Busto di Perlasca (Budapest) |
Auschwitz è diventato il simbolo del “lager”, dal 1979
dichiarato “patrimonio dell’umanità” dall’UNESCO, affinché non scompaia la
testimonianza terribile dell’olocausto (shoah
in ebraico).
Nel 2000 l’Italia ha stabilito in quella data il “giorno
della memoria”, che quest’anno si celebra per la 14° volta, affinché – tramite incontri,
cerimonie e momenti comuni di rievocazione dei fatti e di riflessione su quanto
accadde nei campi di concentramento nazisti – anche le nuove generazioni dicano
“mai più!”.
La legge 221 del 2000 vuole anche ricordare “coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio e, a rischio della propria vita, hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.
Anche in Ungheria si ricorda la giornata internazionale della memoria dell’olocausto (holokauszt nemzetközi emléknapja). Il titolo onorifico israeliano di “Giusti tra le nazioni”, per commemorare i non ebrei che aiutarono gli ebrei a sfuggire allo sterminio, è andato tra gli altri a 791 ungheresi e 524 italiani.
La legge 221 del 2000 vuole anche ricordare “coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio e, a rischio della propria vita, hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.
Anche in Ungheria si ricorda la giornata internazionale della memoria dell’olocausto (holokauszt nemzetközi emléknapja). Il titolo onorifico israeliano di “Giusti tra le nazioni”, per commemorare i non ebrei che aiutarono gli ebrei a sfuggire allo sterminio, è andato tra gli altri a 791 ungheresi e 524 italiani.
Questo blog partecipa alla “giornata della memoria” (ungh. emléknapja), ricordando le storie di due
figure esemplari.
Giorgio Perlasca,
commerciante comasco; durante la 2° guerra mondiale si trovò a Budapest e,
fingendosi console generale spagnolo, salvò dalla deportazione e dallo
sterminio oltre 5mila ebrei ungheresi.
Oltre a un film tv del 2002 (con Luca Zingaretti nel ruolo
di Perlasca), ricordano la sua storia almeno 5 libri. Tra questi Giorgio
Perlasca, un italiano scomodo (di
Dalbert Hallenstein e Carlotta Zavattiero, Chiarelettere, 2010), che contiene un'intervista inedita realizzata nel luglio 1992,
poco prima della morte, nella quale Perlasca ripercorre le principali tappe
della sua vita.
Aladár Hábermann,
medico ebreo ungherese che nel ’33 si trasferì a Busto Arsizio (VA) dove prestò
aiuto a profughi ebrei e perseguitati dal nazi-fascismo. Ma sua figlia Anna
Maria (nata in Italia da madre italiana) scopre una scioccante storia, che il
padre le aveva nascosto fino alla morte per evitarle il dolore: la tragica fine
nei lager di nonni, zii e del fratello Tamás. Anna Maria Hábermann ha raccolto
documenti e ne ha fatto un libro, Labirinto
di carta (Proedi, 2010; Domszky Emöke ha tradotto dall’ungherese l’epistolario
famigliare). Parte del materiale era già stato pubblicato a Budapest come “il
libro di Tomaso” (Tamás könyve,
Kieselbach, 2009), diventando anche un film-documentario ungherese.
La vicenda è diventata poi uno
spettacolo, “Hábermann, ultima testimone
del silenzio”, messo in scena nel 2010 dalla compagnia del Teatro Sociale
di Busto Arsizio.
Il personale viaggio della memoria
– attraverso lettere e documenti della sua famiglia ungherese, quasi totalmente
annientata nei lager – ha condotto Anna Maria Hábermann (medico nonché
pianista) a scrivere già nel 2001 il romanzo d’esordio L’ultima lettera per Tibor (Giuntina, 2001), una delicata storia
d’amore sullo sfondo della rivoluzione ungherese del 1956.
La gran mole di documenti raccolti
dalla Hábermann in varie parti del mondo sulla diaspora ebraica - parenti,
nonché coloro che furono salvati dal padre – sarà probabilmente argomento del
prossimo libro. Lo stesso cognome della sua famiglia è frutto di questa storia:
a fine ‘800 una legge dell’impero austro-ungarico impose agi ebrei, per avere
cittadinanza, di comprarsi un cognome tedesco.
Da segnalare anche l’uscita nei
cinema del film di Roberto Faenza “Anita
B.”: il dopoguerra attraverso gli occhi di una giovanissima sopravvissuta
all’olocausto. Il film è tratto da un romanzo di Edith Bruck (1932), scrittrice
ungherese naturalizzata italiana, il cui titolo – “Quanta stella c’è nel cielo”
– non è un errore ma il primo verso di un’amara poesia di Petöfi Sándor. Tra
gli interpreti, anche l’attrice ungherese ma ormai “adottata” in Italia, Andrea
Osvárt, volto dell’Anno culturale italo-ungherese 2013.
Questo film ci ricorda che senza
memoria non c’è vita, ma anche la durezza del percorso dalla (esperienza della)
morte alla (ricostruzione della) vita.
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