Saluti da Székesfehérvár (in runico) |
Mi sembrò un interessante iniziativa culturale per tenere viva la memoria
storica di un popolo. Scoprii così che prima dell’anno 1000 la lingua ungherese
era scritta in runico, i cui caratteri derivavano probabilmente dalle rune
germaniche (a loro volta derivate dall’alfabeto etrusco), che si diffusero
dall’800 nel centro e nel nord Europa. Quindi tale alfabeto ebbe vita breve:
non esistono testi scritti con tali caratteri, sopravvive solo qualche
iscrizione, perlopiù nella terra dei Siculi (Székelyföld), e cioè la
Transilvania (Erdély per gli
ungheresi), che oggi appartiene alla Romania.
Quando il fondatore del Regno d’Ungheria, Stefano I (1000-1038),
cristianizzò i magiari, abolì l’alfabeto runico e introdusse quello latino;
decretò anche il latino come lingua ufficiale.
Il ricordo della scrittura runica fu poi ostaggiato dalla Chiesa, dagli
Asburgo, dal regime comunista. Dopo il 1989 è rinato l’interesse per tale
alfabeto, a volte con un uso un po’ nostalgico e revivalista. Nel 2010 il
partito di destra Jobbik ne fece anche una questione politica, rinvendicandone l’insegnamento a scuola e il
sovvenzionamento della traduzione in rune di cartelli stradali.
Le rune hanno una duplice immagine nell’opinione pubblica: l’una,
respingente, legata all’uso che ne fece Hitler per la sua propaganda nazista;
l’altra, attraente, connessa all’uso attuale nella letteratura fantasy, basata su miti e leggende
nordiche (come nei libri di J.Tolkien).
Alfabeto runico ungherese |
Quest’anno ho notato cartelli in caratteri runici anche alle porte di altre
città, come Veszprém o Siófok. Trasmettono ancora il messaggio ”siamo
orgogliosi della nostra diversità”, diversità che tutti i popoli europei legittimamente
vogliono salvaguardare e valorizzare. Ma nell’attuale clima politico sembrano
rivendicare anche una ”superiorità”, che sarebbe la negazione del rispetto
delle altre diversità e della pacifica convivenza. Il rischio è di alimentare
chiusure nazionalistiche, come la rivendicazione della ”grande Ungheria” (cosa
diversa, e legittima, è la rivendicazione di una forte autonomia per i magiari
- oltre un milione - che vivono in Transilvania, la più grande minoranza
linguistitica in Europa).
Insomma una manifestazione di memoria culturale si è trasformata in una
strumentalizzazione ideologica, peraltro senza fondamento storico: non esiste
una letteratura ungherese scritta in runico, alfabeto di origine incerta. Scrivere
oggi in runico sarebbe solo un esercizio di crittografia.
È sperabile che tali manipolazioni simboliche ad uso politico abbiano vita
breve, finendo come il ”dio Po” leghista in Italia, e che l’alfabeto runico
ungherese abbia il posto che merita nella storia della scrittura. La tutela
della lingua ungherese ha bisogno di altre strade.
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