lunedì 20 ottobre 2014

Indimenticabile ’56.

Budapest: accanto alla statua di Nagy Imre.
Giovedì prossimo in Ungheria é festa nazionale (nemzeti ünnep), in memoria della rivoluzione ungherese del 1956 (október 23-ai forradalom emlékére), cominciata a Budapest il 23 ottobre con una manifestazione studentesca. Si puó leggere su wikipedia un’adeguata ricostruzione di quegli eventi (e del contesto internazionale: la guerra fredda; la destalinizzazione dell’Urss; la crisi di Suez).

Per capirne qualcosa in più, ho raccolto qualche testimonianza di quel periodo. La mia impressione é che il trauma di allora non sia del tutto superato e che le sensazioni provate 58 anni fa siano ancora presenti nell’animo di chi visse quella ventina di giorni di insurrezione contro la soffocante presenza sovietica.

Julianna aveva 17 anni, studentessa impiegata in un’industria tessile a Kispest (quartiere sud di Budapest). Là non ci furono scontri, ma in fabbrica si formò subito un consiglio operaio e fu sciopero (durò fino a gennaio). A fine ottobre con un’amica provò a recarsi in centro, ma quando udirono spari tornarono subito indietro. Riprovarano a fine novembre e trovarono una devastazione simile a quella dopo una guerra. Un giorno la raggiunse un cugino, che le chiese di scappare in occidente con lui; Julianna rifiutó, riflettendo sulle parole di un poeta dell’Ottocento, Tompa Mihály: Szívet cseréljen az, aki hazat cserél! (Cambi cuore chi cambia patria). Non ebbe tempo di schierarsi contro o a favore degi insorti, aveva solo paura di non rivedere piú i genitori, che vivevavo nella provincia occidentale di Vas. Nagy Imre, il capo del nuovo governo socialista che accolse le richieste degli insorti, le era simpatico ma fu processato e giustiziato due anni dopo (dal 1989 é eroe nazionale).

Nándor aveva 18 anni e viveva in un piccolo paese del sud. Era figlio di una famiglia di minatori comunisti (che per lui significava lavorare duro per vivere). Per questa sola ragione, il comitato rivoluzionario del posto si preparava ad impiccarli. Poi arrivarono i soldati sovietici e tutta la familgia ebbe salva la vita. Anzi, Nándor ricevette nel Parlamento di Budapest una “medaglia al merito per operai e contadini”.

András nel ’56 era un bimbo di pochi anni e ricorda solo che i suoi genitori lo portarono in Italia. Seppe poi che, nel’45 alla fine della guerra, i suoi genitori scamparono alla prigione (e forse alla torture che i sovietici inflissero ai “collaborazionisti” dei nazisti negli stessi luoghi dove le “Croci Frecciate”, i nazisti ungheresi, torturavono fino a poco tempo prima gli oppositori al regime). Come? Grazie a qualcuno che li fece scappare da Budapest, assieme ad altre migliaia di persone compromesse col regime, attraverso una galleria sotterranea. Da anni András cerca di scoprire chi fu quel “salvatore” per onorarne la memoria ed é grato ai fatti del ’56 a seguito dei quali i genitori ebbero l’occasione di abbandonare un paese dominato – tra il 1948 e il 1989 – dal “socialismo di stato”.

L’italiana Gigliola nel ’56 aveva 19 anni. Attratta dalla cultura magiara, subito si schieró con i giovani ungheresi insorti. Ma – abitando nella regione piú “rossa” d’Italia (Emilia-Romagna),  allineata a Mosca – ciò le costò isolamento, incomprensione e anche insulti. Non perse peró la sua passione per l’Ungheria, che visitó spesso, ospite anche dell’amico scrittore Németh László.

Chi prevalse allora definí gli insorti “controrivoluzionari”. Pochi dissidenti nella sinistra europea  (un’eccezione in Italia fu il sindacato comunista, la Cgil) solidarizzarono con studenti e operai in rivolta; ma neppure da altre parti politiche dell’Occidente arrivó loro un sostegno concreto.
Dopo il crollo del Muro di Berlino nel 1989, nessuno piú afferma ciò. Anche il Presidente italiano Giorgio Napolitano (giá dirigente del Partito comunita italiano), che allora appoggió i carri sovietici, qualche anno fa si pentí di quella presa di posizione e onorò i caduti della rivoluzione ungherese del ’56.
Certamente c’erano in quella rivolta elementi diversi: anarco-sindacalismo, aspirazioni a una democrazia piena e a una neutralitá in un mondo diviso in blocchi contrapposti, fermenti di un socialismo democratico suscitati nell’Est Europa dalla destalinizzazione, e – probabilmente ma senza influenza – nostalgici del regime fascistizzante dell’anteguerra.
La storia sedimenterà l’essenziale, ma è utile raccogliere i diversi punti di vista (storie personali di protagonisti e di semplici spettatori). Alla fine il pubblico è il “canone”, cioè il metro di misura per valutare l’impatto degli eventi che cambiano il mondo.

Ció che ha reso indimenticabile quel ’56 del Novecento, accostandolo al ’48-’49 dell’Ottocento, é quella sorta di immagine tragica del popolo magiaro, quasi profeticamente intravista giá da Dante (Paradiso, Canto XIX): “Oh beata Ungheria, se non si lascia piú malmenare!” (Óh, boldog Magyarország! Csak ne hagyja magát félrevezetni már!).
Credo che il popolo magiaro susciti simpatia nel mondo perché é metafora delle minoranze oppresse sulla Terra: essere destinate alla sconfitta, salvo trovare poi ragione nella storia.


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