martedì 8 ottobre 2013

Lingue, salute della mente.




All’iniziativa della Biblioteca di Baranzate (incontro pubblico dal “vivo” con lingue straniere), parlando della lingua ungherese, ho fatto un’ipotesi che va spiegata.
Lo studio di un’altra lingua – per acquisire una competenza comunicativa e linguistica, ma anche e soprattutto culturale – favorisce la nostra salute mentale.

Ancora oggi non è chiaro come la lingua influisca sul nostro pensiero e sulla nostra cultura.

Sul rapporto tra lingua e pensiero il postmodernismo afferma che il pensiero è preceduto e precondizionato dalla lingua. Già Leopardi (1798-1837), nella sua teoria su lingua e poesia contenuta nello Zibaldone dei pensieri, sosteneva che “pensiamo parlando”. E aggiungeva che nessuna lingua ha le parole per rendere sensibile tutte le proprietà del pensiero. Pertanto la conoscenza di più lingue rende più chiaro il pensiero, poiché ciò che una lingua non esprime bene potrebbe essere più chiaro in un’altra lingua. La visione di Leopardi contiene una teoria sulla natura delle parole. Egli contrappone i termini, circoscritti alla definizione della sola cosa, alle parole, che suscitano l’immagine della cosa ma anche immagini accessorie, metafore e similitudini che stimolano le idee (“le idee sono inseparabili dalle parole”), il cui significato si forma nella relazione parlante/uditore.

Sul rapporto tra lingua e cultura, Guy Deutscher – nel suo libro uscito quest’anno La lingua colora il mondo (Boringhieri) – dimostra che un’influenza esiste, ma non si sa ancora in che maniera (diversa da lingua a lingua). Appare comunque certa l’affermazione del linguista russo-americano Roman Jakobson (1896-1982): “le lingue differiscono essenzialmente per ciò che devono esprimere, non per ciò che possono esprimere”. In sintesi, nessuna lingua limita le facoltà concettuali del pensiero, ma ogni lingua vede le cose in modo peculiare. 

Ciò premesso, come si collega lo studio di un’altra lingua con la salute mentale?
Ho trovato il nesso leggendo un articolo dello psicanalista, filosofo e saggista, Umberto Galimberti (“Ci vuole un filosofo per curare le idee” su Donna, supplemento di Repubblica). Galimberti cita James Hillman (1926-2011), psicologo junghiano, filosofo e saggista americano: “Anche le idee si ammalano o, indisturbate, lavorano come dettati ipnotici”, che distorcono il giudizio sulla realtà, rendendo difficoltosa, quando non dolorosa la propria vita più del necessario. Chi vuole mettere ordine nella propria vita, riesaminando  le proprie idee e la propria visione del mondo, può – secondo Galimberti – affidarsi a consulenti filosofici che operano con gli insegnamenti sulla saggezza, o arte del vivere.

Non so quanti abbiano la possibilità di avvalersi di un consulente filosofico e seguire il buon consiglio di Galimberti. Sono convinto però che il primo passo deve avvenire dentro se stessi.
In tal senso, credo che una strada – certo non la sola – per aprirci al mondo e perseguire un equilibrio psichico-relazionale (la salute della mente) sia quella di studiare un'altra lingua. Questo ci induce ad assumere un altro punto di vista, a vedere il mondo con altri occhi (o con altri “colori”). Studiare una lingua, anche e soprattutto nell’aspetto culturale, ci spinge ad aprirci verso l’altro da noi, per comprenderlo (nel duplice senso di “rendersi ragione di qualche cosa” e di “accogliere spiritualmente in sé”), e quindi per comprenderci meglio.
È avvenuto così per l’ungherese (non per l’inglese e il francese, forse perché a scuola non c’è stato un sufficiente approfondimento culturale), i cui stimoli culturali mi hanno indotto altre visioni del mondo, favorendo un maggiore equilibrio nella mia vita. Quindi dico: több nyelv, egészség az észnek.

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