“Nella vecchia fattoria i-a,
i-a-oo...” è una vecchia canzone italiana, con la voce (o verso, ungh. hang) degli animali da cortile. L’asino
fa HI-OH, la capra BEE, il gatto MIAO, il cane BAU, il maiale HRRR.
Ciascun verso è riprodotto con un
vocabolo onomatopeico (hangutánzó szó),
cioè assomigliante al suono prodotto. Stessa origine, spesso, hanno sia il
verbo (ige) - che indica l’azione di
emettere il verso tipico dell’animale - e sia il nome del verso (hang neve).
Ma quasi sempre tali vocaboli sono
diversi da una lingua all’altra, pur riferendosi allo stesso animale. Gli
animali non conoscono le diverse lingue umane, e un pulcino ungherese
assomiglia a un pulcino italiano. Allora perché il pulcino magiaro (ungh. csibe) fa csip-csip (prounucia it.: cip-cip) e quello italiano fa pio pio?
Poiché la fonetica di ciascuna
lingua è diversa e diversi sono tempi e modi di formazione (e percezione) delle
parole, cambia l’associazione versi/suoni (in alcuni casi, si importa da
un’altra lingua: per il grugnito del maiale, in italiano si usa oink oink, come
in inglese).
In Italia è abitudine usare il
verbo “fare” accompagnato dalla trascrizione del verso animale: “il gallo fa
chicchirichì” (si potrebbe dire anche, ma non si usa, “il gallo chicchìria”,
dal verbo “chicchiriare”). In Francia però il gallo fa cocoricò, in Germania kikeriki,
in Inghilterra cock-a-doodle-do e in
Spagna quiquiriqui.
In ungherese il sostantivo che
denomina il verso dell'animale si costruisce in modo semplice e regolare,
aggiungendo alla radice verbale il suffisso ás/és
(in base all'armonia vocalica).
In italiano tale costruzione è variabile e irregolare: a
volte è il participio del verbo, a volte una sua flessione con vari suffissi .
Quando manca il sostantivo che denomina il verso, in italiano si sostantiva il
relativo verbo, es.: il tubare delle colombe.
In Ungheria, invece, si usa spesso
la forma verbale: “a kakas kukorékol”
(il gallo chicchìria). Ma a volte si usa: “a
kakas azt mondja: kukurikú ”
(il gallo dice chicchirichì).
L’ungherese poi è più completo
dell’italiano per quanto riguarda il nome del suono: kukorékolás è il verso del gallo, che in italiano manca. Kukuricù è il verso equivalente a
chicchirichì.
L’ungherese è anche spesso più
preciso: ad esempio, differenzia il verso del corvo (károgás) da quello della gazza (csörögés);
in italiano è sempre “gracchìo”.
In altri casi, anche l’italiano è
completo: l’asino raglia (ungh. a szamár
ordít), il suo verso fa hi ho (iá),
e si chiama raglio (ordítás).
Come detto, però, in italiano è
poco frequente l’uso del nome del verso. Ecco un altro esempio (con traduzione
in ungherese): “il cane abbaia oppure il cane fa bau bau” (a kutya ugat vagy a kutyaugatás vau vau), mentre è rarissimo dire
“l’abbaio del cane” (a kutyaugatás).
Tra italiano e ungherese (come
per altre lingue) non sempre c’è corrispondenza di verbi per lo stesso animale
(segnalate errori!). E per lo stesso animale ogni cultura individua vari versi,
come per il cane: in italiano, una decina; in ungherese, cinquantaquattro!
Ecco un elenco di versi dianimali (suono, nome, verbo), una sessantina in italiano e in ungherese,
utile promemoria anche nella propria madrelingua, di cui spesso non ricordiamo
questi versi bizzarri e strani.
Già si sa che il gatto miagola e
il leone ruggisce. Forse si ricorda anche che l’elefante barrisce. Si scoprirà
che il tacchino gloglotta, il cervo bramisce e la giraffa landisce.
Ma non sempre si trova in una
lingua un verso adatto a un dato animale. Infatti, come recita un’altra
canzoncina per bambini: “il coccodrillo come fa?”
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