Menekültek
Európába
jönnek gondolva, hogy civilizációt, demokráciát, szolidaritást
találnak. Ellenben Magyarországot találnak.
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Sono
un magiarofilo, attratto
da lingua e cultura magiare. Ciò è avvenuto per caso (sei anni fa
ho conosciuto un gruppo di giovani ungheresi arrivati in Italia per
trovare lavoro).
Avrei
potuto essere turcofilo o cinesofilo, se avessi incontrato altri
stranieri. Ogni cultura contiene una ricchezza originale che può
attrarre.
Questa
passione si è tramutata nel mio libro sui proverbi ungheresi e in
questo blog per alimentare l'amicizia tra i due popoli, facendo
conoscere di più l'Ungheria di cui si parla poco in Italia.
Ma oggi
l'Ungheria è all'attenzione dell'opinione pubblica mondiale.
Forse solo
nel 1956 l'Ungheria fu così spesso sulle prime pagine dei giornali,
ma per un evento di tutt'altra portata (la rivolta popolare contro il
regime socalista).
E forse fu
solo verso la fine del IX secolo d.c. che gli “Ungari” (così li
chiamavano) non avevano un'immagine così negativa, pur intrisa di
ammirazione: “Salvaci Signore nostro dalla frecce degli Ungari”,
si pregava allora contro le invasioni di quegli spietati ma abili
guerrieri.
Oggi
l'immagine dell'Ungheria è quella delle posizioni “xenofobe”
(definizione data dall'editorialista del Corriere
della Sera, Aldo Cazzullo, 8 settembre
2015 ) del governo di Budapest, guidato da Orbán
Viktor. Addirittura il cancelliere
austriaco Werner Fayman ha paragonato la gestione ungherese
dell'emergenza profughi al nazismo: “Stipare i rifugiati nei treni
e mandarli in luoghi completamente diversi da quelli che essi credono
ci ricorda i più bui capitoli della storia del nostro continente”.
Dopo le immagini di lacrimogeni e idranti
usati dalla polizia ungherese contro i migranti alla frontiera chiusa
Ungheria-Serbia, il segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon, ha
commentato: “Sono scioccato nel vedere come alcuni migranti e
rifugiati sono trattati, non è accettabile. È gente che scappa da
guerra e persecuzione e deve essere trattata con dignità umana”
(emberi méltóság).
Insomma,
il partito al governo in Ungheria, Fidesz
– pur facendo parte, nel Parlamento dell'UE, dello stesso
raggruppamento della CDU (il partito di Angela Merkel), il Partito
Popolare Europeo – sembra appiattito sulle posizioni del gruppo di
estrema destra Jobbik.
Ieri quasi
nessuno sapeva che l'Ungheria è stato il primo paese ad abbattere il
muro che divideva Est/Ovest. Oggi tutti sanno che l'Ungheria è il
primo paese a costruire un muro di separazione Nord/Sud. Oggi verso
la Serbia, domani verso Croazia e Romania. Quasi un isolamento
dall'Europa.
Quando avevo poco più di due anni i miei genitori sono emigrati dal
Sud al Nord Italia: per anni ho percepito il disprezzo di chi ci
considerava indesiderati “terroni” (insulto razzista).
Quasi sempre i 27 milioni di italiani emigrati nel mondo tra il 1876
e il 1976 sono stati male accolti, oggetto di pregiudizi e
discriminazioni, che hanno causato sofferenze individuali e generato
scontri sociali. Poi l'integrazione ha prevalso e le società più
“altruiste” hanno avuto i maggiori benefici.
Perciò
io sono xenofilo,
cioò favorevole all'integrazione di ogni cultura, di ogni popolo,
pur sapendo che l'opinione pubblica mondiale è divisa su ciò: la
xenofobia è diffusa a tutte le latitudini ed è causa di gravi
conflitti sociali.
Certamente
servono regole certe ed efficaci (distinguere, senza discriminare,
profughi e migranti economici). L'Europa non ne ha di adeguate al
fenomeno epocale dell'immigrazione (comunque, di dimensioni inferiori
a quella del Novecento, quando nel solo periodo della 2° guerra
mondiale, emigrarono 16 milioni di europei; negli ultimi cinque anni
sono stati 2 milioni gli immigrati in Europa), ed è divisa. La
scelta di alcuni paesi dell'Unione
Europea
(Európai
Unió),
in
particolare Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Romania, di
sottrarsi ai doveri di solidarietà (szolidaritás)
– oltre che di ignorare il diritto d'asilo (menedékjog),
uno dei diritti umani fondamentali – appare una chiusura inutile
quanto controproducente.
Giova ricordare che nel 2014 (fonte UE) l'Ungheria ha versato
all'Unione Europea circa 1 miliardo di euro (l'Italia quasi 16) e ne
ha ricevuti quasi 6 (l'Italia 12,5): questa è una forma, economica,
della solidarietà .
E
giova ricordare che l'immigrazione (bevándorlás)
non è un grande problema in Ungheria, dove gli stranieri sono il 2%
(in Italia l'8%). Finora, quest'anno, sono stati poco meno di 200mila
i migranti giunti in Ungheria, terra di transito e non meta finale:
un numero gestibile (al Sziget Festival sono state gestite oltre
400mila persone in otto giorni).
Anzi,
l'Ungheria ha il problema dell'emigrazione (kivándorlás),
che – assieme alla bassa natalità – sta riducendo la
popolazione.
Ci sono problemi politici (che Europa vogliamo), ci sono problemi
economici (ma le politiche anti-immigrazione costano più
dell'accoglienza), ma soprattutto ci sono problemi culturali.
Però
ciò che mi ha più colpito è l'apparenza mancanza di umanità
nell'accoglienza dei migranti in Ungheria da parte delle forze
dell'ordine (rendőrség)
e da parte di alcuni settori della società (disgustose le immagini
della reporter ungherese che prende a calci i profughi mentre li
riprende con la telecamera, e preoccupanti quelle della polizia che
butta
alimenti ai migranti rinchiusi in un recinto). Comprensibile è
dunque il sarcasmo della vignetta di Ellekappa che riporto
a fianco, pubblicata da Repubblica.
D'altra
parte, so che una parte dell'opinione pubblica magiara si è
schierata per l'accoglienza: semplici cittadini che hanno manifestato
sotto lo slogan Az én nevemben
ne (non
in mio nome) o hanno dato aiuto e assistenza ai migranti (siriani, irakeni e
afgani in gran parte), associazioni come Migration
Aid, giornali
e movimenti.
In
un articolo sulla Stampa,
l'esperto
Bruno Ventavoli (19 giugno '15) cercava di comprendere, senza
giustificare, le posizioni dure del governo ungherese. I magiari
sarebbero spaventati dalla sindrome dell'assedo e il nazionalismo è
anche paura di sparire.
Ma
le scelte del governo ungherese (ultima la decisione di mettere in
prigione fino a tre anni chi attraversa illegalmente il confine,
anche se profugo di guerra) non fanno che alimentare queste vecchie
paure alla ricerca di un'identità unidimensionale.
L'antropologo
e psicanalista, Georges Devereux (1908-1985; nato ungherese come
Győrgy
Dobó,
poi naturalizzato francese),
fondatore dell'etnopsichiatria moderna, metteva in guardia dal
“rischio dell'identità”. Intravedeva la tendenza
a limitare l'identità ad un solo aspetto (essere musulmano, ebreo,
nero ecc.) come riduttiva della molteplicità che compone la storia
di una persona (e, aggiungo, di un popolo).
In tutto il mondo, non solo in Ungheria, c'è il problema
dell'atteggiamento verso l'Altro, il diverso da noi (un tempo risolto
violentemente con le invasioni e le guerre d'aggressione).
Secondo
lo psicanalista greco Sarantis
Thanopulos
“non è esatto dire che abbiamo paura dello straniero dentro e
fuori di noi. Siamo diventati stranieri a noi stessi”.
Dopo
la foto del picclo Aylan,
morto annegato su una spiaggia turca, il mondo si è interrogato
sulla sua umanità (jóérzés)
e
ha cambiato verso: l'umanità (emberség)
non può chiudere gli occhi di fronte alla realtà, il fenomeno
dell'immigrazione va accettato e governato.
No,
l'Ungheria non è il “cuore
nero” dell'Europa (cosa sono qualche centinaia di migliai di voti
per Jobbik a confronto dei milioni di voti per il Front National in
Francia?). Ma il governo ungherese appare senza cuore, in lingua
magiara si dice szívtelen,
che significa anche “disumano”.
Invece
il popolo ungherese è umano e ospitale, come gli italiani e tanti
altri popoli, e saprà ritrovare la strada giusta, ricordando il
monito
che mille anni fa il primo re ungherese, Stefano I, scrisse per suo
figlio Imre: unius
linguae, uniusque moris regnum imbecille et fragile est (debole
e caduco è il regno che possiede una sola lingua e unici costumi).
PS:
anche qui tira una brutta aria. La Regione Lombardia, guidata dalla
Lega Nord, ha deciso di penalizzare economicamente gli albergatori
che ospitano (legalmente!) gli immigrati. E ci sono lombardi per i
quali io sono ancora un “terrone”...
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