martedì 7 aprile 2015

Exponsor?

“Feeding the planet. Enegy for life”, Nutrire il pianeta, energia per la vita (ungh. Táplálni a Földet, energiát adni ez életnek) è il tema dell’esposizione universale, quest’anno a Milano (si tiene ogni 5 anni nel mondo).

Un’occasione rara di interrogarsi sulla capacità di soddisfare un bisogno fondamentale del pianeta: cibo e acqua. E un’occasione forse unica per l’Italia di far conoscere il suo prezioso patrimonio enogastronomico, le sue eccellenze agricole, la sua peculiarità turistico-culturale.

Eppure si rischia un flop, essenzialmente per due criticità concomitanti.

La prima conferma, purtroppo, uno stereotipo sugli italiani (e degli italiani verso se stessi), cioè che tendono a lamentarsi del proprio Paese perché inaffidabile e poco organizzato. Sappiamo dal 2008 (quando commissario all’Expo era Roberto Formigoni, presidente della Regione Lombardia) che Milano ospita l’Expo. Eppure – nonostante il volontarismo (non sempre fondato) del capo del governo, Matteo Renzi, e del sindaco di Milano, Giuliano Pisapia –  i lavori sono iniziati seriamente solo da un anno: non saranno completati tutti in tempo, tant’è che è in corso una gara da 1milione di euro per “camuffare” le opere incomplete. Oltre al tonfo dell’area Expo (1 milione di metri quadri che non si sa che fine faranno nel post-expo), tutte le previsioni di ricadute occupazionali e commerciali si sono dimostrate largamente sovrastimate. Per amor di Patria, sorvolo sulla corruzione.

La secondo criticità è la contraddittorietà degli sponsor: multinazionali che rischiano di fagocitare la rassegna (da qui il gioco di parole “Exponsor”= Expo+sponsor). I due principali sponsor – McDonalds e Coca Cola – hanno un’immagine che confligge con un futuro, agricolo e ambientale, equo e sostenibile. Ma anche lasciare nelle mani della Barilla la “Carta di Milano”, cioè l’elaborazione di un protocollo internazionale sull’alimentazione e la nutrizione, lascia alquanto perplessi. Inoltre, diversi stati africani rischiano il ruolo di comparse in quanto sono presenti grazie all’intervento dell’Eni (official partner for sustainability initiatives in african countries), la multinazionale di casa nostra.
Insomma, per citare il mio libro sui proverbi ungheresi: “L’uomo saggio non affida il proprio giardino a una capra” (okos a kecskét nem teszi kertésszé).

Il rischio è quindi che l’Expo 2015 – pensata inizialmente come rassegna “etnografica” degli orti e giardini del mondo fino a declinare in fiera turistico-gastronomica – lasci dietro di sé solo un triste ricordo per un’occasione mancata.

Il 94% della popolazione mondiale è rappresentata all’Expo dai 145 paesi partecipanti. Solo una minoranza di Stati ha un proprio padiglione: in particolare l’Italia (“Vivaio Italia”) e l’Ungheria (“Dalla fonte più pura”). Anche se sarà difficile arrivare ai 20 milioni di visitatori previsti, speriamo che l’iniziativa dei singoli paesi sappia dare un buon contributo alla riflessione sul problema (diritto) “alimentazione” nel mondo, che ha bisogno – più che di maggiore produzione – di nuove idee e culture per migliorare il modo in cui il cibo è prodotto, distribuito, consumato.
È comunque un fatto positivo che milioni di persone, di culture ed etnie diverse, si incontrino e si confrontino pacificamente per parlare dei destini dei popoli e dell’umanità.

-          sito ufficiale Expo

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