lunedì 29 dicembre 2014

AUGURI!

Kellemes ünnepeket 
és Boldog új évet!


Buone feste 
e Felice anno nuovo!

L'Ufficio Turistico Ungherese cambia.


Cercate l’Ufficio Turistico Ungherese in Italia? È a Milano, ma non è più in via Giotto.
Questa estate si è spostato presso il Consolato, in via Fieno n. 3 (zona MM3 – Missori), ma in Internet trovate ancora il vecchio indirizzo.

È la rappresentanza ufficiale dell’Ente Turistico Ungherese, l’ufficio più appropriato per dare informazioni turistiche sull’Ungheria, ma anche dove raccontare le proprie impressioni dopo il viaggio. Naturalmente, si possono ottenere vari opuscoli e depliant.
È cambiato anche il direttore (anzi, direttrice) dell’ufficio:  Keresztes Dóra subentra a Obrofta Anita.

Nell’apposita conferenza stampa di pochi mesi fa, il Console Generale, Manno István, ha sostenuto che questo cambiamento migliorerà il lavoro di promozione: “È stato deciso di razionalizzare le rappresentanze del nostro Paese in città per essere più efficienti possibili”. La Keresztes ha rimarcato l’impegno del suo ufficio ad essere ancora presenti in Italia: “Crediamo molto nel mercato italiano, che dimostra un’attenzione costante all’Ungheria e si trova tra i primi mercati per importanza”. Novità in vista, con il restyling del sito internet e lo sbarco sui social media.
Info: info@turismoungherese.it tel. (0039) 02.72095737
Altre informazioni possono essere otteute direttamente in Ungheria, negli oltre 90 uffici di Tourinform.
L’Ambasciata italiana a Budapest è in Stefánia út, 95 - tel. (0036) 1 4606200.

mercoledì 17 dicembre 2014

Ricordi ungheresi/4: Weisz Árpád.

Sono interista ed è una bella sorpresa scoprire che lo scudetto del 1929/30  fu vinto dalla FC Internazionale (allora si chiamava Ambrosiana) grazie a un ungherese. Si trattava di Weisz Árpád (1896-1944), ancor oggi l’allenatore più giovane che abbia mai vinto un campionato e forse il miglior allenatore della sua epoca.

Lo rivela una targa posta nello stadio di San Siro a Milano. Tale ricordo ungherese è stato collocato nel foyer della tribuna rossa del “Meazza” il 27 gennaio 2012, giorno della memoria, in quanto Weisz era di origine ebraica e morì nel ’44 nel campo di concentramento nazista di Auschwitz. Weisz – che era stato anche un’ottima ala sinistra nell’Olimpica ungherese del ’24 (anno in cui si trasferì al Padova) –  lasciò l’Italia nel gennaio del ‘39 in seguito alle leggi razziali, ma poi fu arrestato dai nazisti in Olanda e deportato nei campi di sterminio insieme alla moglie e ai due figli (uccisi nel ’42).

Weisz fu anche il primo a scrivere, insieme al dirigente  Aldo Molinari, un manuale dedicato alle tecniche di calcio (Il giuoco del calcio, con prefazione di Vittorio Pozzo). Introdusse lo schema WM (una sorta di 3-4-3) sui campi di calcio italiani, sperimentò i ritiri (nelle terme) e inaugurò l’allenamento (in calzoncini) insieme ai giocatori. Iniziò la sua carriera di allenatore nel ’26 all’Ambrosiana, dove fece esordire Peppino Meazza, e che portò a vincere il suo terzo scudetto nel 1930 (anno di istituzione della Serie A a girone unico).

Nel 2007 è stata inaugurata una targa in memoria di Weisz anche allo stadio Dall’Ara di Bologna, dove vinse tre scudetti vicini (1935/36, 36/37, 38/39). Nello stesso anno Matteo Marani, giornalista sportivo, ha scritto su di lui un libro, Weisz, l’allenatore che finì ad Auschwitz (Aliberti editore). Il grande Bologna fu il suo capolavoro, che divenne “la squadra che tremare il mondo fa”, segnando un’epoca nell’Italia e nell’Europa calcistica. Tra il ’35 e il ’39, infatti, oltre a tre campionati italiani, il Bologna vinse la Coppa dell’Esposizione (sorta di Champions) battendo gli inglesi del Chelsea per 4-1.

Chissà se c’è una targa anche a Torino, dove un altro ungherese costruì le fortune del grande Torino, che dominò il campionato italiano tra il ’43 e il ‘49. Si trattava di Egri Erbstein Anton, prima direttore tecnico e poi allenatore. Introdusse tecniche avanzate di preparazione degli atleti, come il riscaldamento prepartita, e preconizzò l’avvento di tecniche che si svilupparono più tardi, come il pressing, il movimento senza palla e il gioco a tutto campo. Ma il suo segreto vincente fu l’attenzione allo spogliatoio, la grande capacità di dialogare con i calciatori. Riuscì a sfuggire alle leggi razziali, ma poi morì con tutti i giocatori del leggendario Torino nella tragica sciagura di Superga (l’aereo che li riportava a casa, dopo un’amichevole col Benfica in Portogallo, si schiantò contro il muraglione della cattedrale).

Però il periodo migliore per i calciatori e i tecnici ungheresi è considerato il ‘49-‘56, con la “squadra d’oro” (aranycsapat). La nazionale di calcio ungherese (Magyar labdarúgó-válogatott) ha lasciato un segno profondo nel mondo del pallone, fino al “calcio totale” olandese e al tiki-taka spagnolo odierni (v. post del 5 agosto ’13), prima di declinare dopo gli anni ’70.
Nel ’49 arrivò l’allenatore Sebes Gustáv, che rifondò la nazionale sul blocco della più forte squadra di Budapest, l’Honvéd, integrata dai giocatori del MTK e di altre formazioni.
Dal ’50 al ’54 l’Ungheria non ebbe sconfitte per ben 32 partite, record eguagliato solo da Brasile e Spagna. Vinse la Coppa internazionale 1948/1953, le Olimpiadi di Helsinki nel ’52 e arrivò seconda nel Campionato del mondo del ’54 in Svizzera. Una finale tumultuosa: in testa per 2-0, l’Ungheria fu raggiunta e superata dalla Germania che vinse per 3-2, ma col sospetto di doping. Addirittura in Ungheria scoppiarono manifestazioni contro il governo, accusato di aver venduto la partita ai tedeschi (un sospetto che non trovò fondamento). Nell’ottobre del ’56 l’Honvéd era in tournée internazionale: molti giocatori, allo scoppio della rivolta ungherese, preferirono l’esilio e non tornare in patria, tra essi Czibor, Kocsis e Puskás, che – assieme a Di Stefano – fece grande il Real Madrid. Ma questa è un’altra storia.

-          enciclopedia del calcio

giovedì 11 dicembre 2014

1989: rivoluzione o compromesso?

“La metà orientale del continente europeo ha attraversato nell’ultimo secolo rivolgimenti politici, tensioni sociali e conflitti etnici che ne hanno profondamente deviato e rallentato lo sviluppo. Con il fallimento del sistema di Versailles, gli Stati della regione divennero uno dei teatri principali dell’espansione nazionalsocialista e dello sterminio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. La vittoria dell’Unione Sovietica portò a una liberazione/occupazione, all’egemonia comunista e alla creazione di un blocco politico, economico e militare rimasto in vita per quasi mezzo secolo. Dopo il biennio rivoluzionario 1989-91, le guerre balcaniche e il difficile cammino dell’integrazione con la UE, i venti Stati postcomunisti e postsovietici si misurano con gravi problemi sociali ed etnici ereditati dal sistema comunista o aggravatisi durante la transizione democratica".

Si tratta di uno stralcio della presentazione di un libro di Stefano Bottini, Un altro Novecento. L’Europa orientale dal 1919 a oggi (Carrocci, 2011).
Aiuta a entrare nell’argomento di un interessante conferenza – “Rivoluzione o compromesso? Il 1989 in Europa centrale” – che si terrà a Venezia il prossimo 18 dicembre (ore 18), presso il Teatro ai Frari (Calle drio l’Archivio, S. Polo 2464/Q).
Bottini (ricercatore a Budapest presso l’Accademia Ungherese delle Scienze, Magyar Tudományos Akadémia) aggiornerà la sua interpretazione sulla storia recente di questa area dell’Europa, la cui integrazione nell’Unione Europea non appare del tutto avvenuta. Inoltre, quale ruolo hanno (avuto) Usa e Russia (ex Urss) negli eventi post-caduta del Muro?
La ricerca storica è indispensabile se, come afferma Moshe Halbertal nel suo ultimo libro Sul sacrificio (Giuntina, 2014, traduzione di R. Volponi), “il passato non è mai un evento concluso; il suo significato continua a svilupparsi e, retroattivamente, cambia in relazione ai nuovi sviluppi”.
Bottini, gode di una posizione privilegiata, potendo avere accesso in Ungheria ad archivi rimasti segreti fino all’89. Ecco perché sarà estremamente interessante ascoltarlo, e porgli domande, in questo appuntamento.

La conferenza è promossa dall’attivissima Associazione Culturale italo-ungherese del Triveneto, in collaborazione con il Consolato Onorario d’Ungheria a Venezia.


sabato 6 dicembre 2014

Arriva Mikulás!

Babbo Natale in Ungheria si chiama Mikulás, da Miklós (Nicola). Più laicamente, Télapó, "Papà inverno".
Si festeggia dunque il 6 dicembre, giorno di San Nicola: vescovo bizantino del IV sec. d.C., nato in Anatolia, le cui spoglie sono a Bari dal tempo delle crociate e da cui è nato il mito di Santa Claus.
Alimenta una tradizione simile a quella della nostra Befana (6 gennaio) o di Santa Lucia (13 dicembre). I bambini ungheresi, la sera del 5 dicembre, lasciano scarpe o stivali davanti alla loro finestra, sperando di trovare al mattino dolciumi e frutti (impacchettati in carta rossa) come premio per essere stati buoni. In caso contrario, troveranno anche paglia e foglie, lasciate dal diavoletto Krampusz. Infatti, nel periodo dell’Avvento si può incontrare il buon Mikulás, con barba bianca e vestito rosso, accompagnato da un piccolo diavolo in costume nero e qualche ramo secco in mano per “punire” i monelli.
Però il Babbo Natale ungherese non porta i tradizionali doni natalizi, cui “provvede” Gesù Bambino nella notte della vigilia di Natale (Szent este). Nelle stessa “santa sera” si addobba l’albero di Natale (tra l’altro, con tipiche caramelle – szaloncukor – avvolte in carta colorata) e si cena tutti assieme, mentre non è abitudine dare il presepe, che si trova solo nelle chiese (dove i cattolici partecipano alla tradizionale messa di mezzanotte).
L’atmosfera natalizia viene creata durante l’Avvento con la creazione della tradizionale Ghirlanda (adventi koszorú) che prevede 4 candele colorate (possibilmente tre viola e una rossa) da accendere una alla settimana, da fine novembre in poi.
Il periodo a cavallo del solstizio d’inverno è occasione, fin dall’epoca precristiana, per festeggiare con cibi speciali e ricchi piatti. In particolare, per Natale (Korácsony) il pesce è un simbolo del cristianesimo ma anche un porta fortuna: le sue scaglie sono come le lenticchie, più sono e più soldi arriveranno! Per capodanno (újév napja) o la notte di San Silvestro (Szilveszter éjszakája), non può mancare la carne di maiale, simbolo di abbondanza e fortuna.
Ecco un elenco di piatti tipici ungheresi per questo periodo:
-         borleves, zuppa di vino (dolce);
-         halászlé, zuppa di pesce simile al gulyás, ma con pesci d’acqua dolce anziché carni;
-         töltött káposzta, involtini di cavolo, da servire con panna acida (tejföl);
-         rantott ponty, carpa impanata fritta;
-         harcsa pörkölt, spezzatino di pesce gatto, da servire con gnocchetti di pasta (galuska);
-         kacsasült, anatra arrosto;
-         libasült, oca arrosto;
-         pulykasült, tacchino arrosto;
-         kocsonya, carne in gelatina;
-         újév malacsült, maiale arrosto di capodanno, da servire con lenticchie lessate (lencsefözelék);
-         zserbo szelet, fetta di Gerbaud, dolce di origine francese;
-         bejgli, è il “panettone” ungherese, un tradizionale rotolo di pasta dolce con differenti farciture: noci (diós bejgli), semi di papavero (mákos bejgli) o castagne.

Allora, buon appetito! Jó étvágyat!

E non dimenticate gli auguri.
Buona Natale! Boldog Karácsonyt!
Felice anno nuovo! Boldog új évet kívánok!
Oppure, poiché agli ungheresi piace accorciare le parole e utilizzare gli acronimi (ottimi per SMS), scrivete in breve: Buék!,


martedì 2 dicembre 2014

La musicista ungherese Guessus a Rho.

Suona il saz, un liuto a manico lungo, strumento simbolo della musica folk turca. Ma è nata a Budapest e si è appassionata di musica popolare in Turchia, dove ha studiato, e India.
È Guessus Majda Mária e si esibirà venerdì 12 dicembre (ore 21) nella chiesa S. Maria a Lucernate di Rho. Sarà accompagnata da Dimitri Grechi Espinoza, sassofonista folk-jazz italiano tra i più originali.
Il concerto (ingresso gratuito), Welcome, è un ponte sonoro spirituale tra Ungheria e Medioriente.

Fa parte della rassegna “La Musica dei Cieli – Voci e musiche nelle religioni del mondo”, quest’anno al femminile, giunta alla 18° edizione e promossa dal Polo Culturale Insieme Groane.
Il programma prevede 11 concerti, tra il 10 e il 21 dicembre, in diverse chiese dei comuni del nord-ovest milanese.
Tali eventi rientrano nel progetto di valorizzazione del territorio “Voci e Musiche dal Mondo” – realizzato dall’Accademia Vivaldi di Bollate, oltre ad Acli e Polo Culturale – che, attraverso la musica, intende favorire lo scambio interculturale (specie giovanile) e il dialogo interreligioso.
La conclusione è prevista nel giugno 2015 con un grande concerto dell’Orchestra della Pace – Pequeñas Huellas, in cui si esibiranno giovani musicisti da tutto il mondo.

- La Musica dei Cieli (programma)

Dal 3 dicembre 2014 all’11 gennaio 2015 a Palazzo Marino  (Comune di Milano) è in mostra la Madonna Esterhazy di Raffaello, opera proveniente dal Museo di Belle Arti di Budapest (Szép Művézeti Múzeum).


lunedì 1 dicembre 2014

Proverbio/detto del mese (1020).

Menj a búsba, letteralmente intraducibile (bús significa: addolorato, afflitto, malinconico, mesto, triste). É un modo non volgare di mandare qualcuno a quel paese (a fenébe küldeni valakit); in Italia diremmo ”va’ a farti benedire!”
Ma, come in Italia, anche in Ungheria sono svariati, e piú crudi, i modi per esprimere un sentimento di irritazione o insofferenza verso chi ci disturba o ci opprime. E si tratta di espressioni quasi quotidiane!
Eccone alcune (tra parentesi un corrispondente italiano): menj a fenébe! (va’ all’inferno!); húzzál el! (vai a quel paese!); húzz el innen! (fila di qua!); menj a pokolba! (va’ all’inferno!); vigyen el az ördög! (va’ al diavolo!).

In italiano il modo più volgare di esprimere lo stesso ”invito” é: vaffanculo! (diventato perfino uno slogan politico, seppur – pudicamente – in forma abbreviata: vaffa!), giá presente nei vari dialetti italiani nelle forme disparate in cui si  è espressa la “creatività” popolare.
In Ungheria sono quasi assenti i dialetti e l’equivalente espressione volgare é: menj a picsába! (dove picsa è il dispregiativo di ”fica”).
Ma basta molto meno per offendere qualcuno in Ungheria, alludendo a un insulto (sértés) per chi ci è piú caro; solo due sillabe: anyad! (tua madre).
In Italia, si trovano i corrispondenti in tutti i dialetti: da “a’ mammete” in napoletano a “to mare” in veneziano.
Altra variante, più vicina all’italiano “fottiti!”, è baszd meg! o bassza meg!, assimilabile all’inglese fuck off! o fuck you!, oppure allo spagnolo ¡vete al carajo! o ¡vete a la mierda!

Perché inserire tali modi di dire in questa rassegna, che prosegue la mia raccolta bilingue?
Intanto perché il linguaggio volgare (durva beszéd) fa parte della lingua viva e popolare.
E poi perché sono detti a loro modo proverbiali.
Infatti, Alberto Sordi nel ritornello di in una mitica canzone, in romanesco, presentata a Sanremo nel 1981 (E va e va, di Mogliacci-Mattone) si chiede: Te c’hanno mai mannato a quer paese? E alla fine ci ricorda ”che tanto prima o poi ce annamo tutti… a quel paese”, cioè che ciascuno di noi lascerà questo mondo.

Se poi volete consolare qualcuno che se l’è presa per un “vaffa” immeritato, allora in ungherese potete dirgli: Búsuljon a ló! (lett. ”si affligga il cavallo”), cioè ”Non te la prendere!”.
Nem éri meg (non vale la pena)!

martedì 25 novembre 2014

-40% : Black Friday anche per la capra.

Anche in Italia è arrivato il Black Friday, cioè un super sconto per gli acquisti in vista delle festività di fine anno.
Volete regalarvi o regalare alle persone più care il mio libro con i proverbi ungheresi (tradotti in italiano) e con un'introduzione alla lingua e alla cultura magiare?
Solo per venerdì 28 novembre potete avere uno sconto del 40%  sul book-store online di www.youcanprint.it per l'acquisto di tutti i libri, in particolare di Affida il cavolo alla capra. 1001 proverbi e detti ungheresi. Invece di € 9,90, potete pagarlo poco meno di sei euro. Se poi l'acquisto supera i 30 euro, non pagate neppure le spese di spedizione (circa 3,50 euro).
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Kellemes ünnepeket! Buone Feste!

lunedì 24 novembre 2014

Ricordi ungheresi/3: Kálmán Kandó

A Vado Ligure, vicino a Savona, sui muri della fabbrica Bombardier, colosso canadese dei trasporti (ma dal 1905 al 2001 si trattava dell’americana Westinghouse), una targa commemora l’ungherese Kálmán Kandó (1869-1931). Nel 1892 conseguì la laurea con lode in ingegneria meccanica a Budapest. Era ingegnere, nonché inventore (registrò oltre 70 brevetti), nei primi anni del Novecento arrivò nel savonese con un piccolo gruppo di tecnici ungheresi.

È considerato il padre del treno elettrico. Era specializzato nello sviluppo di materiale rotabile ferroviario e a lui si deve l’applicazione della corrente alternata trifase ad alta tensione alla trazione ferroviaria, adottata poi per le locomotive delle FS, E430 ed E550, da lui progettate.
L’invenzione fu messa in pratica per la prima volta nel 1902 sulla linea ferroviaria della Valtellina: Lecco-Sondrio e Colico-Chiavenna. Anche a Colico è collocata una targa bilingue in sua memoria, a cura delle ditte Ganz (ungherese) e Ansaldo (italiana). L’innovazione venne applicata nel 1904 in Francia. Nel 1907 Kandó si trasferì alla Westinghouse a Savona, da cui dovrà poi allontanarsi nel 1915, per lo scoppio della prima guerra mondiale.

La targa di Vado Ligure, con un bel bassorilievo realizzato dall’artista ungherese Török Judit, è stata posata nel 2009 su iniziativa dell’Associazione Culturale Liguria-Ungheria. La sua presidente, Sinkó Irene, l’ha segnalata affinché faccia parte del catalogo di testimonianze ungheresi in Italia (v. post del 10 novembre 2013, del 10 marzo 2014, del 7-14-16 aprile 2014), pubblicato nel volume Ricordi Ungheresi in Italia (di Florio Banfi, 1942; aggiornato e ampliato nel 2005 da Sárközy Péter per l’Accademia d’Ungheria di Roma).

lunedì 17 novembre 2014

Per capire l'ungherese bisogna capire... gli ungheresi.

A barátnőmmel táncolok, in ungherese letteralmente: “la ragazza-mia-con ballo”; in italiano diremmo: “(io) ballo con la mia ragazza”. Quasi un rovesciamento della frase! La lingua ungherese (magyar nyelv) ha qualche similitudine con il latino, ma è molto distante dall’italiano
Per apprendere una lingua... basta parlarla! Una cosa che riesce facile, soprattutto se si è bambini e se si tratta di madrelingua.
Invece per capire una nuova lingua, bisogna sapere come sono formate le parole (morfologia) e come sono formate le frasi (sintassi); altrettanto importante è conoscere i suoni delle lettere e l’accento delle parole (fonologia). Ovviamente, occorre una sufficiente padronanza del lessico:  conoscere un “vocabolario di base” di almeno 5mila parole.

In italiano l’ordine delle parole nella frase è molto importante e si basa sul modello SVO (soggetto, verbo, oggetto). Può variare, ma non di molto, per sottolineare la parte più importante del messaggio comunicativo.

In ungherese, l’ordine delle parole è più libero. La funzione di un sostantivo nella frase è segnata da un suffisso, che ne esprime il caso (fa le veci del complemento). Quindi la morfologia delle parole è più complessa e la sintassi della frase meno. Ma tale ordine non è casuale, dipende dall’intenzione di chi parla.
In una frase possiamo riconoscere il tema (ciò di cui si parla) e il rema (quello che si dice a proposito di ciò di cui si parla). In altre parole, c’è un argomento (vecchio) e c’è un commento (nuovo). L’intenzionalità evidenzia il contenuto informativo nuovo, mettendovi l’accento (la parola tonica, su cui cade l’enfasi). Ecco perché Paolo Driussi sostiene che “la struttura sintattica dell’ungherese è determinata dalla pragmatica della comunicazione” (v. post del 22 settembre 2014). Possiamo dunque individuare un ordine di base dei costituenti della frase: tema + rema + verbo + altro.
Le principali caratteristiche grammaticali della lingua ungherese sono state riassunte in un precedente post (23 dicembre 2013). L’ungherese è una lingua agglutinante (agglutináló nyelv), cioè esprime i rapporti tra le parti del discorso tramite suffissi e, in misura minore, posposizioni.

Ecco un esempio delle trasformazioni morfologiche di un’unica parola, partendo da una radice nominale con successive agglutinazioni:
-         egész, completo/intero
-         egész-ség, salute
-         egész-ség-ed, la tua salute
-         egész-ség-ed-re, alla tua salute.

Sulla sintassi, oltre 100 anni fa, Arturo Aly Belfàdel scriveva (Grammatica magiara, Hoepli, 1907):
-         Come in italiano, così in ungherese, il soggetto non ha una posizione assolutamente fissa. L’andamento della frase ungherese è molto simile a quello della frase latina, per cui spesso il verbo (van in ispecie) è posto in fine, dopo il soggetto ed i predicai o complementi nelle proposizioni asseverative; mentre generalmente si usa metter prima il verbo, poi il soggetto e per ultimo i complementi in quelle interrogative; a meno che si voglia particolarmente insistere sopra una parola, chè allora questa si mette per la prima nelle frase.
-         Particolare energia prende la proposizione, quando, in una proposizione affermativa, si mette il soggetto dopo il verbo.
-         Mentre il pronome soggetto può essere taciuto quasi sempre, come in italiano, deve tuttavia essere espresso ogni qualvolta è unito alle congiunzioni is = anche e sem = neanche. In tal caso l’is e il sem seguono immediatamente il soggetto: én is dolgozom = io anche lavoro; te sem dolgozol  = tu anche non lavori.
-         In una stessa proposizione, l’accusativo precede il dativo, se la frase afferma; il dativo precede invece l’accusativo, e fra l’uno e l’altro spesso si pone il verbo, se la frase nega, interroga o comanda. Questa regola non è però proprio sempre seguita: én pénzt adok szegénynek = io denaro do al povero;  adj nekem kenyeret = dammi pane.
-         Quando si capisce che un oggetto per natura propria è plurale, in ungherese si usa abitualmente il singolare del nome e del verbo.
-         Quando ci sono più soggetti, il verbo in ungherese si mette al singolare. Così è coi numerali.

Ed ecco un esempio delle modifiche sintattiche di una frase – “Andrea prende un libro nel negozio” – variabile secondo l’intenzione del parlante (i modi possibili sarebbero 24!):
-         András vesz egy könyvet a boltban.
-         András vesz a boltban egy könyvet.
-         András egy könyvet vesz a boltban.
-         András egy könyvet a boltban vesz.
-         András a boltban egy könyvet vesz.
-         András a boltban vesz egy könyvet.
Il tema è sempre Andrea. Nel primo caso coincide con il rema. Nell’ultimo, l’informazione principale è il negozio (proprio là ha Andrea preso il libro).

In conclusione, per capire l’ungherese bisogna capire... gli ungheresi!


Precedenti post sulla lingua ungherese: 14 maggio 2013; 16-30 giugno 2013; 15-24-29 luglio 2013; 13-22 agosto 2013; 16 settembre 2013; 9-23 dicembre 2013; 17 marzo 2014; 22 settembre 2014.

sabato 8 novembre 2014

25 anni fa cadeva il muro.

Venticinque anni fa cadeva il muro di Berlino, cioè simbolicamente svaniva la “cortina di ferro” (ungh. Vasfüggöny) che divideva l’Europa in due blocchi contrapposti dopo la seconda guerra mondiale.
In realtà l’apertura delle frontiere Est/Ovest (che erano insuperabili per quasi tutti i cittadini) avvenne 77 giorni prima. Infatti, il 23 agosto l’Ungheria aprì le proprie frontiere con l’Austria, permettendo ai tedeschi dell’Est di espatriare all’Ovest (più di 13 mila ne approfittarono); già in aprile se n'erano andati i soldati sovietici.

Però la data simbolo è considerata il 9 novembre, quando decine di migliaia di tedeschi dell’est si ammassarono ai checkpoints per entrare a Berlino Ovest e scoprire lo shopping o godersi aria libera. Cos’era successo? Da qualche settimana erano in corso dimostrazioni di massa contro il governo socialista della Repubblica Democratica di Germania (DDR). Il 18 ottobre il leader, Erich Honecker, si dimise, sostituito da Egon Krenz. Il nuovo governo decise di permettere ai cittadini di viaggiare ad ovest, nella Repubblica Federale Tedesca (RDT). Il relativo decreto sarebbe stato approvato in qualche giorno, dando tempo alle guardie di confine di prepararsi. Invece, il ministro della propaganda, Gunter Schabowski, che era in vacanza e non conosceva i dettagli, fece una conferenza stampa dando l’evento per immediato. Questo annuncio, dato in televisione, fece riversare in strada migliaia di berlinesi dell’est (Ossie), le guardie prese alla sprovvista li fecero passare senza controlli, e i berlinesi dell’ovest li accolsero festosamente. Nei giorni successivi molte persone (poi chiamate Mauerspechte) cominciarono spontaneamente a demolire il muro, un souvenir e un odioso simbolo da abbattere.
Il 18 marzo 1990 si tennero le prime elezioni libere nella DDR e la Germania, divisa dopo la guerra in DDR e RFT e appartenenti ciascuna a uno dei due blocchi (socialista e capitalista), fu ufficialmente riunificata il 3 ottobre 1990.
Questo evento parve avvicinare l’obiettivo di un mercato unico europeo: per evitare il dominio di una Germania unificata, Mitterand e Kohl decisero la costruzione dell’euro, bruciando le tappe e senza aver completato l’unificazione politica in seno all’UE.

Anche in Ungheria la transizione a un sistema democratico fu veloce. Già nel 1988, dopo 32 anni di potere, era caduto Kádár (nonostante il suo fosse considerato il più interessante tentativo di “riforma” all’Est). Nell’89 decisive modifiche furono apportate alla Costituzione del 1949. Il 25 marzo 1990 si svolsero le prime elezioni democratiche: si insediò un governo di centro-destra, guidato da Antall József, e Göncz Árpád venne eletto presidente della Repubblica.

Dunque il blocco sovietico (URSS e paesi “satelliti”), che sembrava immutabile, si sgretolò dall’interno. Inutile il tentativo di riformare il sistema socialista, ibridizzando l’economia centralizzata con il mercato, tentato da Gorbacev tra il 1985 e il 1991. Però la prestrojka (ricostruzione) e la glasnost (trasparenza) liberarono il pensiero critico che finalmente poté denunciare l'illibertà del sistema.
Le premesse c’erano già un decennio prima: la rivincita del liberismo col thatcherismo e la reaganomics, i colpi al bipolarismo inferti dalla rivoluzione iraniana e dalla rottura della Cina con l’Urss, la fallimentare invasione sovietica dell’Afghanistan. Tale fase nuova era anche la risposta agli anni – tra fine anni ’60 e inizio anni ’70 – della contestazione studentesca e delle lotte operaie, che svilupparono una forte spinta al cambiamento, dopo che il boom economico (e demografico) del dopoguerra aveva deluso le grandi aspettative di un benessere diffuso.

Venticinque anni fa l’Europa cambiava. Si pensò che il mondo fosse ormai pacificato (con la fine delle ideologie, la “fine della storia”). Un nuovo equilibrio sembrava raggiunto nel Vecchio Continente, dopo l’ordine di Yalta (ma, secondo Kissinger – nel suo libro Worl Order – si spezzò il modello di equilibrio uscito dalla Pace di Westfalia nel 1648). Invece, oggi il disordine rischia di prevalere, vecchie e forse più pericolose ideologie si sono riaffacciate nel mondo, altri muri anziché ponti.
Insomma, il mondo è in cerca di un nuovo assetto (secondo Papa Francesco è in atto una “terza guerra mondiale combattuta a pezzi”). La democrazia (almeno sul piano formale) si è espansa (prima dell’89 gli Stati basati su elezioni democratiche erano 40, un terzo della popolazione mondiale, oggi sono 120, due terzi degli abitanti della Terra), ma ansima sotto i colpi di una globalizzazione che non contempla i popoli e non sopporta i diritti dei cittadini.
L'Europa economica appare declinare inesorabilmente, quella politica non prende forma compiuta. Il Vecchio Continente non è più, nemmeno in alleanza con gli Usa, il motore del mondo. Ma ne può essere una delle fondamentali memorie culturali.

giovedì 6 novembre 2014

Saluto al Console.

Il Console Generale d’Ungheria Manno Istávn, a fine anno conclude il suo mandato a Milano e torna nel proprio Paese per altri incarichi. Sarà probabilmente una donna a prenderne il posto.
Il 23 ottobre, nel tradizionale incontro per celebrare l’anniversario della rivoluzione ungherese del ’56, Manno ha salutato tutti, augurandosi di mantenere i legami d’amicizia sorti nei quasi quattro anni del suo mandato. Tra l’altro ha premiato con alte onoroficieze ungheresi, Sinkó Irene (presidente dell’ Associazione Culturale Liguria-Ungheria) e la coppia Nemeth Gizella e Adriano Papo (presidenti di due associazioni triestine, rispettivamente la Sodalitas Adriatico-Danubiana e l’Associazione Culturale Italoungherese Pier Paolo Vergerio) per il significativo contributo all’amicizia tra i due popoli.

Chi segue questo blog, ha trovato spesso il nome di Manno. Infatti, il Console è stato molto attivo e presente in tutto il Nord-Italia (area di sua competenza) e non solo.
Laureato in Economia a Budapest (ma anche alla Bocconi), sposato e con due figli, Manno ha sviluppato la sua carriera nelle istituzioni ungheresi, dal Ministero degli Esteri all’Ambasciata d’Ungheria a Roma, fino ad arrivare al Consolato Generale (főkonzulát) a Milano nel 2011.
I Mannó sono ungheresi di origine greca. Questa famiglia, come poche altre, ha lasciato un segno profondo nella vita di Pest nel corso di oltre due secoli (v. Korall 44/2011).

Ho incontrato Manno in diverse occasioni, a partire dal primo invito per conoscerci che mi ha rivolto subito dopo aver ricevuto notizia dell’edizione del mio libro di proverbi ungheresi. Ho avuto la netta impressione di un impegno generoso nell’assolvere le funzioni tipiche di tutti i corpi consolari (di solito assimilati ai corpi diplomatici, che però si differenziano per la loro natura politica). Tra tali funzioni, oltre alla protezione degli interessi ungheresi in Italia, spicca il favorire le relazioni tra i due Paesi e promuovere in tutti i modi relazioni amichevoli tra gli stessi. Ebbene in questa funzione penso che Manno abbia dato il massimo per tenere alto il buon nome (l’onore e la credibilità) del suo Paese, al di là delle contingenze politiche, e per migliorare l’immagine reciproca dei due popoli. Ci è riuscito?

Occorre premettere che, da alcuni anni, l’Ungheria non gode di “buona stampa” in Italia e anche in altri paesi Ue. Come per tutti gli stati più piccoli, i mass-media ne parlano poco, e quando ne parlano è per eventi (in genere, negativi) che suscitano clamore. Ecco ad esempio uno de recenti titoli sull’Ungheria: “Biologia maschilista” (L’Espresso del 2 ottobre 2014). Ciò produce nell’opinione pubblica una visione distorta dell’Ungheria, basata su stereotipi, più o meno fondati (alcune prese di posizioni su democrazia e liberalismo da parte del premier Orbán Victor appaiono effettivamente discutibili; si incorre invece in pregiudizi quando si usano due pesi e due misure nel valutare il governo ungherese rispetto ad altri governi europei).
Per capire che sentimenti susciti tale situazione negli ungheresi, in particolare quelli residenti in Italia, pensiamo a come ci sentiamo noi italiani quando vediamo che sui giornali stranieri appaiono solo  nostri difetti o, peggio, pregiudizi sul nostro “carattere”.
L’impresa del Console Manno era dunque tutta in salita, benché un po’ di spinta sia arrivata nel 2013 dall’Anno culturale Italia-Ungheria.
Eppure, credo di poter dire che – al di là dell’opinione pubblica influenzata dai grandi mass-media –le persone e le istituzioni entrate in relazione con il Console Generale abbiano vissuto un’esperienza ricca e che, soprattutto, l’immagine dell’Ungheria ai loro occhi sia migliorata. Manno ha mostrato, al di là di indubbie capacità diplomatiche, qualità umane non comuni e ha lasciato un segno positivo. Penso che chi l’ha conosciuto gli ne sia grato, e spero anche che ciò gli venga riconosciuto per i prossimi incarichi istituzionali.

Tra l’altro, è scaduto anche il mandato dell’Ambasciatore d’Ungheria a Roma, Balla János (probabilmente destinato all’ambasciata di Mosca), e chi era candidato a sostituirlo, l'intellettuale Szentmihályi Szabó Péter (vicino all’ultradestra di Jobbik e recentemente al centro di polemiche sul suo presunto antisemitismo, denunciato dall’Anti Defamation League) è deceduto lo scorso 20 ottobre.


lunedì 3 novembre 2014

Proverbio/detto ungherese del mese (1019).

Jókor lenni, jó helyen, essere al momento giusto nel posto giusto (ma anche rosszkor lenni, rossz helyen, essere al momento sbagliato nel posto sbagliato). Tale proverbio sottintende un talento personale a crearsi buone occasioni ma, soprattutto, ad afferrarle al volo quando si presentano (che siano frutto di abilità personale oppure semplicemente del caso).
Egualmente, si dovrebbe essere abbastanza saggi da capire quando ci si trova al momento sbagliato nel posto sbagliato. Una rapida consapevolezza di ciò consentirebbe di limitare i danni o, addirittura, di risolvere in positivo una situazione avversa.
Facile a dirsi. O facile vantarsi, quando la sorte ci ha favorito senza alcun merito (Micsoda mázli! Ovvero “Che culo!”, sarebbe il commento bilingue).
Più spesso di quanto si creda, succede che non ci si renda conto di quanto ci accade, subendo inerti e rassegnati gli eventi negativi. Con quel senso di precarietà magistralmente descritto dal poeta Giuseppe Ungaretti (1888-1970) nella poesia Soldati: “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”(Katonák: “Úgy állnak, mint ősszel a fákon a levelek”, trad. di Képes Géza).

Così come a volte ci manca un pur minimo spirito d’iniziativa e ci si affida solamente alla “divina provvidenza” (isteni gondviselés).
Come in quella barzelletta (vicc), dove un tale tutte le mattine si reca in chiesa, ai piedi della statua del suo santo protettore, per supplicarlo di farlo vincere alla lotteria. La statua resta a lungo muta, finché un giorno sbotta e gli parla: “Beh, almeno comincia a comprare un biglietto!”
O come in quell’altra barzelletta, dove un tale si rifugia sul tetto dopo che la sua casa è vittima di un’inondazione. Ai vicini di casa che si offrono di ospitarlo su un canotto, replica di andarsene perché lui si affida alla grazia di Dio. Ai vigili del fuoco che arrivano in motoscafo per soccorrerlo, replica nello stesso modo. Uguale reazione verso la protezione civile che lo vuole accogliere sull’elicottero di salvataggio. Infine, il tale si ritrova all’altro mondo e, al cospetto di Dio, si lamenta che non l’ha aiutato. “Ma come!? – replica Dio – Prima ti ho mandato i vicini, poi i pompieri, infine la protezione civile...!”
Come si vede, anche dalle barzellette – forse la forma di comicità più popolare e diffusa – traspare a volte un contenuto proverbiale ovvero sapienziale.

giovedì 30 ottobre 2014

Da Bibó a Sartre: una testimone del ’56.

Gigliola, affezionata follower di questo blog, e di cui ho raccolto una testimonianza nel post del 20 ottobre ’14 sull’”indimenticabile ‘56”, aggiunge altri particolari sulla sua esperienza, che pubblico integralmente.







Devo rettificare, pur ringraziandola, il suo accenno a me, che semplicemente partecipai, con quasi metà della classe, alle manifestazioni per l’Ungheria, incurante di certi volti imbarazzati o immusoniti che vedevo ai lati della strada e di qualche imprecazione seguita dal grido “viva l’armata rossa!”, oppure – a scuola – di qualche rimbrotto o sarcasmo di alcuni insegnanti da sempre in vena di proselitismo.
In una di quelle sere di nebbia passai per la via, solitamente piuttosto frequentata, dove aveva sede l PCI. Era quasi deserta, solo qualche finestra illuminata. Ma dal palazzo di fronte, a finestre aperte nonostante il freddo, scendeva una cascata di note suonate al pianoforte: era una “polonaise” di Chopin, quella chiamata Rivoluzione. Era stata infatti l’antica amicizia tra Polonia e Ungheria, con ancora l’eco della rivolta operaia di Poznan in giugno, ad accendere ancor più il desiderio di libertà non solo degli studenti e degli intellettuali, ma della società ungherese nella stragrande maggioranza (i Consigli operai lottarono fino a fine novembre). A casa, dopo il giornale radio da tutti ascoltato con grande partecipazione emotiva, mi sincronizzavo sui 550 MHz di Radio Budapest, disturbatissima, ma da cui sentivo ripetere spesso tre o quattro parole, che poi – studiando la lingua – ho individuato come: “Itt szabad Kossuth radió” poi “Figyelem! Figyelem!”. Non capivo nulla, ma almeno mi sentivo partecipe.
La mattina all’alba del 4 novembre sentimmo al giornale radio la notizia dell’attacco a Suez e dell’attacco a Budapest, seguito dall’appello di Nagy, poi dalla musica grave e solenne dell’Inno nazionale.
In quelle stesse ore un uomo, rimasto solo nel palazzo del Parlamento assediato dai carri armati sovietici, stilava un documento rivolto all’Onu per denunciare quanto stava avvenendo. Entrò una truppa di soldati russi. Lo videro, ma cedettero che fosse un qualsiasi impiegato e continuarono l’occupazione dell’edificio.
Quell’uomo, rimasto al suo posto di ministro del governo Nagy, era Bibó István, poi arrestato e condannato all’ergastolo, poi liberato con amnistia mi sembra nel ’63.
Di quell’amnistia tuttavia beneficiarono soprattutto le personalità più note anche all’estero, come lo scrittore Déry Tibor, mentre moltissimi rivoltosi restarono incarcerati. Per questi Bibó scrisse una lettera da far pervenire a Jean Paul Sartre tramite un poeta francese amico. Cercò a lungo chi potesse assumersi la responsabilità e il coraggio di portare a lettera in Occidente e un giorno d’estate giunse con il figlio e la nuora a Sajkod, a casa del suo amico, il grande scrittore Németh László. Quasi certamente Bibó aveva saputo, da Németh stesso o da qualcuno della famiglia, della presenza di una persona fidata, un’italiana che in quei giorni era ospite dello scrittore. E l’italiana, giunta la sera, fu avvicinata con un pretesto dalla nuora che, lontano dagli altri, le chiese se sarebbe stata disposta a rischiare, chiedendole di leggere bene la lettera prima di accettare e di darle una risposta a Budapest, prima di partire. L’italiano non esitò.. e l’impresa riuscì.
Lei, caro József, ha certamente già capito tutto [la persona fidata era Gigliola, ndr]. Putroppo Sartre non scrisse e non disse mai niente. Di tutto questo scrisse anni fa su Micromega lo storico Federigo Argentieri, autore di L’ottobre ungherese e La rivoluzione calunniata, uscito anni fa come supplemento – pensi un po’ – dell’Unità, poi rieditato da Reset. Con Argentieri non ho più rapporti da anni, ma è uno studioso preparato sulla rivoluzione. A proposito: il regime la chiamò ellenforradalom (controrivoluzione), poi az 56-os események (i fatti del ’56) e poi qualcuno osò un sajnalatos  események (deplorevoli eventi).

La mia rettifica per l’accenno a me fatto nel suo articolo riguarda l’incomprensione e l’isolamento che mi sarebbe stato inflitto. No, per la semplice ragione che bisogna appartenere a qualcosa per essere isolati e io non sono mai appartenuta a nessuna formazione politica, tantomeno comunista, ma chi mi conosce sa che rispetto le opinioni altrui come esigo che siano rispettate le mie.

Mi ritrovo nella conclusione del suo articolo e riconfermo il mio ideale di libertà, per il quale sono lieta di aver fatto qualcosa. Tutto qui.

mercoledì 22 ottobre 2014

Perché v’interessa l’ungherese?

Sabato prossimo 25 ottobre (ore 11), presso la biblioteca comunale di Corbetta (MI), presenterò la raccolta di proverbi ungheresi per l’ottava volta (l’elenco è alla pagina del libro).
Di solito i presenti mi accolgono con meraviglia sincera (a volte, maliziosa), chiedendomi perché mi interessa proprio la lingua dei magiari e la loro cultura.
Questa volta vorrei invertire i ruoli e chiedere al pubblico cosa li spinge ad ascolatre qualcosa sull’ungherese. Forse il Mal d’Ungheria? Forse i racconti piccanti di qualche turista in cerca di facili avventure? Forse la curiosità per un Paese europeo con una lingua non indo-europea?
Vorrei dunque scavare su cosa già sa un pubblico normale sull’Ungheria e sugli ungheresi. Solo luoghi comuni (e pregiudizi), o anche storie vere di persone, oltre che di un popolo?
Vedremo.
Chi ci sarà potrà ottenere il mio libro bilingue scontato (e, se lo desidera, firmato), appunto Affida il cavolo alla capra. 1001 proverbi e detti ungheresi (Keckére bízza a káposztát. 1001 magyar közmondás és szólás).
Chi non potrà esserci, potrà comunque pensare a un originale regalo di natale, acquistando il libro su Youcanprint.it con lo sconto del 25% fino al 31 ottobre; basta scrivere sul codice sconto: PROMO25.

Intanto ho scoperto che la platea degli interessati all’ungherese è più vasta di quanto pensavo. Infatti, se questo blog in un anno è mezzo ha superato le 12mila visualizzazioni (da 50 Paesi nel mondo, anzi ora da 51, con l’arrivo dell’Australia), la piattaforma social collegata – quella di Google+ – ha superato addirittura quota 60.000!
Mi scuso con chi mi ha scritto su questo social network, cui finora non ho risposto perché poco pratico di questa piattaforma, molto utilizzata invece da chi naviga di meno sul Pc e di più sui nuovi dispositivi mobili. Quindi, d’ora in poi, seguirò gli interessati all’amicizia italo-ungherese anche su Google+.

lunedì 20 ottobre 2014

Indimenticabile ’56.

Budapest: accanto alla statua di Nagy Imre.
Giovedì prossimo in Ungheria é festa nazionale (nemzeti ünnep), in memoria della rivoluzione ungherese del 1956 (október 23-ai forradalom emlékére), cominciata a Budapest il 23 ottobre con una manifestazione studentesca. Si puó leggere su wikipedia un’adeguata ricostruzione di quegli eventi (e del contesto internazionale: la guerra fredda; la destalinizzazione dell’Urss; la crisi di Suez).

Per capirne qualcosa in più, ho raccolto qualche testimonianza di quel periodo. La mia impressione é che il trauma di allora non sia del tutto superato e che le sensazioni provate 58 anni fa siano ancora presenti nell’animo di chi visse quella ventina di giorni di insurrezione contro la soffocante presenza sovietica.

Julianna aveva 17 anni, studentessa impiegata in un’industria tessile a Kispest (quartiere sud di Budapest). Là non ci furono scontri, ma in fabbrica si formò subito un consiglio operaio e fu sciopero (durò fino a gennaio). A fine ottobre con un’amica provò a recarsi in centro, ma quando udirono spari tornarono subito indietro. Riprovarano a fine novembre e trovarono una devastazione simile a quella dopo una guerra. Un giorno la raggiunse un cugino, che le chiese di scappare in occidente con lui; Julianna rifiutó, riflettendo sulle parole di un poeta dell’Ottocento, Tompa Mihály: Szívet cseréljen az, aki hazat cserél! (Cambi cuore chi cambia patria). Non ebbe tempo di schierarsi contro o a favore degi insorti, aveva solo paura di non rivedere piú i genitori, che vivevavo nella provincia occidentale di Vas. Nagy Imre, il capo del nuovo governo socialista che accolse le richieste degli insorti, le era simpatico ma fu processato e giustiziato due anni dopo (dal 1989 é eroe nazionale).

Nándor aveva 18 anni e viveva in un piccolo paese del sud. Era figlio di una famiglia di minatori comunisti (che per lui significava lavorare duro per vivere). Per questa sola ragione, il comitato rivoluzionario del posto si preparava ad impiccarli. Poi arrivarono i soldati sovietici e tutta la familgia ebbe salva la vita. Anzi, Nándor ricevette nel Parlamento di Budapest una “medaglia al merito per operai e contadini”.

András nel ’56 era un bimbo di pochi anni e ricorda solo che i suoi genitori lo portarono in Italia. Seppe poi che, nel’45 alla fine della guerra, i suoi genitori scamparono alla prigione (e forse alla torture che i sovietici inflissero ai “collaborazionisti” dei nazisti negli stessi luoghi dove le “Croci Frecciate”, i nazisti ungheresi, torturavono fino a poco tempo prima gli oppositori al regime). Come? Grazie a qualcuno che li fece scappare da Budapest, assieme ad altre migliaia di persone compromesse col regime, attraverso una galleria sotterranea. Da anni András cerca di scoprire chi fu quel “salvatore” per onorarne la memoria ed é grato ai fatti del ’56 a seguito dei quali i genitori ebbero l’occasione di abbandonare un paese dominato – tra il 1948 e il 1989 – dal “socialismo di stato”.

L’italiana Gigliola nel ’56 aveva 19 anni. Attratta dalla cultura magiara, subito si schieró con i giovani ungheresi insorti. Ma – abitando nella regione piú “rossa” d’Italia (Emilia-Romagna),  allineata a Mosca – ciò le costò isolamento, incomprensione e anche insulti. Non perse peró la sua passione per l’Ungheria, che visitó spesso, ospite anche dell’amico scrittore Németh László.

Chi prevalse allora definí gli insorti “controrivoluzionari”. Pochi dissidenti nella sinistra europea  (un’eccezione in Italia fu il sindacato comunista, la Cgil) solidarizzarono con studenti e operai in rivolta; ma neppure da altre parti politiche dell’Occidente arrivó loro un sostegno concreto.
Dopo il crollo del Muro di Berlino nel 1989, nessuno piú afferma ciò. Anche il Presidente italiano Giorgio Napolitano (giá dirigente del Partito comunita italiano), che allora appoggió i carri sovietici, qualche anno fa si pentí di quella presa di posizione e onorò i caduti della rivoluzione ungherese del ’56.
Certamente c’erano in quella rivolta elementi diversi: anarco-sindacalismo, aspirazioni a una democrazia piena e a una neutralitá in un mondo diviso in blocchi contrapposti, fermenti di un socialismo democratico suscitati nell’Est Europa dalla destalinizzazione, e – probabilmente ma senza influenza – nostalgici del regime fascistizzante dell’anteguerra.
La storia sedimenterà l’essenziale, ma è utile raccogliere i diversi punti di vista (storie personali di protagonisti e di semplici spettatori). Alla fine il pubblico è il “canone”, cioè il metro di misura per valutare l’impatto degli eventi che cambiano il mondo.

Ció che ha reso indimenticabile quel ’56 del Novecento, accostandolo al ’48-’49 dell’Ottocento, é quella sorta di immagine tragica del popolo magiaro, quasi profeticamente intravista giá da Dante (Paradiso, Canto XIX): “Oh beata Ungheria, se non si lascia piú malmenare!” (Óh, boldog Magyarország! Csak ne hagyja magát félrevezetni már!).
Credo che il popolo magiaro susciti simpatia nel mondo perché é metafora delle minoranze oppresse sulla Terra: essere destinate alla sconfitta, salvo trovare poi ragione nella storia.


lunedì 13 ottobre 2014

Seuso-kincs torna in Pannonia.

Riproduzione grafica di Villa Seuso (Seuso palotája)
Il ritrovamento di un tesoro nascosto é spesso avvolto dal mistero, a volte diventa un ”affaire” (ügy) internazionale, fonte di reportage o teorie cospirative.
É il caso del ”tesoro di Seuso” (Seuso-kincs), in mostra da ottobre a gennaio a Székesfehérvár, capoluogo della provincia ungherese di Fejér. Si tratta di 7 pezzi di vasellame d’argento (la metá del tesoro originale, ma la collezione completa ne doveva contare oltre un centinaio), finemente decorati, risalenti al IV e V secolo d.C.
L’origine del tesoro é incerta, addirittura qualcuno ha parlato di un tesoro ”fenicio”. Cosí il suo possesso é stato conteso da Ungheria, Libano e perfino Croazia.
Il nome é quello che compare come proprietario nella scritta in latino che circonda il medaglione centrale di uno dei piatti, dov’é rappresentato un banchetto sulle rive del Pelso, l’attuale lago Balaton (HEC SEVSO TIBI DVRENT PER SAECVLA MVLTA POSTERIS VT PROSINT VASCVLA DIGNA TVIS,O Seuso che questi piccoli contenitori ti appartengano per molti secoli e servano degnamente i tuoi discendenti”).
Si pensa che i pregiati pezzi – tra i piú importanti della tardoantica toreutica (arte di lavorare i metalli in incavo e a rilievo) – siano stati prodotti dagli stessi artigiani che crearono un trappiede d’argento ritrovato nel 1873 presso Polgárdi (vicino al Balaton) e ora nella collezione del Museo Nazionale Ungherese.

Quindi tale tesoro é probabilmente proveniente dalla Pannonia, provincia a est dell’Impero Romano e attuale regione del Transdanubio (Dunántúl) nell’Ungheria occidentale.
Il tesoro era conservato in un calderone di bronzo (datato un secolo successivo), che lo ha preservato dall’ossidazione dopo che é stato nascosto forse per sottrarlo a qualche razzia (all’epoca i magiari non si erano ancora insediati nel bacino carpatico).

La storia che circola in Ungheria sul suo ritrovamento racconta di un giovane soldato (archeologo dilettante), Sümegh József, che l’avrebbe scoperto sepolto nella seconda metà degli anni ’70, ma non l’avrebbe comunicato alle autoritá statali per venderlo sul mercato illegale.
Nel 1980 Spencer Compton, 7° Marchese di Northampton, compró il tesoro da mercanti d’arte. Subito dopo, Sümegh (che aveva 24 anni) fu ritrovato morto impiccato.
Il tesoro ricomparve nel 1990 in un’asta di Sotheby’s a New York e si aprí un contenzioso legale a livello internazionale sulla sua proprietá.
Nel marzo di quest’anno il primo ministro ungherese, Orbán Viktor, ha annunciato che metá del tesoro é tornato ”a casa”, acquistato dal governo ungherese per 15 milioni di euro, per esporlo nel Museo Nazionale di Budapest (ma fino al giugno scorso era possibile visitarlo gratuitamente nel Parlamento ungherese). L’obiettivo dichiarato, con un qualche orgoglio nazionale utile in questo periodo elettorale (il 12 ottobre si é votato in tutti i comuni ungheresi), é di riportare in Ungheria anche i restanti 7 pezzi dell’”argenteria di famiglia”, ancora in mano a Lord Northampton .

Székesfehérvár – oltre 100mila abitanti, il nono centro abitato dell’Ungheria per dimensioni – é la cittá dove venivano incoronati i re ungheresi (Alba Regia). L’onore di ospitare il tesoro lo deve alle ricerche archeologiche, ancora in corso, della villa del senatore Seuso. Resti sono stati ritrovati nei pressi di Szabadbattyán, a metá strada tra Székesfehérvár e Polgárdi, nella stessa zona della scoperta di Sümegh (il piccolo borgo di Úrhida).
Il mistero pare quindi risolto, anche se il tesoro pannonico é ancora diviso.


mercoledì 1 ottobre 2014

Proverbio/detto ungherese del mese (1018).

Babonaságból fordítva veszi fel a harisnyáját, dalla superstizione mette le calze al rovescio. Più che un modo di dire questa espressione ungherese si riferisce a un’usanza scaramantica per scongiurare la malasorte.
La superstizione (babona) non mi sembra molto diffusa tra il popolo ungherese, tranne che nella forma della scaramanzia (ráolvasás). Una situazione simile al centro-nord italiano, mentre nel sud Italia le forme di superstizione (spesso mascherate da religiosità) appaiono più diffuse.
Tornando in Ungheria, se succede di indossare un vestito al contrario lo si lascia così, onde favorire la buona sorte. Nel sud Italia, invece, tale svista è premonitrice di un prossimo invito.
Un’altra usanza scaramantica ungherese è quella di dare una moneta a chi dona coltelli (possono ferire!) per scongiurare eventuali jettature. Usanza simile è diffusa in Italia, dove – quando si ricevono in dono fazzoletti (si possono usare quando si piange!) – bisogna “pagarli” simbolicamente con una moneta. Per non parlare poi degli innumerevoli “portafortuna” (szerencsehozó).

Non ci sono molte ricerche etnologiche su tali credenze popolari (considerare una cosa vera, senza evidenza reale, perché fa parte del “senso comune”) che, probabilmente, aiutano ad esorcizzare la paura di forze oscure che influenzerebbero il nostro destino. Tali credenze si diffondono oralmente e spesso si rintracciano nei riti religiosi o nelle favole; queste ultime hanno un’importanza notevole nella cultura popolare ungherese.
Rispetto a proverbi e modi di dire, il lato per così dire razionale e relazionale della “sapienza popolare”, le usanze sopra descritte rivelano invece il lato oscuro, irrazionale e nascosto, dell’agire umano. Non assegno un valore negativo a ciò, ma solamente ne sottolineo l’eccesso di razionalizzazione di chi non si rassegna all’inafferrabile “caso” (sors), ma ha bisogno di personificare gli eventi negativi (o quelli positivi) nello jettatore o nel demone maligno, oppure nella dea Fortuna (Szerence-istennő), illudendosi così di poterli combattere o blandire.
Forse è possibile tracciare un confine tra superstizione e scaramanzia, considerando la prima come l’assoggettamento completo a forze sovrannaturali insondabili, e la seconda come una forma di (auto)rassicurazione. Si tratta, in entrambi i casi, del tentativo di immaginare un qualche ordine in ciò che che appare solo come caos determinato dal caso. Piuttosto che accettare la legge (?) di quest’ultimo, molte persone preferiscono affidarsi al rassicurante (ma anche deresponsabilizzante) cieco destino (vak végzet).
Credere a cose di cui non è certa l’esistenza non è privo di conseguenze concrete (consapevoli o no): influenza, nel bene e nel male, la nostra percezione della vita e i nostri comportamenti, anche solo in forma di autosuggestione.

Questo mondo “altro”, abitato da forme di vita non umane (fate e folletti, ma anche sciamani e streghe ecc.), ci rimando l’eco di un immaginario simbolico pre-cristiano ed euroasiatico – nella cultura ungherese come in quella italiana – che sarebbe un peccato cancellare dalla memoria.

In ogni caso, se qualcosa va storto, si può incolpare la sfortuna, esclamando in ungherese Ez pech!, “Che jella!” (ma i giovani italiani dicono “che sfiga!”).

lunedì 22 settembre 2014

Verbi ungheresi più facili... o no?

“L’ungherese utilizza riccamente la categoria del verbo (ige)”, afferma il professor Paolo Driussi (Guida alla lingua ungherese, Franco Angeli, 2012).
Sottolinea, però, che i modi verbali ungheresi non hanno ampie corrispondenze con i modi italiani. Ad esempio: il condizionale ha diverse forme; l’imperativo è utilizzato anche come congiuntivo; esiste il participio futuro, che esprime un’azione futura necessaria (in italiano è assente).
Inoltre, in ungherese non esistono classi di verbi e coniugazioni in base all’infinito, come invece in italiano (-are, -ere, -ire).
Questo post e, soprattutto, la scheda scaricabile (La coniugazione dei verbi ungheresi / A magyar igék ragozása) – che contiene i suffissi personali dei verbi (igei személyragok) – sono un’introduzione al sistema verbale ungherese.

Il sistema verbale ungherese si basa sul tema o radice verbale (igető), forma base che coincide con la 3° persona singolare (3Sg) del presente indicativo nella coniugazione soggettiva (ad eccezione dei verbi terminanti in -ik, particella che scompare dalla radice).
La coniugazione verbale (igeragozás), distinta per persona (személy) e numero (szám), si realizza aggiungendo alla radice il suffisso (igerag) in base ai diversi modi e tempi.

Imparando i suffissi verbali di tre modi (indicativo, condizionale, imperativo) e due tempi (il presente e una sola forma di passato; il futuro si costruisce con l’infinito più un ausiliario), possiamo coniugare tutti i verbi regolari ungheresi. L’italiano invece è più complicato; ad esempio il modo indicativo ha ben otto tempi (anche se nella lingua parlata se ne utilizzano meno).
Questo è dunque un aspetto più semplice della lingua ungherese rispetto alla grammatica italiana.
Le buone notizie, per chi vuole studiare l’ungherese, finiscono qui.
Sia perché la lingua magiara presenta molti verbi irregolari (in questo, la lingua italiana non è da meno).
Sia soprattutto per le seguenti originalità:
-         esiste una doppia coniugazione, soggettiva (quando l’oggetto non è definito) e oggettiva (quando lo è);
-         si applica la regola dell’armonia vocalica anche ai suffissi personali dei verbi, che dunque cambiano la vocale – bassa (a, á, o, ó, u, ú) o alta (e, è, i, í, ö, ő, ü, ű, ma la i può essere anche bassa) – in conformità con quelle della radice verbale.

Pertanto, il verbo può indicare non solo la persona, il numero, il tempo e il modo, ma anche la presenza o l’assenza di un oggetto.
Ecco ad esempio una coniugazione soggettiva (o indefinita, poiché non è chiaro l’oggetto):
-         sto leggendo / olvasok
-         esaudisco un desiderio / teljesítek egy kívánságot
Ed ecco la forma oggettiva (l’oggetto è definito), con significato diverso:
-         lo sto leggendo / olvasom
-         esaudisco il desiderio / teljesítem a kívanságot.

Per i verbi regolari, tutti i suffissi utilizzati sono riassunti nelle tre tavole contenute nella scheda citata.
Per quelli irregolari, occorre impararli uno a uno, non avendo regole di costruzione, anche se si possono individuare alcune costanti nei tre gruppi in cui sono suddivisi tali verbi:
a)      i tre verbi jönni (venire), lenni (essere), menni (andare);
b)      i sei verbi terminanti in -nni: enni (mangiare), hinni (credere), inni (bere), tenni (mettere, fare), venni (prendere, comperare), vinni (portare);
c)      i pochi verbi terminanti in -udni/-üdni.

Ecco poi una particolarità. In ungherese non esiste il verbo avere (ma nel senso di possedere è possibile usare birtokolni). Per esprimerlo si utilizza una una circoscrizione simile al dativo latino, as es.:
-         Kati ha un fratello / Katinak van egy testvére (lett. “Kati-a c’è un fratello-suo”)

Poiché persona e numero del verbo sono facilmente riconoscibili, in ungherese i pronomi personali (személynévmások: én, te, ő, mi, ti, ők) spesso sono omessi; li si esplicita quando si pone enfasi sul soggetto.
Un accenno anche alla posizione del verbo nella frase (sulla cui costruzione ci sarà un prossimo post). Mentre nelle lingue neolatine la struttura della frase è del tipo SVO (soggetto-verbo-complemento), nelle lingue uralo-altaiche – cui appartiene la lingua ungherese – è invece quella del tipo SOV.
In realtà, “la struttura sintattica dell’ungheree è determinata dalla pragmatica della comunicazione” (Driussi cit.), anche perché la funzione dell’oggetto (il “caso” in ungherese, il “complemento” in italiano) è resa evidente dall’apposito suffisso. Quindi, in linea di massima l’ordine delle parole è libero e dipende dalla parola tonica (quella su cui cade l’enfasi), che va subito prima del verbo. Possiamo dunque trovare il verbo all’inzio della frase o nel mezzo, spesso anche alla fine. Naturalmente un’unità sintattica va tenuta in gruppo (es. articolo-aggettivo-sostantivo).

Ecco ora una curiosità: la lingua ungherese costruisce i verbi,  con immediatezza ed efficacia, anche a partire da sostantivi stranieri. Di seguito alcuni esempi:
-         navigare in internet / internetezni
-         mangiare una pizza / pizzázni
-         fare sport / sportolni
-         guardare la tv / tévézni
-         giocare a tennis / teniszezni.

Infine, da ricordare che nei vocabolari il verbo ungherese compare con la sua radice verbale (3Sg, eventualmente con suffisso –ik; es. tévézik), e non con l’infinito come in italiano.

Se cercate la corretta coniugazione di un verbo, il seguente sito vi aiuta con circa 700 verbi ungheresi:

Buona coniugazione!