giovedì 19 settembre 2013

L'alfabeto runico divide?




Saluti da Székesfehérvár (in runico)
La prima volta che sono andato in Ungheria, quattro anni fa a Székesfehérvár (Alba Regia per i romani, la città dove si incoronavano i re magiari), ho notato uno strano cartello stradale nei pressi di quello che indicava il nome della città. Gli amici ungheresi mi dissero che era una testimonianza dell’antico alfabeto runico ungherese (rovásirás). In pratica il nome della città è riscritto con i caratteri runici, ma da destra verso sinistra.
Mi sembrò un interessante iniziativa culturale per tenere viva la memoria storica di un popolo. Scoprii così che prima dell’anno 1000 la lingua ungherese era scritta in runico, i cui caratteri derivavano probabilmente dalle rune germaniche (a loro volta derivate dall’alfabeto etrusco), che si diffusero dall’800 nel centro e nel nord Europa. Quindi tale alfabeto ebbe vita breve: non esistono testi scritti con tali caratteri, sopravvive solo qualche iscrizione, perlopiù nella terra dei Siculi (Székelyföld), e cioè la Transilvania (Erdély per gli ungheresi), che oggi appartiene alla Romania.
Quando il fondatore del Regno d’Ungheria, Stefano I (1000-1038), cristianizzò i magiari, abolì l’alfabeto runico e introdusse quello latino; decretò anche il latino come lingua ufficiale.
Il ricordo della scrittura runica fu poi ostaggiato dalla Chiesa, dagli Asburgo, dal regime comunista. Dopo il 1989 è rinato l’interesse per tale alfabeto, a volte con un uso un po’ nostalgico e revivalista. Nel 2010 il partito di destra Jobbik ne fece anche una questione politica,  rinvendicandone l’insegnamento a scuola e il sovvenzionamento della traduzione in rune di cartelli stradali.
Le rune hanno una duplice immagine nell’opinione pubblica: l’una, respingente, legata all’uso che ne fece Hitler per la sua propaganda nazista; l’altra, attraente, connessa all’uso attuale nella letteratura fantasy, basata su miti e leggende nordiche (come nei libri di J.Tolkien).

Alfabeto runico ungherese
Quest’anno ho notato cartelli in caratteri runici anche alle porte di altre città, come Veszprém o Siófok. Trasmettono ancora il messaggio ”siamo orgogliosi della nostra diversità”, diversità che tutti i popoli europei legittimamente vogliono salvaguardare e valorizzare. Ma nell’attuale clima politico sembrano rivendicare anche una ”superiorità”, che sarebbe la negazione del rispetto delle altre diversità e della pacifica convivenza. Il rischio è di alimentare chiusure nazionalistiche, come la rivendicazione della ”grande Ungheria” (cosa diversa, e legittima, è la rivendicazione di una forte autonomia per i magiari - oltre un milione - che vivono in Transilvania, la più grande minoranza linguistitica in Europa).
Insomma una manifestazione di memoria culturale si è trasformata in una strumentalizzazione ideologica, peraltro senza fondamento storico: non esiste una letteratura ungherese scritta in runico, alfabeto di origine incerta. Scrivere oggi in runico sarebbe solo un esercizio di crittografia.
È sperabile che tali manipolazioni simboliche ad uso politico abbiano vita breve, finendo come il ”dio Po” leghista in Italia, e che l’alfabeto runico ungherese abbia il posto che merita nella storia della scrittura. La tutela della lingua ungherese ha bisogno di altre strade.


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