All’iniziativa della Biblioteca di Baranzate (incontro pubblico
dal “vivo” con lingue straniere), parlando della lingua ungherese, ho fatto
un’ipotesi che va spiegata.
Lo studio di un’altra lingua – per acquisire una competenza
comunicativa e linguistica, ma anche e soprattutto culturale – favorisce la
nostra salute mentale.
Ancora oggi non è chiaro come la lingua influisca sul nostro
pensiero e sulla nostra cultura.
Sul rapporto tra lingua e pensiero il postmodernismo afferma
che il pensiero è preceduto e precondizionato dalla lingua. Già Leopardi (1798-1837),
nella sua teoria su lingua e poesia contenuta nello Zibaldone dei pensieri, sosteneva che “pensiamo parlando”. E
aggiungeva che nessuna lingua ha le parole per rendere sensibile tutte le
proprietà del pensiero. Pertanto la conoscenza di più lingue rende più chiaro il
pensiero, poiché ciò che una lingua non esprime bene potrebbe essere più chiaro
in un’altra lingua. La visione di Leopardi contiene una teoria sulla natura
delle parole. Egli contrappone i termini,
circoscritti alla definizione della sola cosa, alle parole, che suscitano l’immagine della cosa ma anche immagini
accessorie, metafore e similitudini che stimolano le idee (“le idee sono
inseparabili dalle parole”), il cui significato si forma nella relazione
parlante/uditore.
Sul rapporto tra lingua e cultura, Guy Deutscher – nel suo
libro uscito quest’anno La lingua colora
il mondo (Boringhieri) – dimostra che un’influenza esiste, ma non si sa
ancora in che maniera (diversa da lingua a lingua). Appare comunque certa
l’affermazione del linguista russo-americano Roman Jakobson (1896-1982): “le
lingue differiscono essenzialmente per ciò che devono esprimere, non per ciò che possono esprimere”. In sintesi, nessuna lingua limita le facoltà
concettuali del pensiero, ma ogni lingua vede le cose in modo peculiare.
Ciò premesso, come si collega lo studio di un’altra lingua
con la salute mentale?
Ho trovato il nesso leggendo un articolo dello psicanalista,
filosofo e saggista, Umberto Galimberti (“Ci vuole un filosofo per curare le
idee” su Donna, supplemento di Repubblica). Galimberti cita James
Hillman (1926-2011), psicologo junghiano, filosofo e saggista americano: “Anche
le idee si ammalano o, indisturbate, lavorano come dettati ipnotici”, che
distorcono il giudizio sulla realtà, rendendo difficoltosa, quando non dolorosa
la propria vita più del necessario. Chi vuole mettere ordine nella propria
vita, riesaminando le proprie idee e la
propria visione del mondo, può – secondo Galimberti – affidarsi a consulenti
filosofici che operano con gli insegnamenti sulla saggezza, o arte del vivere.
Non so quanti abbiano la possibilità di avvalersi di un
consulente filosofico e seguire il buon consiglio di Galimberti. Sono convinto
però che il primo passo deve avvenire dentro se stessi.
In tal senso, credo che una strada – certo non la sola – per
aprirci al mondo e perseguire un equilibrio psichico-relazionale (la salute
della mente) sia quella di studiare un'altra lingua. Questo ci induce ad
assumere un altro punto di vista, a vedere il mondo con altri occhi (o con
altri “colori”). Studiare una lingua, anche e soprattutto nell’aspetto
culturale, ci spinge ad aprirci verso l’altro
da noi, per comprenderlo (nel duplice
senso di “rendersi ragione di qualche cosa” e di “accogliere spiritualmente in
sé”), e quindi per comprenderci
meglio.
È avvenuto così per l’ungherese (non per l’inglese e il
francese, forse perché a scuola non c’è stato un sufficiente approfondimento
culturale), i cui stimoli culturali mi hanno indotto altre visioni del mondo,
favorendo un maggiore equilibrio nella mia vita. Quindi dico: több nyelv, egészség az észnek.
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