Il proverbio
ungherese di ottobre (1006°) è A víz is
oda siet, ahol sok van, letteralmente: “Anche l’acqua corre là dove ce n’è
tanta”. Più sintetico l’equivalente italiano: L’acqua va al mare.
Un proverbio simile è già nella mia raccolta, il 697:
A pénz is oda húz, ahol már van belőle,
anche i soldi vanno là dove già ce ne sono. Corrispettivo italiano: la roba va alla roba e diversi altri.
Il senso di questo proverbio non è univoco. Tra le tre
tipologie generali – normativi, istruttivi, constatativi – tale proverbio
rientra in quest’ultimo gruppo, cioè quelli di accettazione della realtà.
Quindi può assumere un significato fatalistico, ossia di
rassegnata osservazione che “ogni cosa si svolge secondo le leggi di natura.”
L’applicazione di una metafora naturalistica alle cose, artificiali, dell’uomo
può essere così utilizzata per giustificare le diseguaglianze sociali,
rappresentate come “leggi di natura”. Si tratta di una manipolazione delle
“morale” dei proverbi, piegata alla giustificazione dello status quo. L’aveva colta già Giuseppe Giusti (1809-1850), cui si
deve una delle più importanti raccolte di proverbi italiani, che la rivela in
un suo ironico sonetto: “Un gran proverbio caro al Potere dice che l’essere sta
nell’avere”.
Il proverbio L’acqua
va al mare, ormai desueto, si applicava sia alla ricchezza che agli uomini.
Più uno ha denari, più ne fa. Ma
anche L’opinione dei più si tira dietro
quella dei meno; infatti, per quieto vivere spesso le persone si adeguano
acriticamente al senso comune.
Ma L’acqua va la mare può
essere interpretato anche come semplice detto della saggezza popolare che svela
meglio di un trattato di economia uno dei meccanismi di arricchimento: chi
guadagna poco spende tutto per vivere; chi ha molti soldi, altri ne fa perché
non spende tutto il suo reddito e sul di più guadagna con la rendita.
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