A megosztott bajt könnyebb elviselni, tradotto dall’ungherese: “il guaio condiviso è più
leggero da sopportare” (baj, oltre
che con “guaio”, è traducibile anche con “male” o “dispiacere”). È quasi
didascalico: allude a un peso che ci opprime e di cui ci possiamo alleggerire
ripartendolo in parte su qualcun altro.
L’equivalente
italiano è: mal comune mezzo gaudio. Meno didascalico, ma fulminante,
attribuito a Cicerone (in latino: non
tibi hoc soli).
È un
proverbio consolatorio: la certezza che si è tutti un po’ uguali, anche nelle
debolezze, ci rassicura.
Ma è
anche prescrittivo: invita le persone a stare vicino a chi ha subito un
dispiacere. È un “placebo psicologico” che può essere efficace, perché può
aumentare la consapevolezza di sé e compassione (condivisione della sofferenza)
verso l’altro.
Ha
anche un lato comico. Ricordo uno sketch televisivo: lui e lei nel letto, lui
dorme tranquillo, lei no, si rigira agitata tra le lenzuola; poi lei sveglia
lui e gli racconta del cruccio/preoccupazione/tormento che l’affligge; ecco che
ora lei dorme tranquilla, mentre lui si rigira nel letto.
Gli
psicologi, con qualche cautela, confermano le conclusioni di tale precetto
della “saggezza popolare”.
Secondo
l’australiano, di origine ungherese, Joseph Paul Forgas, “la compagnia di
persone che si trovano in una situazione [dolorosa] simile alla nostra è
particolarmente efficace nel ridurre l’ansia”, anche se “l’eventualità che la
presenza delle altre persone possa farci sentire meglio dipende anche dalla
situazione specifica” (Comportamento
interpersonale. La psicologia dell’interazione sociale, Armando, 1989,
traduzione di Bruna Zani e Elvira Cicognani).
Cinzia
Tani e Rosario Sorrentino sostengono che “il ‘mal comune mezzo gaudio’ ancor
oggi rimane una forma di terapia praticata. Condividere lo stesso dolore rende
più sopportabile e può a volte dare un momentaneo sollievo” (Panico, Mondadori,
2008).
Attenzione,
però, all’atteggiamento auto-assolutorio (soprattutto tra i giovani), che
giustifica inerzia e fallimenti: “va male agli altri; se va male anche a me,
non è conseguenza delle mie scelte ma è destino”.
Nel
discernere ciò che è in nostro potere e ciò che non lo è, occorrerebbe
sforzarsi di individuare responsabilmente le alternative al proprio
comportamento e alle proprie scelte, singolarmente ma anche collettivamente.
Bene comune, massimo gaudio.
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