martedì 25 novembre 2014

-40% : Black Friday anche per la capra.

Anche in Italia è arrivato il Black Friday, cioè un super sconto per gli acquisti in vista delle festività di fine anno.
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Kellemes ünnepeket! Buone Feste!

lunedì 24 novembre 2014

Ricordi ungheresi/3: Kálmán Kandó

A Vado Ligure, vicino a Savona, sui muri della fabbrica Bombardier, colosso canadese dei trasporti (ma dal 1905 al 2001 si trattava dell’americana Westinghouse), una targa commemora l’ungherese Kálmán Kandó (1869-1931). Nel 1892 conseguì la laurea con lode in ingegneria meccanica a Budapest. Era ingegnere, nonché inventore (registrò oltre 70 brevetti), nei primi anni del Novecento arrivò nel savonese con un piccolo gruppo di tecnici ungheresi.

È considerato il padre del treno elettrico. Era specializzato nello sviluppo di materiale rotabile ferroviario e a lui si deve l’applicazione della corrente alternata trifase ad alta tensione alla trazione ferroviaria, adottata poi per le locomotive delle FS, E430 ed E550, da lui progettate.
L’invenzione fu messa in pratica per la prima volta nel 1902 sulla linea ferroviaria della Valtellina: Lecco-Sondrio e Colico-Chiavenna. Anche a Colico è collocata una targa bilingue in sua memoria, a cura delle ditte Ganz (ungherese) e Ansaldo (italiana). L’innovazione venne applicata nel 1904 in Francia. Nel 1907 Kandó si trasferì alla Westinghouse a Savona, da cui dovrà poi allontanarsi nel 1915, per lo scoppio della prima guerra mondiale.

La targa di Vado Ligure, con un bel bassorilievo realizzato dall’artista ungherese Török Judit, è stata posata nel 2009 su iniziativa dell’Associazione Culturale Liguria-Ungheria. La sua presidente, Sinkó Irene, l’ha segnalata affinché faccia parte del catalogo di testimonianze ungheresi in Italia (v. post del 10 novembre 2013, del 10 marzo 2014, del 7-14-16 aprile 2014), pubblicato nel volume Ricordi Ungheresi in Italia (di Florio Banfi, 1942; aggiornato e ampliato nel 2005 da Sárközy Péter per l’Accademia d’Ungheria di Roma).

lunedì 17 novembre 2014

Per capire l'ungherese bisogna capire... gli ungheresi.

A barátnőmmel táncolok, in ungherese letteralmente: “la ragazza-mia-con ballo”; in italiano diremmo: “(io) ballo con la mia ragazza”. Quasi un rovesciamento della frase! La lingua ungherese (magyar nyelv) ha qualche similitudine con il latino, ma è molto distante dall’italiano
Per apprendere una lingua... basta parlarla! Una cosa che riesce facile, soprattutto se si è bambini e se si tratta di madrelingua.
Invece per capire una nuova lingua, bisogna sapere come sono formate le parole (morfologia) e come sono formate le frasi (sintassi); altrettanto importante è conoscere i suoni delle lettere e l’accento delle parole (fonologia). Ovviamente, occorre una sufficiente padronanza del lessico:  conoscere un “vocabolario di base” di almeno 5mila parole.

In italiano l’ordine delle parole nella frase è molto importante e si basa sul modello SVO (soggetto, verbo, oggetto). Può variare, ma non di molto, per sottolineare la parte più importante del messaggio comunicativo.

In ungherese, l’ordine delle parole è più libero. La funzione di un sostantivo nella frase è segnata da un suffisso, che ne esprime il caso (fa le veci del complemento). Quindi la morfologia delle parole è più complessa e la sintassi della frase meno. Ma tale ordine non è casuale, dipende dall’intenzione di chi parla.
In una frase possiamo riconoscere il tema (ciò di cui si parla) e il rema (quello che si dice a proposito di ciò di cui si parla). In altre parole, c’è un argomento (vecchio) e c’è un commento (nuovo). L’intenzionalità evidenzia il contenuto informativo nuovo, mettendovi l’accento (la parola tonica, su cui cade l’enfasi). Ecco perché Paolo Driussi sostiene che “la struttura sintattica dell’ungherese è determinata dalla pragmatica della comunicazione” (v. post del 22 settembre 2014). Possiamo dunque individuare un ordine di base dei costituenti della frase: tema + rema + verbo + altro.
Le principali caratteristiche grammaticali della lingua ungherese sono state riassunte in un precedente post (23 dicembre 2013). L’ungherese è una lingua agglutinante (agglutináló nyelv), cioè esprime i rapporti tra le parti del discorso tramite suffissi e, in misura minore, posposizioni.

Ecco un esempio delle trasformazioni morfologiche di un’unica parola, partendo da una radice nominale con successive agglutinazioni:
-         egész, completo/intero
-         egész-ség, salute
-         egész-ség-ed, la tua salute
-         egész-ség-ed-re, alla tua salute.

Sulla sintassi, oltre 100 anni fa, Arturo Aly Belfàdel scriveva (Grammatica magiara, Hoepli, 1907):
-         Come in italiano, così in ungherese, il soggetto non ha una posizione assolutamente fissa. L’andamento della frase ungherese è molto simile a quello della frase latina, per cui spesso il verbo (van in ispecie) è posto in fine, dopo il soggetto ed i predicai o complementi nelle proposizioni asseverative; mentre generalmente si usa metter prima il verbo, poi il soggetto e per ultimo i complementi in quelle interrogative; a meno che si voglia particolarmente insistere sopra una parola, chè allora questa si mette per la prima nelle frase.
-         Particolare energia prende la proposizione, quando, in una proposizione affermativa, si mette il soggetto dopo il verbo.
-         Mentre il pronome soggetto può essere taciuto quasi sempre, come in italiano, deve tuttavia essere espresso ogni qualvolta è unito alle congiunzioni is = anche e sem = neanche. In tal caso l’is e il sem seguono immediatamente il soggetto: én is dolgozom = io anche lavoro; te sem dolgozol  = tu anche non lavori.
-         In una stessa proposizione, l’accusativo precede il dativo, se la frase afferma; il dativo precede invece l’accusativo, e fra l’uno e l’altro spesso si pone il verbo, se la frase nega, interroga o comanda. Questa regola non è però proprio sempre seguita: én pénzt adok szegénynek = io denaro do al povero;  adj nekem kenyeret = dammi pane.
-         Quando si capisce che un oggetto per natura propria è plurale, in ungherese si usa abitualmente il singolare del nome e del verbo.
-         Quando ci sono più soggetti, il verbo in ungherese si mette al singolare. Così è coi numerali.

Ed ecco un esempio delle modifiche sintattiche di una frase – “Andrea prende un libro nel negozio” – variabile secondo l’intenzione del parlante (i modi possibili sarebbero 24!):
-         András vesz egy könyvet a boltban.
-         András vesz a boltban egy könyvet.
-         András egy könyvet vesz a boltban.
-         András egy könyvet a boltban vesz.
-         András a boltban egy könyvet vesz.
-         András a boltban vesz egy könyvet.
Il tema è sempre Andrea. Nel primo caso coincide con il rema. Nell’ultimo, l’informazione principale è il negozio (proprio là ha Andrea preso il libro).

In conclusione, per capire l’ungherese bisogna capire... gli ungheresi!


Precedenti post sulla lingua ungherese: 14 maggio 2013; 16-30 giugno 2013; 15-24-29 luglio 2013; 13-22 agosto 2013; 16 settembre 2013; 9-23 dicembre 2013; 17 marzo 2014; 22 settembre 2014.

sabato 8 novembre 2014

25 anni fa cadeva il muro.

Venticinque anni fa cadeva il muro di Berlino, cioè simbolicamente svaniva la “cortina di ferro” (ungh. Vasfüggöny) che divideva l’Europa in due blocchi contrapposti dopo la seconda guerra mondiale.
In realtà l’apertura delle frontiere Est/Ovest (che erano insuperabili per quasi tutti i cittadini) avvenne 77 giorni prima. Infatti, il 23 agosto l’Ungheria aprì le proprie frontiere con l’Austria, permettendo ai tedeschi dell’Est di espatriare all’Ovest (più di 13 mila ne approfittarono); già in aprile se n'erano andati i soldati sovietici.

Però la data simbolo è considerata il 9 novembre, quando decine di migliaia di tedeschi dell’est si ammassarono ai checkpoints per entrare a Berlino Ovest e scoprire lo shopping o godersi aria libera. Cos’era successo? Da qualche settimana erano in corso dimostrazioni di massa contro il governo socialista della Repubblica Democratica di Germania (DDR). Il 18 ottobre il leader, Erich Honecker, si dimise, sostituito da Egon Krenz. Il nuovo governo decise di permettere ai cittadini di viaggiare ad ovest, nella Repubblica Federale Tedesca (RDT). Il relativo decreto sarebbe stato approvato in qualche giorno, dando tempo alle guardie di confine di prepararsi. Invece, il ministro della propaganda, Gunter Schabowski, che era in vacanza e non conosceva i dettagli, fece una conferenza stampa dando l’evento per immediato. Questo annuncio, dato in televisione, fece riversare in strada migliaia di berlinesi dell’est (Ossie), le guardie prese alla sprovvista li fecero passare senza controlli, e i berlinesi dell’ovest li accolsero festosamente. Nei giorni successivi molte persone (poi chiamate Mauerspechte) cominciarono spontaneamente a demolire il muro, un souvenir e un odioso simbolo da abbattere.
Il 18 marzo 1990 si tennero le prime elezioni libere nella DDR e la Germania, divisa dopo la guerra in DDR e RFT e appartenenti ciascuna a uno dei due blocchi (socialista e capitalista), fu ufficialmente riunificata il 3 ottobre 1990.
Questo evento parve avvicinare l’obiettivo di un mercato unico europeo: per evitare il dominio di una Germania unificata, Mitterand e Kohl decisero la costruzione dell’euro, bruciando le tappe e senza aver completato l’unificazione politica in seno all’UE.

Anche in Ungheria la transizione a un sistema democratico fu veloce. Già nel 1988, dopo 32 anni di potere, era caduto Kádár (nonostante il suo fosse considerato il più interessante tentativo di “riforma” all’Est). Nell’89 decisive modifiche furono apportate alla Costituzione del 1949. Il 25 marzo 1990 si svolsero le prime elezioni democratiche: si insediò un governo di centro-destra, guidato da Antall József, e Göncz Árpád venne eletto presidente della Repubblica.

Dunque il blocco sovietico (URSS e paesi “satelliti”), che sembrava immutabile, si sgretolò dall’interno. Inutile il tentativo di riformare il sistema socialista, ibridizzando l’economia centralizzata con il mercato, tentato da Gorbacev tra il 1985 e il 1991. Però la prestrojka (ricostruzione) e la glasnost (trasparenza) liberarono il pensiero critico che finalmente poté denunciare l'illibertà del sistema.
Le premesse c’erano già un decennio prima: la rivincita del liberismo col thatcherismo e la reaganomics, i colpi al bipolarismo inferti dalla rivoluzione iraniana e dalla rottura della Cina con l’Urss, la fallimentare invasione sovietica dell’Afghanistan. Tale fase nuova era anche la risposta agli anni – tra fine anni ’60 e inizio anni ’70 – della contestazione studentesca e delle lotte operaie, che svilupparono una forte spinta al cambiamento, dopo che il boom economico (e demografico) del dopoguerra aveva deluso le grandi aspettative di un benessere diffuso.

Venticinque anni fa l’Europa cambiava. Si pensò che il mondo fosse ormai pacificato (con la fine delle ideologie, la “fine della storia”). Un nuovo equilibrio sembrava raggiunto nel Vecchio Continente, dopo l’ordine di Yalta (ma, secondo Kissinger – nel suo libro Worl Order – si spezzò il modello di equilibrio uscito dalla Pace di Westfalia nel 1648). Invece, oggi il disordine rischia di prevalere, vecchie e forse più pericolose ideologie si sono riaffacciate nel mondo, altri muri anziché ponti.
Insomma, il mondo è in cerca di un nuovo assetto (secondo Papa Francesco è in atto una “terza guerra mondiale combattuta a pezzi”). La democrazia (almeno sul piano formale) si è espansa (prima dell’89 gli Stati basati su elezioni democratiche erano 40, un terzo della popolazione mondiale, oggi sono 120, due terzi degli abitanti della Terra), ma ansima sotto i colpi di una globalizzazione che non contempla i popoli e non sopporta i diritti dei cittadini.
L'Europa economica appare declinare inesorabilmente, quella politica non prende forma compiuta. Il Vecchio Continente non è più, nemmeno in alleanza con gli Usa, il motore del mondo. Ma ne può essere una delle fondamentali memorie culturali.

giovedì 6 novembre 2014

Saluto al Console.

Il Console Generale d’Ungheria Manno Istávn, a fine anno conclude il suo mandato a Milano e torna nel proprio Paese per altri incarichi. Sarà probabilmente una donna a prenderne il posto.
Il 23 ottobre, nel tradizionale incontro per celebrare l’anniversario della rivoluzione ungherese del ’56, Manno ha salutato tutti, augurandosi di mantenere i legami d’amicizia sorti nei quasi quattro anni del suo mandato. Tra l’altro ha premiato con alte onoroficieze ungheresi, Sinkó Irene (presidente dell’ Associazione Culturale Liguria-Ungheria) e la coppia Nemeth Gizella e Adriano Papo (presidenti di due associazioni triestine, rispettivamente la Sodalitas Adriatico-Danubiana e l’Associazione Culturale Italoungherese Pier Paolo Vergerio) per il significativo contributo all’amicizia tra i due popoli.

Chi segue questo blog, ha trovato spesso il nome di Manno. Infatti, il Console è stato molto attivo e presente in tutto il Nord-Italia (area di sua competenza) e non solo.
Laureato in Economia a Budapest (ma anche alla Bocconi), sposato e con due figli, Manno ha sviluppato la sua carriera nelle istituzioni ungheresi, dal Ministero degli Esteri all’Ambasciata d’Ungheria a Roma, fino ad arrivare al Consolato Generale (főkonzulát) a Milano nel 2011.
I Mannó sono ungheresi di origine greca. Questa famiglia, come poche altre, ha lasciato un segno profondo nella vita di Pest nel corso di oltre due secoli (v. Korall 44/2011).

Ho incontrato Manno in diverse occasioni, a partire dal primo invito per conoscerci che mi ha rivolto subito dopo aver ricevuto notizia dell’edizione del mio libro di proverbi ungheresi. Ho avuto la netta impressione di un impegno generoso nell’assolvere le funzioni tipiche di tutti i corpi consolari (di solito assimilati ai corpi diplomatici, che però si differenziano per la loro natura politica). Tra tali funzioni, oltre alla protezione degli interessi ungheresi in Italia, spicca il favorire le relazioni tra i due Paesi e promuovere in tutti i modi relazioni amichevoli tra gli stessi. Ebbene in questa funzione penso che Manno abbia dato il massimo per tenere alto il buon nome (l’onore e la credibilità) del suo Paese, al di là delle contingenze politiche, e per migliorare l’immagine reciproca dei due popoli. Ci è riuscito?

Occorre premettere che, da alcuni anni, l’Ungheria non gode di “buona stampa” in Italia e anche in altri paesi Ue. Come per tutti gli stati più piccoli, i mass-media ne parlano poco, e quando ne parlano è per eventi (in genere, negativi) che suscitano clamore. Ecco ad esempio uno de recenti titoli sull’Ungheria: “Biologia maschilista” (L’Espresso del 2 ottobre 2014). Ciò produce nell’opinione pubblica una visione distorta dell’Ungheria, basata su stereotipi, più o meno fondati (alcune prese di posizioni su democrazia e liberalismo da parte del premier Orbán Victor appaiono effettivamente discutibili; si incorre invece in pregiudizi quando si usano due pesi e due misure nel valutare il governo ungherese rispetto ad altri governi europei).
Per capire che sentimenti susciti tale situazione negli ungheresi, in particolare quelli residenti in Italia, pensiamo a come ci sentiamo noi italiani quando vediamo che sui giornali stranieri appaiono solo  nostri difetti o, peggio, pregiudizi sul nostro “carattere”.
L’impresa del Console Manno era dunque tutta in salita, benché un po’ di spinta sia arrivata nel 2013 dall’Anno culturale Italia-Ungheria.
Eppure, credo di poter dire che – al di là dell’opinione pubblica influenzata dai grandi mass-media –le persone e le istituzioni entrate in relazione con il Console Generale abbiano vissuto un’esperienza ricca e che, soprattutto, l’immagine dell’Ungheria ai loro occhi sia migliorata. Manno ha mostrato, al di là di indubbie capacità diplomatiche, qualità umane non comuni e ha lasciato un segno positivo. Penso che chi l’ha conosciuto gli ne sia grato, e spero anche che ciò gli venga riconosciuto per i prossimi incarichi istituzionali.

Tra l’altro, è scaduto anche il mandato dell’Ambasciatore d’Ungheria a Roma, Balla János (probabilmente destinato all’ambasciata di Mosca), e chi era candidato a sostituirlo, l'intellettuale Szentmihályi Szabó Péter (vicino all’ultradestra di Jobbik e recentemente al centro di polemiche sul suo presunto antisemitismo, denunciato dall’Anti Defamation League) è deceduto lo scorso 20 ottobre.


lunedì 3 novembre 2014

Proverbio/detto ungherese del mese (1019).

Jókor lenni, jó helyen, essere al momento giusto nel posto giusto (ma anche rosszkor lenni, rossz helyen, essere al momento sbagliato nel posto sbagliato). Tale proverbio sottintende un talento personale a crearsi buone occasioni ma, soprattutto, ad afferrarle al volo quando si presentano (che siano frutto di abilità personale oppure semplicemente del caso).
Egualmente, si dovrebbe essere abbastanza saggi da capire quando ci si trova al momento sbagliato nel posto sbagliato. Una rapida consapevolezza di ciò consentirebbe di limitare i danni o, addirittura, di risolvere in positivo una situazione avversa.
Facile a dirsi. O facile vantarsi, quando la sorte ci ha favorito senza alcun merito (Micsoda mázli! Ovvero “Che culo!”, sarebbe il commento bilingue).
Più spesso di quanto si creda, succede che non ci si renda conto di quanto ci accade, subendo inerti e rassegnati gli eventi negativi. Con quel senso di precarietà magistralmente descritto dal poeta Giuseppe Ungaretti (1888-1970) nella poesia Soldati: “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”(Katonák: “Úgy állnak, mint ősszel a fákon a levelek”, trad. di Képes Géza).

Così come a volte ci manca un pur minimo spirito d’iniziativa e ci si affida solamente alla “divina provvidenza” (isteni gondviselés).
Come in quella barzelletta (vicc), dove un tale tutte le mattine si reca in chiesa, ai piedi della statua del suo santo protettore, per supplicarlo di farlo vincere alla lotteria. La statua resta a lungo muta, finché un giorno sbotta e gli parla: “Beh, almeno comincia a comprare un biglietto!”
O come in quell’altra barzelletta, dove un tale si rifugia sul tetto dopo che la sua casa è vittima di un’inondazione. Ai vicini di casa che si offrono di ospitarlo su un canotto, replica di andarsene perché lui si affida alla grazia di Dio. Ai vigili del fuoco che arrivano in motoscafo per soccorrerlo, replica nello stesso modo. Uguale reazione verso la protezione civile che lo vuole accogliere sull’elicottero di salvataggio. Infine, il tale si ritrova all’altro mondo e, al cospetto di Dio, si lamenta che non l’ha aiutato. “Ma come!? – replica Dio – Prima ti ho mandato i vicini, poi i pompieri, infine la protezione civile...!”
Come si vede, anche dalle barzellette – forse la forma di comicità più popolare e diffusa – traspare a volte un contenuto proverbiale ovvero sapienziale.