lunedì 18 agosto 2014

Viaggio tra cognomi e nomi ungheresi.

Le 18 Contee (Megye) ungheresi.
Farina Francesco? Grande Enrico (o Emerico)? Mai sentiti. Scritti nella lingua originale, l’ungherese, diventano familiari.
Ferenc Liszt (1811-1886), o meglio Liszt Ferenc è stato un grande musicista.
Nagy Imre (1896-1958) è stato un politico ungherese, considerato un eroe nazionale.
Attenzione: in ungherese il cognome (vezetéknév) è un attributo del nome (keresztnév o név), come tale lo precede sempre, come si fa per l’aggettivo col sostantivo.

Per conoscere un po’ di più l’Ungheria, ecco un viaggio tra cognomi e nomi ungheresi (propongo anche una lista bilingue, scaricabile, di nomi ungheresi con corrispondenti italiani e pronuncia).

Dopo il XIV secolo, per distinguere una persona da un’altra, si afferma in Europa l’uso moderno del cognome, originato in genere da qualche caratteristica personale: il mestiere, il luogo d’origine, l’aspetto fisico, il nome dei genitori ecc.
Non fa eccezione l’Ungheria, con alcune peculiarità: una marcata omogeneità. Infatti, i primi 100 cognomi sono di origine magiara e coprono oltre un terzo della popolazione (che, in totale, è di circa 10 milioni).
Ci sono quelli relativi all’aspetto: Nagy “grande”, è il più diffuso, Kiss “piccolo”, è al 7° posto; poi Balogh “mancino”, Fekete “nero”, Köver “grasso”, Terhes “pesante”. Frequenti anche Veres “rosso”, Fehér “bianco”, Szőke “biondo”, Tarcsa “variopinto”. Originali poi Fodor “riccio, Hajas “dai tanti capelli”, Kónya “dai baffi pendenti”, Szakál “barba”.
Quelli relativi alle professioni: Kovács “fabbro” è il 2° cognome più diffuso, Szabó “sarto”, è il 4°; poi Varga “calzolaio” (6°), Molnár “mugnaio” (8°). E anche Dudás “zampognaro”, Hegedűs “violinista” e Sipos “pifferaio”.
Quelli sull’origine etnica: Tóth “slovacco/slavo” è il 3° cognome più diffuso, poi Horváth “croato” (5°), Németh “tedesco”, Oláh “romanico”, Rácz “serbo”, Kun “cumano” è il 100°.
Quelli semplicemente basati sui nomi di persona: Simon “Simone”, Balázs “Biagio”, Laszló “Ladislao”, Péterfi (figlio di pietro), Sándor “Sandro”.
Tra i soprannomi che hanno originato cognomi, quelli da animali, come Farkas “lupo”.
Da segnalare, infine, quelli basati sull’appartenenza geografica – per es. Budai (“di Buda”) – formati dal nome della città o della regione d’origine e il suffisso -i.

In Italia, il cognome più diffuso è quello legato a una caratteristica fisica, il colore rosso dei capelli, da cui Rossi, Russo ecc. Al secondo posto (come in Ungheria) ci sono i cognomi legati al mestiere di fabbro: Fabbri, Ferrari ecc. Al terzo quelli derivati dal nome Giovanni, e al quarto un gruppo di cognomi legati all’uso della mano sinistra, come Mancini.

Vediamo ora i nomi più comuni in Ungheria.
Ecco i primi dieci nomi più diffusi tra gli uomini (tra parentesi il corrispondente italiano, se necessario e se esiste): András (Andrea), Béla (Adalberto o Abele), Csaba, Endre (Andrea), Ferenc (Francesco), Gábor (Gabriele), Gergely (Gregorio), György (Giorgio), Imre (Emerico o Enrico), János (Giovanni).
All’11° posto c’è József (Giuseppe), che in Italia risulta 1° tra gli ultra 40enni ma è soppiantato da Andrea (come in Ungheria) se consideriamo tutta la popolazione maschile.

Ecco i primi dieci nomi più diffusi tra le donne ungheresi: Ágnés, Anna, Edit (Editta), Eva, Ilona (Elena), Júlia, Klára, Margit (Margherita), Rózsa, Veronika.
In Italia, 1° tra le donne risulta Maria e 2° Anna (come in Ungheria), ma solo tra le ultra 40enni; su tutta la popolazione femminile primeggiano Giulia, Chiara e Francesca.

Gli ungheresi fanno molto uso dei diminutivi dei nomi, in genere terminanti per “i”, come Pisti, diminutivo di István (Stefano) o Kati per Katalin (Caterina). Inoltre, usano spesso i vezzeggiativi (suffisso -ka/-ke): Kitti diventa Kittike, Júlia sarà Jútka.

Infine, una curiosità. Capita spesso di sentire, come suffisso del nome, l’appellativo néni (“zia”) o bácsi (“zio”): es. Katinéni o Józsibácsi. Non si tratta però del grado di parentela (zio, ungh. nagybácsi; zia, ungh. nagynéni) quanto di un segno di rispetto verso una persona di maggiore età. Equivale a “signore/signora”, ma meno formale e di uso quotidiano. Quando si deve essere formali si usa il cognome seguito da úr (signore) o asszony (signora); in quest’ultimo caso, a sottolineare il ruolo di moglie, si può usare il suffisso: quindi “signora Nagy” sarà Nagy asszony oppure Nagyné.

Anche in Italia una volta si usavano dei prefissi del nome – Don e Donna – ma limitatamente a nobili e prelati (poi perfino a boss della malavita), poiché erano un segno di deferenza verso persone di maggiore rango sociale.


lunedì 11 agosto 2014

“Il cibo italiano è un modello anche per noi” ungheresi.

Il padiglione ungherese a Expo 2015.
Siamo ormai a meno di un anno dall’Expo 2015, che si terrà a Milano dal 1° maggio al 31 ottobre. L’esposizione torna in Italia dopo 54 anni: l’ultima volta fu a Torino, nel 1961, con tema “il lavoro”.

A maggio, il Gambero Rosso (rivista di cultura enogastronomica) dedica un supplemento all’evento, intervistando i rappresentanti di numerosi Paesi. Non manca l’Ungheria, per la quale ha risposto l’ambasciatore Balla János.
Gli intervistati rispondevano a tre domande, sotto il titolo di “Biodiversità a colori”:
1.      come il Suo Paese guarda all’Expo? Quali sono le aspettative?
2.      Cosa pensa dell’Italia dal punto di vista dei prodotti agroalimentari e della sua cucine? Come si guarda all’Italia nel suo Paese?
3.      Quali saranno i progetti che il Suo Paese promuoverà all’Expo 2015 di Milano? Quali i prodotti più rappresentativi?

Il tema di expo – è la prima risposta di Balla – coincide con l’impegno che si è data l’Ungheria per garantire alle generazioni che verranno un’alimentazione e un’agricoltura sostenibili e sane, anche perché il nostro paese è uno di quei pochi pesi al mondo in cui è vietata la coltivazione di piante geneticamente modificate”.
Sul secondo quesito, Balla conferma l’eccellente reputazione del cibo italiano, un modello anche per gli ungheresi, e la consolidata presenza dei prodotti agroalimentari del Bel Paese in Ungheria.
Infine, alla terza domanda, Balla conferma quanto si sapeva sul risalto che verrà dato alle risorse idriche del Paese magiaro, ricco di fonti termali. Naturalmente sarà presente la tradizione culinaria ungherese, che sarà possibile gustare – insieme ai pregiati vini – nell’apposita area di ristorazione. L’importanza dei materiali naturali e riciclabili sarà sottolineata dal loro utilizzo per il padiglione ungherese (a forma di arca), che alla fine sarà smontato per poi essere collocato a Szombathely, capoluogo della provincia di Vas, nel Transdanubio occidentale, la città più antica dell’Ungheria.


-          sito ufficiale Expo 2015

domenica 3 agosto 2014

Proverbio/detto ungherese del mese (1016).

Hagyja főni a saját levében, lo lasci bollire nel proprio brodo! Il modo di dire equivalente in italiano è identico: lasciarlo cuocere nel suo brodo. Non in senso proprio, ovviamente, ma in senso figurato: lasciar perdere qualcuno che vuole intestardirsi invano.

Nella mia raccolta, sono 143 su 1001 i proverbi o modi di dire che riguardano l’alimentazione (élelmiszer).
A volte sono consigli pratici (o parlano di fame), ma più spesso sono metafore, cui il cibo si presta naturalmente. In italiano esistono oltre 1.700 proverbi che parlano di cibo.

Il corpo si nutre di cibo (étel), come la mente si nutre di conoscenza (tudás). Similitudini e altre forme retoriche usano spesso il cibo poiché questa parte indispensabile della vita quotidiana aiuta a rendere più semplici anche concetti più complessi, oltre che a ricordarli meglio perché si legano a un’esperienza familiare a tutti.
Inoltre, il cibo contribuisce a definire la nostra identità, anche se è un prodotto “storico”, frutto di incroci e contaminazioni (cosa sarebbe la “dieta mediterranea” senza i pomodori dall’America o il grano e le olive dall’Asia?).

Tra meno di un anno ci sarà l’Expo Milano 2015, l’esposizione universale che si tiene ogni 5 anni in varie parti del mondo (la prima, nel 1851, a Londra), dal tema: “Nutrire il pianeta, Energia per la vita” (ungh. Táplálni a világot, energiát adni az életnek).
Sarà anche un’occasione per verificare quanto il cibo sia ancora una metafora culturale.