Europe according to Italy (Yanko Tsvetkov)
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Quel cartello denota da una caratteristiche degli ungheresi:
l’orgoglio.
Il linguista ungherese Fábián Pál (1922-2008), nel suo
ancora valido Manuale della lingua
ungherese (Tankönyvkiadó, 1970), afferma che tra italiani e magiari c’è
“affinità di carattere”. L’amichevole dichiarazione deriva probabilmente da
affinità letterarie (Rinascimento), nonché da congiunture storiche
(Risorgimento), che hanno segnato percorsi comuni tra i due popoli.
Però, interpellando amici italiani e ungheresi sui
rispettivi “caratteri nazionali”, raccolgo i seguenti pareri dove le affinità
sembrano dissolversi.
Secondo la vulgata ungherese, gli italiani sarebbero
estroversi e superficiali, mangiaspaghetti (ma anche mangiagatti), fanatici del
calcio, un po’ mafiosi ...
Secondo la vulgata italiana, gli ungheresi sarebbero
introversi e malinconici, troppo orgogliosi, sessualmente liberi, gran bevitori
...
Sono “giudizi” che ricalcano luoghi comuni (közhelyek) e cliché. È un modo di “fare
di tutta l’erba un fascio” (ungh.: egy kalap alá vesz valakit valakivel,
lett. “prende l’uno e l’altro sotto uno stesso cappello”), che non aiuta a
capirsi.
È certo che storia, culture e religioni abbiano influenza
sull’identità di una nazione (sull’immagine che ha di se stessa o che dà di sé
alle altre nazioni), benché non sia chiaro in quale misura. Ed è indubbio che
l’ambiente sociale produce comportamenti individuali: un ungherese su
un’autostrada italiana schiaccia l’acceleratore, un italiano sull’auto in
Ungheria rallenta in prossimità delle strisce; cioè entrambi capovolgono le
loro abitudini fuori dal loro habitat.
Però, per rilevare similitudini o meno, sarebbe più corretto
riferirsi a “usi e costumi” (szokások és
hagyományok) delle due nazioni – pur variabili nel tempo – anziché al
carattere (jellem) o alla personalità
(személyiség).
Infatti, uno studio internazionale – pubblicato nel 2005
sulla rivista Science – dimostra che
non c’è corrispondenza tra elementi di personalità reali e stereotipi nazionali.
Questi ultimi possono dare informazioni su una cultura, ma spesso sono errati e
alimentano pregiudizi negativi.
Nel 2009 l’UE ha messo in mostra a Bruxelles gli
stereotipi nazionali, considerati barriere da abbattere.
Quindi non sembra razionale far derivare il carattere di una
persona dalle caratteristiche della nazione cui appartiene, anche perché spesso
le relative opinioni derivano da stereotipi (sztereotípiák) e pregiudizi (előítéletek)
più che dall’osservazione diretta.
Pregiudizi, e persino stereotipi, sembrano parte
ineliminabile (ma non immodificabile) di ogni cultura.
In quanto necessari: non essendo possibile avere conoscenza
diretta di tutto e di tutti, ciascuno deve basarsi su giudizi espressi da altri
(pre-giudizi, appunto) per fare un
minimo di affidamento su qualcuno.
In quanto utili: nel linguaggio politico come in quello
pubblicitario, nella satira come nelle barzellette, “maschere” o “costumi” (jelmez) consentono facili e immediati
riferimenti a comportamenti collettivi o individuali.
C’è chi ha dedotto il carattere delle persone dalla lingua
che parlano, come il francese Étienne Condillac in un saggio del 1822. E chi,
generalizzando, ha affermato “tale la lingua, tale la nazione”, come il danese
Otto Jespersen nel 1955.
C’è chi si è divertito a disegnare le mappe degli stereotipi, come il designer bulgaro Yanko Tsvetkov che ha prodotto varie
“cartine geografiche” che rappresentano satiricamente i pregiudizi.
Si sono scritti saggi sugli usi e costumi dei popoli.
In parte ancora validi, come nel Discorso
sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani di Leopardi, sul decadimento morale degli
italiani.
In parte obsoleti, come nello Spirito delle leggi di Montesquieu, sulla grande influenza del
clima sul carattere dei diversi popoli.
Oggi il mondo ha bisogno di apprezzare il bello delle
differenze tra le nazioni, i popoli, superando la tradizionale paura dello
straniero. Occorrono strategie di convivenza. Non quella del vecchio
colonialismo europeo, basata sull’assimilazione. E neppure quella del “nuovo
mondo”, basata sulla fusione. Secondo Bruno Mazzara, nel libro Stereotipi e pregiudizi (il Mulino,
1997), serve una strategia di pluralismo culturale, che valorizzi le differenze
come possibile arricchimento del patrimonio culturale complessivo. Tra persone
di diversa cultura bisogna conoscersi meglio, aumentando le interazioni,
sapendo però che – per evitare un possibile aumento delle incomprensioni e
dell’ostilità reciproca – servono relazioni lunghe e approfondite, in un quadro
interpretativo preventivo che inquadri le nuove conoscenze.
L’argomento di questo post, il carattere degli italiani e
quello degli ungheresi, appare dunque tanto inesauribile quanto
indeterminabile.
Ricordo che in Italia non mancano neppure cliché regionali:
siciliani gelosi, abruzzesi e sardi teste dure, milanesi
laboriosi, torinesi aristocratici, liguri avari, bolognesi mangioni, toscani
arroganti, romani volgari, napoletani pigri, ecc.
I luoghi comuni sul popolo italiano (olasz nép) sono innumerevoli. Ne segnalo una sintesi, commentata,
su un sito culturale della Rai (gli italiani cantano, mangiano pasta,
vivono di arte, sono cattolici, devono fare i conti con mafia e terrorismo,
sono appassionati di calcio, bevono il caffè, sono poveri).
Circa i luoghi comuni sul popolo magiaro (magyar nép), spero di avere commenti dai
diretti interessati. Dalle mie poche conoscenze, posso dire che nella società
ungherese ho riscontrato meno ipocrisia e bigottismo che in quella italiana.
Forse perché gli ungheresi hanno avuto, grazie alla lingua, un’identità
originale per circa un millennio e hanno conosciuto la Riforma protestante
(oggi è il 20%, ma nel XVI secolo quasi
tutto il popolo magiaro fu convertito alla fede calvinista o luterana). Invece,
il nostro “bel Paese” ha conosciuto solo la Controriforma.
Posso dire anche che uno stereotipo con cui gli italiani
vedono l’Ungheria – “il paese delle porno-star”, secondo una delle cartine di
Yanko Tsvetkov – è infondato. Deriva forse dalla sovrapposizione impropria di
due diverse immagini: quella delle disinibite donne ungheresi (non, per questo,
di “facili costumi”) e quella dell’ungherese Ilona Staller (in arte
“Cicciolina”), famosa perché negli anni ’80 divenne la prima porno-star al
mondo ad essere eletta in un Parlamento, quello italiano (comunque, la moralità
della Staller appare superiore a quella di molti politici italiani).
Bravo, anche questo post è ben articolato, interessante e molto utile oltre la conoscenza dell'argomento anche contro i pregiudizi, per una corretta visione dei popoli!
RispondiEliminaUna piccola aggiunta in cifre: il quasi tutto il popolo ungherese divenuto protestante fece l'85-90 % della totale popolazione dell'Ungheria cinquecentesca. Il rinnovamento del cattolicesimo, la controriforma iniziarono a cavallo del XVI-XVII...
- Mttb -
Per quanto riguarda la mia esperienza direi che concordo sul definire gli ungheresi orgogliosi. Un orgoglio legato al fatto stesso di essere ungheresi, e cioè un forte senso di appartenenza e di nazionalità. Aggiungerei anche l'amore per la semplicità e le cose fatte in casa... e forse ci sta anche gran bevitori :P
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