Egy
kovács
nem kovács,
két kovács
egy kovács,
trad. “un fabbro non è un fabbro, due fabbri sono un fabbro” (da
notare che in ungherese il sostantivo plurale resta singolare se
preceduto da un aggettivo quantitativo e che le terze persone del
verbo “essere”
– van
e vannak
– si omettono nelle frasi con predicato nominale).
Tale
espressione ungherese si usava scherzosamente per chiedere aiuto ai
vicini di casa nel portare a termine un lavoro; il senso è che,
anche se siamo maestri nella nostra professione, abbiamo spesso
bisogno di una mano per fare progressi.
Questo
modo di dire – che ha una versione ancor più originale (egy
ács nem ács, két ács fél ács, három ács egy ács, trad.
un falegname non è un falegname, due falegnami sono mezzo falegname,
tre falegnami sono un falegname) – non ha un equivalente in
italiano.
Al contrario, in italiano, abbiamo consigli a non contare troppo sugli altri per un aiuto, come nel detto: “Chi per altrui mano si satolla, tardi si satolla”.
Al contrario, in italiano, abbiamo consigli a non contare troppo sugli altri per un aiuto, come nel detto: “Chi per altrui mano si satolla, tardi si satolla”.
Per motivare le persone ad aiutarci in un impresa, mi sembra adatto un aforisma dello scrittore francese Antoine de Saint Exupéry (1900-1944): “Se vuoi costruire un’imbarcazione, non preoccuparti tanto di adunare uomini per raccogliere legname, preparare attrezzi, affidare incarichi e distribuire lavoro; vedi piuttosto di risvegliare in loro la nostalgia del mare e della sua sconfinata grandezza.”
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