lunedì 9 dicembre 2013

Kovács: la politica dello spettacolo.



“Come tante altre volte in Europa centrorientale poesia, letteratura, teatro e musica hanno fatto da lievito all’impasto della storia”. È il prologo, riferito ad un episodio del 15 marzo 1989, di un interessante articolo di Kovács Géza, direttore generale della Magyar Nemzeti Filharmonikus Zenekar (Orchestra Filarmonica Nazionale Ungherese), pubblicato sul settimanale Internazionale (n. 1029/2013) col titolo “La politica dello spettacolo”, traduzione di Matteo Colombo. L’articolo è uscito sul periodico indipendente New Eastern Europe (Polonia), che dà voce all’Europa centrorientale.

Facendo ricorso alla sua memoria sui rapporti tra cultura e potere, Kovács sostiene che in quella parte del mondo i movimenti artistici e le performance sono sempre stati uno strumento fondamentale per esprimere emozioni e passioni represse, veicoli di un “linguaggio in codice” che aggirava l’onnipresente censura ideologica. Tale improprio ruolo assunto ad Est dalla cultura non è cessato del tutto dopo la caduta del Muro di Berlino.
Kovács ha l’impressione che “la maledizione che grava da secoli” sui paesi dell’Est Europa non sia ancora finita. Tuttora “l’arte è costretta a scegliere se prendere parte ai processi politici e storici oppure perdere il sostegno delle autorità se non, peggio ancora, quello del pubblico”. L’Unione Europea ha aperto nuove possibilità per tutti i cittadini, ma “i problemi che ciclicamente costringono le arti a schierarsi rimangono in agguato: corruzione, povertà, disuguaglianza sociale, sete di potere e populismo restano tra noi”.

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