martedì 6 agosto 2013

Traduttori: "traditori" indispensabili.



Secondo lo scrittore e critico letterario svedese Olof Lagercrantz , per studiare un testo straniero in profondità lo si deve tradurre nella propria lingua, ma subito il compito si rivela impossibile, “ci si può avvicinare al testo, ma non si può mai raggiungerlo”.
Più prosaicamente il tedesco Carl Bertrand, che a fine ‘800 ha tradotto in tedesco la Divina Commedia, sentenziò: “Le traduzioni sono come le donne. Quando sono belle non sono fedeli, e quando sono fedeli non sono belle”.
Ancor più drastica una sentenza proverbiale che gioca sulle parole: “Traduttori: traditori”.

Per Sándor Márai il traduttore (fordító) è un ‘artista ma “è sempre anche uno scrittore mancato”. Il traduttore è spinto dalla passione e, per vivere, deve fare altri lavori, anche perché tradurre (fordítani) è difficile ma ancor più duro è trovare un editore disponibile a pubblicare l’opera tradotta.
Anche se la correlazione tra lingua e cultura non è ancora scientificamente definita, un fatto appare certo: tradurre non è un semplice lavoro di mediazione linguistica ma anche culturale (è la ragione del fallimento dei traduttori automatici).
Il fondatore della moderna linguistica, Ferdinand de Saussurre (1857-1913), ha sostenuto che è la cultura a forgiare una parola (significato e significante). Ciò pone diversi problemi alla “comunità dei traduttori”, tra cui uno di principio: se ogni lingua codifica i propri significati sulla base di una specifica esperienza culturale, tali forme proprie – idiomatiche – sono in senso stretto intraducibili.
Come fare allora per applicare – nella traduzione (fordítás) – il fondamentale principio del rispetto del vero e del bello in letteratura?
Si tratta, basandosi su una cultura fondata sul rispetto tra pari, di comprendere le intenzioni dell’opera. Qui sta il “bello e il vero” in una traduzione, non in quello che piace al traduttore o al lettore, e nemmeno all’autore. Operazione difficile, che richiede al traduttore capacità di autocritica e umiltà (l’espressione “parlare come un libro stampato” segnala che occorrerebbe liberarsi di una concezione sacerdotale di chi scrive o traduce).
Il traduttore, infine, deve rendersi trasparente, invisibile al lettore. È inevitabile però che il suo essere “mediatore culturale” eserciti un’influenza sul testo. È opportuno quindi avere un atteggiamento critico verso la traduzione, ma sarebbe anche utile conoscere il lavoro dei traduttori, oscuro ma prezioso e indispensabile (cosa sarebbe la civiltà umana senza la circolazione della cultura attraverso la traduzione dei testi?).

I più noti traduttori letterari dall’ungherese all’italiano a cavallo del 2000 sono indicati dalla ricercatrice universitaria Cinzia Franchi nel contributo “Tradurre la letteratura ungherese” sulla Rivista di Studi Ungheresi del 2008. Si tratta di docenti o ricercatori universitari - madrelingua o italiani - o linguisti professionisti (alcuni scomparsi).
Eccone i nomi: Gianpiero Cavaglià, Marinella D’Alessandro, Stefano De Bartolo, Eszter De Martin, Cinzia Franchi, Éva Gács, Alfredo Lavarini, Matteo Masini, Armando Nuzzo, Nóra Pálmai, Andrea Rényi, Zsuzsanna Rozsnyói, Krisztina Sándor, Péter Sárközy, Mariarosaria Sciglitano, Beatrice Töttössy, Bruno Ventavoli.
A questo elenco aggiungo: Paolo Santarcangeli, che ha fondato nel ’65 la Cattedra di Lingua e Letteratura Ungherese dell'Università di Torino e ha tradotto le poesie di Endre Ady; Antonio Donato Sciacovelli, che ha tradotto tra l’altro La Sorella di Sándor Márai; Laura Sgarioto che – anche con Krisztina Sándor – ha tradotto altri romanzi di Márai (La donna giusta, Truciolo, Divorzio a Buda).
Ne cito ancora altri, che hanno dato un contributo alla traduzione, o traducendo testi anche non letterari o occupandosi dei relativi problemi nei due sensi (ungherese-italiano e italiano-ungherese): Umberto Albini, Sauro Albisani, Federigo Argentieri, Paolo Agostini, Raffaele Borrelli, Edith Bruck, Carlo Camilli, Gabriella Caramore, Andrea Csillaghy, Edoarda Dala Kisfaludi, Paolo Driussi, Zsuzsanna Fábián, Nicoletta Ferroni, Alexandra Foresto, Danilo Gheno, Tomaso Kemény, Irén Kiss, Katalin Kiss, Márta Köszegi, Zsuzsanna Kovács Romano, Silvia Levi, Andrea Lóki, Maya Nagy, Giorgo Pressburger, Brian Stefen Paul, Roberto Ruspanti, Margherita Stocco, Gyózó Szabó, Tibor Szabó, András Szeghy, Melinda Tamás-Tarr Bonani, Paolo Tellina, Dag Tessore, László Tóth, Éva Törzsök, Imre Várady, Júlia Vásárhelyi, Nicoletta Vasta, Umberto Viotti.

È possibile conoscere la storia delle traduzioni italiane delle opere letterarie ungheresi, leggendo l’articolo di Péter Sárközy sulla Rivista di Studi Ungheresi del 2004.

Infine, per approfondire natura e origine della mediazione culturale (in senso ampio) tra Italia e Ungheria, segnalo gli atti di un convegno del 2002 a Udine pubblicati dall’”Associazione italoungherese Vergerio”: Hungarica varietas. Mediatori culturali tra Italia e Ungheria (Edizioni della Laguna, 2004), a cura di Adriano Papo e Gizella Németh.

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