giovedì 4 giugno 2015

Italian taste vs Italian sounding.

Il patrimonio agroalimentare italiano è unico in assortimento e qualità. Perciò in tutto il mondo c'è chi lo imita. È il fenomeno dell'Italian sounding (IS): immagini, marchi, denominazioni che fanno credere che un determinato prodotto sia originario dell'Italia. Invece si tratta di copie, spesso di bassa qualità. Secondo Carlo Calenda, viceministro allo sviluppo economico, “il fenomeno è così esteso perché i prodotti originali italiani sono introvabili nei punti vendita americani mentre abbonda l'Italian sounding di Kraft e Unilever.”
Fenomeno analogo ho riscontrato in Ungheria, ma è diffuso in tutta l'UE.
Addirittura si stima che il valore dell'IS nel mondo sia di 54 miliardi l'anno, circa il doppio del valore delle esportazioni agroalimentari italiane, che comunque negli ultimi anni sono aumentate del 70% (obiettivo 2020: 50 miliardi di euro).
Molti denunciano tali imitazioni o contraffazioni come una truffa, anche se non manca chi – come Piero Bassetti, presidente dell'Associazione Globus et Locus – ritiene che “chi copia i nostri prodotti ci fa un favore” in quanto ambasciatori inconsapevoli del nostro modo di produrre e vivere. Ma per i produttori italiani è una perdita economica nonché una svendita dell''italianità'.

Comunque, contri i falsi prodotti 'italiani', il governo ha varato un Piano straordinario per il made in Italy, che prevede una campagna di comunicazione e l'aumento sugli scaffali della grande distribuzione dei prodotti originali del Bel Paese. Sarà adottato anche un segno distintivo per i prodotti agroalimentari italiani (il marchio “Italian Taste”).
Inoltre l'Italia (supportata da Croazia, Francia, Grecia, Portogallo e Francia) vuole ottenere dall'UE l'etichettatura di origine dei prodotti nei settori: calzature, tessile, ceramica, arredo e oreficeria.
C'è però chi rema contro: la Lettonia, che ha la presidenza di turno della UE, ha proposto che il regolamento consumatori preveda il paese d'origine solo per i settori calzature e ceramiche (solo quelle per alimenti), ed è appoggiata da Germania, Gran Bretagna, Svezia, Danimarca, Belgio Olanda e Irlanda.
Il pericolo di una deregolamentazione che danneggi i prodotti “Made in” e che inganni i consumatori è evidenziato dalla Coldiretti, che teme questo pessimo esito se andrà in porto il TTIP, accordo di partenariato transatlantico per commercio e investimenti tra Usa e UE. Se così fosse, i consumatori europei potrebbero veder aumetare i prodotti taroccati (provenienti in particolare dali Stati Uniti) nei punti vendita.

Comunque, amici ungheresi, se cercate il Made in Italy dovrete cercare il marchio “Italian taste”, un'indicazione molto utile (al di là di qualche retorica patriottarda).

Infine, un flash sull'andamento delle esportazioni italiane. Sace ha presentato il rapporto 2015/2018 che ne prevede un incremento.
In particolare, vengono indicate le maggiori opportunità di crescita in 39 Paesi (i tre quarti dell'export italiano). Fatto 100 l'indice di opportunità massima, ai primi posti ci sono: Arabia Saudita (85), Regno Unito (79) e Germania (78). L'Ungheria è al 24° posto (64), dietro Slovacchia (70), Turchia (70) e Polonia (68), ma davanti alla Russia (60).
Dallo stesso rapporto (consultabile in rete, insieme alla mappa mondiale) si ricava che la quota di mercato dell'export italiano in Ungheria è del 4,4%, dietro alla Germania (25,2%), ma davanti a Francia (4,1%) e Spagna (1,5%).

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