lunedì 19 gennaio 2015

Versi dalla fattoria ungherese.

“Nella vecchia fattoria i-a, i-a-oo...” è una vecchia canzone italiana, con la voce (o verso, ungh. hang) degli animali da cortile. L’asino fa HI-OH, la capra BEE, il gatto MIAO, il cane BAU, il maiale HRRR.
Ciascun verso è riprodotto con un vocabolo onomatopeico (hangutánzó szó), cioè assomigliante al suono prodotto. Stessa origine, spesso, hanno sia il verbo (ige) - che indica l’azione di emettere il verso tipico dell’animale - e sia il nome del verso (hang neve).
Ma quasi sempre tali vocaboli sono diversi da una lingua all’altra, pur riferendosi allo stesso animale. Gli animali non conoscono le diverse lingue umane, e un pulcino ungherese assomiglia a un pulcino italiano. Allora perché il pulcino magiaro (ungh. csibe) fa csip-csip (prounucia it.: cip-cip) e quello italiano fa pio pio?

Poiché la fonetica di ciascuna lingua è diversa e diversi sono tempi e modi di formazione (e percezione) delle parole, cambia l’associazione versi/suoni (in alcuni casi, si importa da un’altra lingua: per il grugnito del maiale, in italiano si usa oink oink, come in inglese).
In Italia è abitudine usare il verbo “fare” accompagnato dalla trascrizione del verso animale: “il gallo fa chicchirichì” (si potrebbe dire anche, ma non si usa, “il gallo chicchìria”, dal verbo “chicchiriare”). In Francia però il gallo fa cocoricò, in Germania kikeriki, in Inghilterra cock-a-doodle-do e in Spagna quiquiriqui.
In ungherese il sostantivo che denomina il verso dell'animale si costruisce in modo semplice e regolare, aggiungendo alla radice verbale il suffisso ás/és (in base all'armonia vocalica).
In italiano  tale costruzione è variabile e irregolare: a volte è il participio del verbo, a volte una sua flessione con vari suffissi . Quando manca il sostantivo che denomina il verso, in italiano si sostantiva il relativo verbo, es.: il tubare delle colombe.

In Ungheria, invece, si usa spesso la forma verbale: “a kakas kukorékol” (il gallo chicchìria). Ma a volte si usa: “a kakas azt mondja: kukurikú ” (il gallo dice chicchirichì).
L’ungherese poi è più completo dell’italiano per quanto riguarda il nome del suono: kukorékolás è il verso del gallo, che in italiano manca. Kukuricù è il verso equivalente a chicchirichì.
L’ungherese è anche spesso più preciso: ad esempio, differenzia il verso del corvo (károgás) da quello della gazza (csörögés); in italiano è sempre “gracchìo”.
In altri casi, anche l’italiano è completo: l’asino raglia (ungh. a szamár ordít), il suo verso fa hi ho (), e si chiama raglio (ordítás).
Come detto, però, in italiano è poco frequente l’uso del nome del verso. Ecco un altro esempio (con traduzione in ungherese): “il cane abbaia oppure il cane fa bau bau” (a kutya ugat vagy a kutyaugatás vau vau), mentre è rarissimo dire “l’abbaio del cane” (a kutyaugatás).
Tra italiano e ungherese (come per altre lingue) non sempre c’è corrispondenza di verbi per lo stesso animale (segnalate errori!). E per lo stesso animale ogni cultura individua vari versi, come per il cane: in italiano, una decina; in ungherese, cinquantaquattro!

Ecco un elenco di versi dianimali (suono, nome, verbo), una sessantina in italiano e in ungherese, utile promemoria anche nella propria madrelingua, di cui spesso non ricordiamo questi versi bizzarri e strani.
Già si sa che il gatto miagola e il leone ruggisce. Forse si ricorda anche che l’elefante barrisce. Si scoprirà che il tacchino gloglotta, il cervo bramisce e la giraffa landisce.
Ma non sempre si trova in una lingua un verso adatto a un dato animale. Infatti, come recita un’altra canzoncina per bambini: “il coccodrillo come fa?”

-          Állati hangok (magyar)

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