lunedì 16 giugno 2014

Ungheresi a Milano... e Venezia.

Parlare della lingua e della cultura ungheresi a Milano. L’occasione è data dalla  la presentazione del libro bilingue di proverbi ungheresi, Affida il cavolo alla capra, nell’incontro pubblico promosso dalla Biblioteca Sormani, giovedì 26 giugno alle ore 18 (Sala del Grechetto), col patrocinio del Consolato Generale di Ungheria.
Ne parlerò coi presenti e parteciperà anche il Console ungherese, István Manno.

Confrontare i proverbi di due Paesi assai diversi nella lingua e nella cultura, ma legati da un’anti­ca amicizia, può essere un buona occasione per parlare della cultura comune che unisce i popoli europei. L’Europa sarà multiculturale e, dunque, multilingue, o non sarà. La diversità culturale è la ricchezza dell’umanità.
Tra l’altro, i due Paesi sono importanti partner commerciali e il flusso turistico tra di loro è inte­ressante: circa un milione di persone l’anno, due terzi di questi dall’Italia all’Ungheria e un terzo in senso inverso. Soprattutto, la cultura italiana e il “made in Italy” sono molto popolari in Ungheria.

Nello stesso giorno, ma a Venezia, l’Associazione italo-ungherese del Triveneto promuove una mostra di incisori ungheresi scomparsi: Biai-Föglein István (1905-1974); Fehér Ilona (1913-1983); Imre István (1918-1983); Novák Lajos (1927-1989); Zádor István (1882-1963). È una buona occasione per vedere 15 incisioni ungheresi del secolo scorso - in prevalenza paesaggi naturali d’Ungheria - al Bistrot de Venise (Calle dei Fabbri, ore 17), presentati da colui che li ha raccolti, lo scrittore Giuliano Agostinetti, e da Judith Horvát Fontana.

lunedì 9 giugno 2014

La letteratura degli ungheresi.

Pochi mesi fa ho cercato di acquistare online una La letteratura degli ungheresi (2 volumi a cura di Bruno Ventavoli, Lindau, 2004): esaurito! E sono introvabili libri analoghi precedenti: quello di Paolo Ruzicka del 1963 e quello di Folco Tempesti del 1969.

Così è stata una bella sorpresa quando ho scoperto un e-book gratis online, La letteratura degli ungheresi. Autore Armando Nuzzo, italianista all’università cattolica di Piliscsaba (gemellata con Cherasco, CN), nell’Ungheria settentrionale. È stato lo stesso Nuzzo a segnalarmelo, dopo che l’ho contattato su indicazione di Paczolay Gyula, il “nostro” paremiologo.
Inoltre, ho scoperto con piacere che Nuzzo ha tradotto alcuni libri ungheresi, tra cui Nel ventre del Buddha (originale: A szőke ciklon, letteralmente “Il ciclone biondo”) di Rejtő Jenő, che ho letto con gusto e divertimento.

“Quando la lettura è rivelazione, e non riduzione, induce il lettore a immaginare motivi e ambienti ‘estranei’, i cui particolari egli può ricostruire solo con l’estensione dello sguardo a modelli, contesto, lingua e civiltà. È dunque ancora viva l’esigenza di collocare una singola opera nella storia e nel contesto culturale, la necessità del paragone che non vuole stabilire primati, poiché anche l’opera più universalistica non sarà disgiunta dalla storicità della lingua in cui è stata scritta, si legge ora e si potrà rileggere.  Esiste ancora un lettore curioso, che non disdegna il “que sais je?”, la divulgazione seria e responsabile. In letteratura ancor più necessaria perche le scelte editoriali (ivi comprese le traduzioni) sono fatte da chi mira a un naturale vantaggio economico, e derivano da considerazioni spesso estranee a qualsiasi valutazione estetica (lo scrittore vincitore del premio Nobel, lo scrittore dal cui romanzo è tratto un film di successo ecc.). La singola proposta delle case editrici non potrà mai darci un’idea ampia e ragionata sulla lingua e sulla cultura di una nazione. Infine, le traduzioni italiane, escluse poche eccezioni, per motivi di vendita sono fatte ricalcando un linguaggio standard che assicuri il flusso dello stile ‘medio’ (il trionfo del mezzoforte), non raramente monotono, per cui dal punto di vista sintattico gli autori ungheresi sembrano tutti uguali. Dobbiamo allora rispondere alla tendenza omogeneizzante, ai sentieri decontestualizzanti anche recuperando il gusto di narrare un disegno storico e facendo traduzioni linguisticamente più coraggiose. Onde evitare di ridurre un’opera scritta a formula, di liquidarla in bozzetto, al prezzo di offendere popoli e lingue che hanno pari dignità con la nostra, offendendo in definitiva noi stessi.” Sono parole dell’introduzione di Nuzzo al suo libro, un testo scientifico ma scritto con linguaggio divulgativo.
Consiglio a tutti gli interessati di leggere questa bella miniantologia, una storia da cui i lettori italiani possono capire il posto occupato nel mondo dal popolo ungherese e dalla sua letteratura.
Conoscere meglio gli altri può far conoscere meglio se stessi.


-          La letteratura degli ungheresi

giovedì 5 giugno 2014

Un ungherese a Milano.

Venezia: col Console Manno István
Signora: “Sono ungherese, in Italia da 14 anni, quasi avevo dimenticato la mia lingua. Ora voglio tornare ad interessarmene.”
Signore: “Sono italo-ungherese ma non ho mai partecipato alla vita associativa e culturale dei miei connazionali in Italia. Adesso desidero farlo.”
Ragazzo: “Sono italiano, ma mia madre è ungherese. Sto cominciando a studiare la lingua magiara e ho molte curiosità.”
Sono alcuni commenti a caldo, raccolti al termine dell’incontro a Venezia (il 6 maggio scorso) per la presentazione del mio libro di proverbi ungheresi. Italo-ungheresi di prima e seconda generazione, oltre a curiosi e appassionati italiani. Un incontro molto gratificante, ben organizzato da Anna Rossi (addetta consolare) - con l’associazione italo-ungherese - per condividere la passione per una lingua e una cultura: quella magiara.

Spero di raccogliere altrettanto entusiasmo a Milano, la mia città (anche se vivo in provincia e sono nato in Puglia). Giovedì 26 giugno, alle ore 18, sarò infatti nella prestigiosa Biblioteca Sormani (Sala del Grechetto) per parlare di lingua e cultura ungheresi e delle relazioni tra i due popoli, presentando il mio libro.
Il Console generale d’Ungheria a Milano, Manno István, porterà il suo saluto ai partecipanti a questa iniziativa promossa dal Comune (Settore Biblioteche).

Purtroppo, a Milano non c’è più un’associazione italo-ungherese (in passato, sì). Forse questo incontro, e soprattutto l’Expo (cui l’Ungheria parteciperà con un singolare padiglione a forma di “arca di Noè”), daranno una spinta per tale aggregazione.
Comunque, l’occasione di parlare dell’originalità della lingua ungherese a Milano –  capitale economica del “Bel Paese” –  consente anche di affrontare il tema della diversità culturale (kulturális sokszínűség). Come ha dichiarato l’UNESCO (2001), “La diversità culturale è, per il genere umano, necessaria quanto la biodiversità per qualsiasi forma di vita” e – a proposito di Expo – credo che essa sia una delle maggiori ricchezze che l’Europa può condividere col mondo: vero e proprio “cibo per la mente” (elgondolkodtató, direbbero gli ungheresi, letteralmente “ciò che fa riflettere”).

Ecco che ci fa un “ungherese” a Milano.

lunedì 2 giugno 2014

Proverbio/detto ungherese del mese (1014).

Az emberi hülyeség határatlan, “La stupidità umana è senza confini” (hülyeség significa “stupidità, idiozia”); proverbio conosciuto anche in Italia, dove è però più diffuso l’analogo ma caustico: “La madre dei cretini è sempre incinta”.
I proverbi, in quanto “sapienza dei popoli”, dovrebbero essere l’antitesi della stupidità. Ma il tema degli sciocchi (e, corrispondentemente, dei furbi che ne approfittano) è trattato con ambiguità. Troviamo la stupidità figlia della superficialità (Tamburi e grancassa, imbroglian chi passa), ma anche travestimento della furbizia (Bisogna far lo sciocco per non pagare il sale) o rifugio consolatorio (In pellicceria ci vanno più pelli di volpe che d’asino). Uno stato quasi permanente da cui i più escono troppo tardi (Del senno di poi son piene le fosse). In genere, comunque, si parla di stupidità individuale.

Un evento recente mi ha indotto a riflettere sulla stupidità collettiva.
Poche settimane fa ho assistito alla presentazione di un libro d'arte, neo surrealista, con poesie di Szőcs Géza. Secondo questo poeta magiaro (responsabile del padiglione ungherese all’Expo 2015), le tre forze che muovono la storia sono: ideali (a volte, falsi), interessi e stupidità (ungh. ideálok, érdekek és hülyeség).
Le prime due forze sono le coordinate di destra e sinistra (Norberto Bobbio), si scontrano sullo scenario politico ed economico, e crediamo di controllarle con la democrazia.
La terza ci appare quasi come una calamità (sovran)naturale. Addirittura, per Schiller, contro di essa “anche gli dei lottano invano”.
La stupidità è un male a livello individuale, dove conterebbe il libero arbitrio (ungh. szabad akarat) ma pensare con la propria testa costa fatica e non vedere i pericoli sembra la soluzione per star lontano dalla paura.
Lo è ancor più a livello di massa, dove impera il conformismo (ungh. konformizmus). Non ce ne hanno liberato le nuove tecnologie informatiche, che promettono informazione e cultura per tutti, ma rivelano grandi rischi per il “pensiero meditante” (l'americano Nicholas Carr ha scritto qualche anno fa “Internet ci rende stupidi?”). Invece che combattuta, la stupidità è assecondata, soprattutto da politici e uomini d'affari che abusano della credulità popolare.
Forse la stupidità è radicata nell’inconscio, è l'altra faccia della medaglia dell'istinto di sopravvivenza: il conformismo collettivo sembra assicurare la continuazione della specie umana. Invece, spesso la mette in pericolo, diventando anticamera di nazionalismi e totalitarismi.

Cento anni fa scoppiava la 1° guerra mondiale: un'immane tragedia (18 milioni di morti), che ebbe un tragico supplemento nella 2° guerra mondiale (oltre 50 milioni di morti nel solo vecchio continente). Chi sopravvisse disse “mai più”: nacque l'ONU e in Europa furono messi in comune fonti di energia e di armi (la comunità del carbone e dell'acciaio, prima CECA poi CEE e ora UE), per evitare un altro conflitto distruttivo e assicurare la pace.
Cent'anni dopo Szőcs (uno spirito libero) mette in guardia dal risorgere oggi di analoghe forze distruttive che, follemente e stupidamente, sterminarono parte dell'umanità.
Albert Einstein sosteneva che “follia è fare sempre la stessa cosa e aspettare risultati diversi”.