintetico l’equivalente italiano: L’acqua va al mare.
Un proverbio simile è già nella mia raccolta, il 697: A pénz is oda húz, ahol már van belőle, anche i soldi vanno là dove già ce ne sono. Corrispettivo italiano: la roba va alla roba e diversi altri.

Il senso di questo proverbio non è univoco. Tra le tre tipologie generali – normativi, istruttivi, constatativi – tale proverbio rientra in quest’ultimo gruppo, cioè quelli di accettazione della realtà.
Quindi può assumere un significato fatalistico, ossia di rassegnata osservazione che “ogni cosa si svolge secondo le leggi di natura.” L’applicazione di una metafora naturalistica alle cose, artificiali, dell’uomo può essere così utilizzata per giustificare le diseguaglianze sociali, rappresentate come “leggi di natura”. Si tratta di una manipolazione delle “morale” dei proverbi, piegata alla giustificazione dello status quo. L’aveva colta già Giuseppe Giusti (1809-1850), cui si deve una delle più importanti raccolte di proverbi italiani, che la rivela in un suo ironico sonetto: “Un gran proverbio caro al Potere dice che l’essere sta nell’avere”.
Il proverbio L’acqua va al mare, ormai desueto, si applicava sia alla ricchezza che agli uomini. Più uno ha denari, più ne fa. Ma anche L’opinione dei più si tira dietro quella dei meno; infatti, per quieto vivere spesso le persone si adeguano acriticamente al senso comune.
Ma L’acqua va la mare può essere interpretato anche come semplice detto della saggezza popolare che svela meglio di un trattato di economia uno dei meccanismi di arricchimento: chi guadagna poco spende tutto per vivere; chi ha molti soldi, altri ne fa perché non spende tutto il suo reddito e sul di più guadagna con la rendita.