martedì 4 febbraio 2014

Addio a Jancsó, “sguardo di dio”.



Si è spento a 92 anni a Budapest uno dei maggiori cineasti ungheresi, Jancsó Miklós. È considerato l’emblema del “Nuovo cinema ungherese”, nato a seguito della repressione della rivoluzione ungherese del 1956 (“lo stalinismo, più che un errore, è un crimine” constatò Jancsó).
Era molto attratto dalla storia e poco dal montaggio: faceva largo uso del “piano sequenza”, ripresa cinematografica senza stacchi, forse ispirata dal paesaggio della steppa ungherese, la puszta. Il suo cinema (inizialmente documentaristico), contraddistinto da un pessimismo storico in parte stemperato nella produzione degli ultimi anni, ha continuato ad analizzare implacabilmente i rapporti tra individuo, potere e comunità.
Fu un “gigante del cinema mondiale “, secondo Kinoeye, anche se i suoi film spesso furono poco visti, in patria e all’estero, per problemi sia con la distribuzione che con la censura.
Come ricorda Silvana Silvestri (il manifesto, 2 febbraio), a Jancsó fu attribuito – dal regista polacco Andrzej Wajda – “lo sguardo di dio”, per la capacità di trasformare gli spettatori in spietate divinità che assistono con distacco alle vicende della storia.

Negli anni ’70, per molti giovani occidentali protagonisti della “contestazione”, le forme e i contenuti nuovi che provenivano dalla cinematografia dell’est offrivano uno sguardo nuovo sul mondo, anche se a volte criptico (dovevano superare la censura).
Ricordo la visione in un cinema d’essai nel ’76, proveniente dal festival di Cannes,  del film Vizi privati, pubbliche virtù (prodotto nel periodo “italiano” di Jancsó) che suscitò scandalo: venne sequestrato due volte, e la sceneggiatrice Giovanna Gagliardo condannata inizialmente per oscenità ma poi assolta.

La notorietà internazionale arriva negli anni ’60 con una trilogia: “I disperati di Sandór” (Szegénylegények), “L’armata a cavallo” (Csillagosok, katonák), “Silenzio e grido” (Csend és kiáltás). Nel 1990 al Festival del cinema di Venezia gli viene riconosciuto il Leone d’oro alla carriera.

Il regista ungherese e altri grandi registi dell’Est (Andrzej Wajda, Krisztof Zanussi, Ivan Passer ecc.), con la loro arte, riuscirono a scavalcare le barriere fisiche e ideologiche che dividevano l’Europa fino all’’89 e salutarono favorevolmente nel 2004 l’allargamento dell’Unione Europea.

- intervista del 2002 (in inglese)

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