Perché non c’è ordine nelle frasi in ungherese?
Una delle prime difficoltà degli italiani nel comprendere la lingua ungherese è l’apparente disordine della frase.
Una delle prime difficoltà degli italiani nel comprendere la lingua ungherese è l’apparente disordine della frase.
Effettivamente, nelle lingue dotate di casi (un suffisso aggiunto al nome che identifica se è il soggetto o ha un altro ruolo) l’ordine delle parole è in linea di massima libero.
E l’ungherese ha ben 17 casi (almeno)! Il finlandese ne ha
15, il latino 6 e il tedesco 5.
Una normale frase italiana si costruisce secondo lo schema
SVO: soggetto, verbo, oggetto. L’oggetto in genere è necessario per completare
la frase: in questo ruolo, i nomi rientrano nella categoria dei complementi
(ungh. határozók) e, se indiretti, sono
retti da una parola indipendente: la preposizione (elöljárószó). L’italiano ha 9 preposizioni semplici: a, con, da, di, fra, in, per, su, tra.
Quando si uniscono agli articoli determinativi (sing.: il, lo, la; pl.: i, gli, le),
le preposizioni diventano articolate.
Nella lingua ungherese, invece, il suffisso sostituisce la
preposizione (se questa è accompagnata da un avverbio, in ungherese si usa la
posposizione, névutó). I diversi
ruoli del sostantivo in una frase (mondat)
costituiscono le categorie dei casi. Il caso
(eset) si identifica attraverso una
desinenza o suffisso attaccato dopo la radice nominale (szótő) del sostantivo.
La tabella scaricabile esemplifica la declinazione (ragozás) di un sostantivo nei principali 17 casi (compreso quello nominativo,
senza suffisso; con i casi “discutibili” si arriva a 26). Nel suffisso la
vocale varia (alta o bassa) secondo la regola dell’armonia vocalica (v. post
del 23 dicembre ’13).
Non c’è corrispondenza univoca tra caso e complemento, anche
se a volte si verifica: il caso nominativo è il soggetto; l’accusativo è il
complemento oggetto; il dativo è il complemento di termine ed è uguale al
genitivo, che è il complemento di specificazione; inessivo, adessivo e
superessivo corrispondono ai complementi di stato in luogo; ablativo, delativo,
elativo a quelli di moto da luogo; allativo, sullativo, terminativo, a quelli di
moto a luogo; lo strumentale a quelli di compagnia e di mezzo.
Però, ci sono varie eccezioni. Ad es.: “vivo in Italia”,
ungh. az Olaszországban élek;
ma “vivo in Ungheria”, ungh. a
Magyarországon élek.
Anche se l’ungherese non ha uno schema di costruzione della
frase, ci sono delle regole. Se si vuole mettere l’accento su un nome
(enfatizzare), questo va posto subito prima del verbo, il resto è libero
(mantenendo in gruppo le unità sintattiche; es.: articolo-aggettivo-sostantivo)
e, se fatto di una lunga serie di specificazioni, in ordine inverso rispetto
all’italiano. Altrimenti lo schema comune è quello SOV: soggetto, oggetto,
predicato. Da ricordare che in genere il soggetto, se è un pronome personale
(io, tu, egli/lui/lei/esso, noi, voi, essi/esse/loro; ungh: én, te, ö, mi, ti, ök), si omette,
poiché la coniugazione del verbo identifica già la persona (1°, 2° o 3°,
singolare o plurale).
Troppo complicato? Allora, sapete quanti complementi ha la
lingua italiana?
Quelli principali sono 26 e, considerando quelli secondari,
si superano i trenta. Non esistono i casi, tranne 2 (nominativo e
accusativo/dativo) per i pronomi personali.
L’ungherese ha perciò ha una grammatica più semplice (lo
vedremo anche per i verbi in un prossimo post).
In conclusione, premesso che non ha senso chiedersi se una
lingua è più difficile o facile di un’altra (può essere più vicina o lontana,
quindi più o meno facile da imparare), si può dire che la grammatica ungherese
(magyar nyelvtan) è meno complessa e
più regolare (e regolata) della grammatica italiana (olasz nyelvtan).
NOTA sui suffissi
I suffissi (toldalékok)
si possono suddividere in due categorie.
Il suffisso formativo (képző),
che si aggiunge subito dopo la radice nominale e ne cambia morfologia e
significato; ad es: kert (giardino), kertész (giardiniere), kertészet (giardinaggio).
Il suffisso flessivo, suddiviso in due sottocategorie:
-
marca (jel),
che si aggiunge dopo la radice (e l’eventuale suffisso formativo), e ne
modifica il significato (es.: plurale, possessivo, comparativo, ecc.) ;
-
flessione (rag),
che è il suffisso sintattico segna-caso e va sempre a fine parola (es.:
accusativo); ce ne può essere uno solo, diversamente da képző e jel, che possono
essere più di uno.
Quindi gli eventuali suffissi
necessari vanno aggiunti alla radice nominale in
quest’ordine:
-
szótő + képző
+ jel + rag
Ecco degli esempi di suffissi flessivi che un sostantivo (főnév) acquisisce nei vari casi grammaticali
(il trattino “-“ serve solo a evidenziare la parte aggiunta).
a kívánság
|
il desiderio
|
a kívánság-ok
|
i desideri
|
a kívánság-ot
|
il desiderio (caso accusativo; in italiano: complemento
oggetto)
|
a kívánság-ok-at
|
i desideri (caso accusativo; in italiano: complemento
oggetto)
|
a kívánság-om
|
il mio desiderio
|
a kívánság-om-at
|
il mio desiderio (caso accusativo; in italiano:
complemento oggetto)
|
a kívánság-ai-m-at
|
i miei desideri (caso accusativo; in italiano: complemento
oggetto)
|
Nell’ultimo esempio, dopo la
szótő
(kíván), abbiamo un képző (-ság), due
jel (-ai e -m) e un rag (-at). In ungherese l’articolo è uno
solo: a (az se davanti a vocale).
I suffissi seguono sempre sostantivi, aggettivi e pronomi,
ad eccezione dei pronomi personali, i quali non prendono suffissi. In
quest’ultimo caso, i suffissi stessi – usati come parole indipendenti (senza
varianti) – prendono i suffissi personali possessivi: così essi esprimono sia
la persona e sia la relazione sintattica (v. tabella dei pronomi personali e del possessivo)invece, seguono la
regola generale i pronomi personali formali: Ön/Maga, Önök/Maguk (Lei e Loro).
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