Secondo lo scrittore e critico letterario svedese Olof
Lagercrantz , per studiare un testo straniero in profondità lo si deve tradurre
nella propria lingua, ma subito il compito si rivela impossibile, “ci si può
avvicinare al testo, ma non si può mai raggiungerlo”.
Più prosaicamente il tedesco Carl Bertrand, che a fine ‘800
ha tradotto in tedesco la Divina Commedia,
sentenziò: “Le traduzioni sono come le donne. Quando sono belle non sono
fedeli, e quando sono fedeli non sono belle”.
Ancor più drastica una sentenza proverbiale che gioca sulle
parole: “Traduttori: traditori”.
Per Sándor Márai il traduttore (fordító) è un ‘artista ma “è sempre anche uno scrittore mancato”. Il
traduttore è spinto dalla passione e, per vivere, deve fare altri lavori, anche
perché tradurre (fordítani) è
difficile ma ancor più duro è trovare un editore disponibile a pubblicare
l’opera tradotta.
Anche se la correlazione tra lingua e cultura non è ancora
scientificamente definita, un fatto appare certo: tradurre non è un semplice
lavoro di mediazione linguistica ma anche culturale (è la ragione del fallimento
dei traduttori automatici).
Il fondatore della moderna linguistica, Ferdinand de
Saussurre (1857-1913), ha sostenuto che è la cultura a forgiare una parola
(significato e significante). Ciò pone diversi problemi alla “comunità dei
traduttori”, tra cui uno di principio: se ogni lingua codifica i propri
significati sulla base di una specifica esperienza culturale, tali forme
proprie – idiomatiche – sono in senso stretto intraducibili.
Come fare allora per applicare – nella traduzione (fordítás) – il fondamentale principio
del rispetto del vero e del bello in letteratura?
Si tratta, basandosi su una cultura fondata sul rispetto tra
pari, di comprendere le intenzioni dell’opera. Qui sta il “bello e il vero” in
una traduzione, non in quello che piace al traduttore o al lettore, e nemmeno
all’autore. Operazione difficile, che richiede al traduttore capacità di
autocritica e umiltà (l’espressione “parlare come un libro stampato” segnala che occorrerebbe liberarsi di una concezione sacerdotale di chi scrive o traduce).
Il traduttore, infine, deve rendersi trasparente, invisibile
al lettore. È inevitabile però che il suo essere “mediatore culturale” eserciti
un’influenza sul testo. È opportuno quindi avere un atteggiamento critico verso
la traduzione, ma sarebbe anche utile conoscere il lavoro dei traduttori,
oscuro ma prezioso e indispensabile (cosa sarebbe la civiltà umana senza la
circolazione della cultura attraverso la traduzione dei testi?).
I più noti traduttori letterari dall’ungherese all’italiano
a cavallo del 2000 sono indicati dalla ricercatrice universitaria Cinzia
Franchi nel contributo “Tradurre la letteratura ungherese” sulla Rivista di Studi Ungheresi del 2008. Si tratta di docenti o ricercatori universitari - madrelingua o
italiani - o linguisti professionisti (alcuni scomparsi).
Eccone i nomi: Gianpiero
Cavaglià, Marinella D’Alessandro,
Stefano De Bartolo, Eszter De Martin, Cinzia Franchi, Éva Gács,
Alfredo Lavarini, Matteo Masini, Armando Nuzzo, Nóra Pálmai,
Andrea Rényi, Zsuzsanna Rozsnyói, Krisztina
Sándor, Péter Sárközy, Mariarosaria Sciglitano, Beatrice Töttössy, Bruno Ventavoli.
A questo elenco aggiungo: Paolo Santarcangeli, che ha
fondato nel ’65 la Cattedra di Lingua e Letteratura Ungherese dell'Università
di Torino e ha tradotto le poesie di Endre Ady; Antonio Donato Sciacovelli, che ha tradotto tra l’altro La Sorella di Sándor Márai; Laura Sgarioto che – anche con
Krisztina Sándor – ha tradotto altri romanzi di Márai (La donna giusta, Truciolo, Divorzio a Buda).
Ne cito ancora altri, che hanno dato un contributo alla
traduzione, o traducendo testi anche non letterari o occupandosi dei relativi
problemi nei due sensi (ungherese-italiano e italiano-ungherese): Umberto Albini, Sauro Albisani, Federigo
Argentieri, Paolo Agostini, Raffaele Borrelli, Edith Bruck, Carlo Camilli, Gabriella Caramore,
Andrea Csillaghy, Edoarda Dala Kisfaludi, Paolo Driussi, Zsuzsanna Fábián, Nicoletta
Ferroni, Alexandra Foresto, Danilo Gheno, Tomaso Kemény, Irén Kiss,
Katalin Kiss, Márta Köszegi, Zsuzsanna Kovács Romano, Silvia Levi, Andrea Lóki, Maya Nagy, Giorgo Pressburger, Brian
Stefen Paul, Roberto Ruspanti, Margherita Stocco, Gyózó Szabó, Tibor Szabó,
András Szeghy, Melinda Tamás-Tarr Bonani, Paolo
Tellina, Dag Tessore, László Tóth, Éva Törzsök, Imre Várady,
Júlia Vásárhelyi, Nicoletta Vasta, Umberto Viotti.
È possibile conoscere la storia delle traduzioni italiane
delle opere letterarie ungheresi, leggendo l’articolo di Péter Sárközy sulla Rivista di Studi Ungheresi del 2004.
Infine, per approfondire natura e origine della mediazione
culturale (in senso ampio) tra Italia e Ungheria, segnalo gli atti di un
convegno del 2002 a Udine pubblicati dall’”Associazione italoungherese Vergerio”: Hungarica varietas.
Mediatori culturali tra Italia e Ungheria (Edizioni della Laguna, 2004), a
cura di Adriano Papo e Gizella Németh.
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