Tempo fa, in una vacanza in Francia, uno dei miei figli mi mise di fronte all’imbarazzo dell’omofonia tra lingue diverse. Aveva poco più di un anno e iniziava a imparare l’italiano. Se qualcuno lo infastidiva, lanciava il suo anatema appreso al nido: “putoent!”, cioè puzzolente nella sua pronuncia approssimativa. Questa parolina aveva però un suono simile alla parola francese putain (la capisce anche un italiano), e suscitava così nei francesi scandalo o sorrisini ironici.
Tra due lingue diverse, i fraintendimenti causati da parole simili - ma con significato differente - sono oggetto di studio della linguistica. Tali parole sono definite “falsi amici”: hanno grafia o suono simile (omografia e omofonia), ma non lo stesso significato. Succede anche tra italiano e ungherese. Tre parole mi sono rimaste particolarmente impresse.
Kurva è una parola ungherese che ha la stessa pronuncia dell’italiana “curva”: ogni linea che non sia diritta (sulla strada, allo stadio, in un grafico ecc.). Ma in ungherese ha lo stesso significato della parola francese di cui sopra. Cosa pensa un ungherese quando è avvertito che c’è una “curva pericolosa”? Si accorge della parola volgare (durva)?
Csikló si pronuncia come l’italiano “ciclo”, ma in ungherese significa “clitoride”. Parlare a un ungherese di un ciclo di conferenze suscita inevitabilmente ilarità.
Pina si pronuncia come Pino (o aperta), in italiano un albero o un diminutivo di Giuseppe. In ungherese è una parola volgare, che corrisponde all’italiano volgare “fica/figa” (un sinonimo non volgare è punci, pronuncia “puntsi”, dove ts è la z sorda di azione), che definisce l’insieme di vulva e vagina. Ecco, immaginate le reazioni scabrose (o solo divertite) degli ungheresi quando mia madre mi chiamava Pino in Ungheria.
Per non limitarci alle parolaccia (csúnya szó), è possibile approfondire seriamente il tema dei falsi amici tra italiano e ungherese (ad es.: artista, eszpresszó, sztráda ecc.) con lo scritto della studiosa ungherese di linguistica italiana Zsuzsanna Fábián.
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