Si è spento a 92 anni a Budapest uno dei maggiori cineasti
ungheresi, Jancsó Miklós. È considerato l’emblema del “Nuovo cinema ungherese”,
nato a seguito della repressione della rivoluzione ungherese del 1956 (“lo stalinismo, più che un errore, è un
crimine” constatò Jancsó).
Era molto attratto dalla storia e poco dal montaggio: faceva
largo uso del “piano sequenza”, ripresa cinematografica senza stacchi, forse
ispirata dal paesaggio della steppa ungherese, la puszta. Il suo cinema (inizialmente documentaristico),
contraddistinto da un pessimismo storico in parte stemperato nella produzione
degli ultimi anni, ha continuato ad analizzare implacabilmente i rapporti tra
individuo, potere e comunità.
Fu un “gigante del cinema mondiale “, secondo Kinoeye, anche se i suoi film
spesso furono poco visti, in patria e all’estero, per problemi sia con la
distribuzione che con la censura.
Come ricorda Silvana Silvestri (il manifesto, 2 febbraio), a Jancsó fu attribuito – dal regista
polacco Andrzej Wajda – “lo sguardo di dio”, per la capacità di trasformare gli
spettatori in spietate divinità che assistono con distacco alle vicende della
storia.
Negli anni ’70, per molti giovani occidentali protagonisti della “contestazione”, le forme e i contenuti nuovi che provenivano dalla cinematografia dell’est offrivano uno sguardo nuovo sul mondo, anche se a volte criptico (dovevano superare la censura).
Ricordo la visione in un cinema d’essai nel ’76, proveniente
dal festival di Cannes, del film Vizi privati, pubbliche virtù (prodotto
nel periodo “italiano” di Jancsó) che suscitò scandalo: venne sequestrato due
volte, e la sceneggiatrice Giovanna Gagliardo condannata inizialmente per
oscenità ma poi assolta.
La notorietà internazionale arriva negli anni ’60 con una trilogia: “I disperati di Sandór” (Szegénylegények), “L’armata a cavallo” (Csillagosok, katonák), “Silenzio e grido” (Csend és kiáltás). Nel 1990 al Festival del cinema di Venezia gli viene riconosciuto il Leone d’oro alla carriera.
Il regista ungherese e altri grandi registi dell’Est
(Andrzej Wajda, Krisztof Zanussi, Ivan Passer ecc.), con la loro arte,
riuscirono a scavalcare le barriere fisiche e ideologiche che dividevano
l’Europa fino all’’89 e salutarono favorevolmente nel 2004 l’allargamento
dell’Unione Europea.
- intervista del 2002 (in
inglese)
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