La battaglia di Magenta in un quadro del pittore italo-svizzero Carlo Bossoli |
Però, quando ero bambino la “battaglia di Magenta” era un gioco con filastrocca. Entrare così nell’immaginario popolare, e restarci oltre un secolo, significa un impatto speciale. Quale?
Non poteva essere solo l’esito, positivo per gli italiani, di un episodio ricordato oltretutto con retoriche opposte. Bellica: “Nella fausta ricorrenza del primo centenario della battaglia di Magenta, l’Eminentissimo Cardinale Giovanni Battista Montini, Arcivescovo di Milano, ha inaugurato la facciata di questo tempio eretto in memoria di tutti i soldati gloriosamente caduti”, recita una lapide nella Basilica di Magenta. E antibellica: “Ossa di soldati spenti nella giornata 4 giugno 1859: Francesi, Austriaci, Italiani. Cristiani creati per amarsi, si trucidarono negli orrori della guerra, vittime di superstite barbarie” è scritto sull’ossario di Robecco sul Naviglio.
Probabilmente tale impatto fu conseguenza della grande impressione suscitata nella popolazione e dall’eco internazionale. Secondo il corrispondente di The Times, Nandor Eber, l’impressione dopo la battaglia fu penosa, simile all’Inferno di Dante: “Una carneficina che si estendeva sopra diverse miglia quadrate, duemila morti o morenti sparsi intorno (…) Era uno studio anatomico, anzi uno studio lugubre pel più tetro pittore di orrori. (…) In tutti i punti, ove la pugna era stata più ostinata, … sembravano l’avanzo di una gran fiera di cenci.”
Addirittura, in Francia fu battezzato un nuovo colore, il “Rosso Magenta” (uno dei 4 colori primari usati nella stampa offset), sull’onda del clamore della grande e terribile battaglia: chi dice a ricordo del sangue versato per la vittoria (in totale, oltre 2.000 morti e circa 8.000 feriti), chi del colore dei pantaloni degli zuavi.
In questa seconda guerra d’indipendenza, gli italiani combatterono su entrambi i fronti.
Alcuni inquadrati nell’Esercito Austriaco (ancora nel 1900, alcuni magentini furono decorati con la medaglia coniata per il 50° del regno di Francesco Giuseppe).
Altri – non solo piemontesi, ma tanti volontari tra cui molti lombardi – nell’Esercito Sardo. Anche la popolazione era divisa: specie nelle campagne e tra il clero erano diffusi i cosiddetti “austriacanti”, contrari all’Unità d’Italia.
Alcuni inquadrati nell’Esercito Austriaco (ancora nel 1900, alcuni magentini furono decorati con la medaglia coniata per il 50° del regno di Francesco Giuseppe).
Altri – non solo piemontesi, ma tanti volontari tra cui molti lombardi – nell’Esercito Sardo. Anche la popolazione era divisa: specie nelle campagne e tra il clero erano diffusi i cosiddetti “austriacanti”, contrari all’Unità d’Italia.
È meno noto invece che anche gli ungheresi combatterono nelle fila delle due parti contrapposte.
Molti erano inquadrati con l’Austria, in particolare gli abili cavalieri ussari. Ungherese era addirittura il comandante delle Armate austriache in Italia (nonché Vicerè del regno Lombardo-Veneto), il conte Ferencz Gyulaj.
Ma un buon numero militò anche nell’esercito sardo, soprattutto nella Legione ungherese Klapka (5 battaglioni), formatasi nel giugno 1859, che arrivò a contare circa 3.200 uomini. Si trattava di emigrati, ex soldati o ufficiali nell’esercito ungherese del 1848-49, o disertori dell’esercito austriaco.
Ma un buon numero militò anche nell’esercito sardo, soprattutto nella Legione ungherese Klapka (5 battaglioni), formatasi nel giugno 1859, che arrivò a contare circa 3.200 uomini. Si trattava di emigrati, ex soldati o ufficiali nell’esercito ungherese del 1848-49, o disertori dell’esercito austriaco.
Insomma, amor patrio e libertà accomunarono nel Risorgimento italiani e ungheresi che volevano ottenere l’indipendenza e la libertà dagli Asburgo.
Già nel 1849 una Legione italiana di 1.100 soldati comandata dal colonnello Alessandro Monti aveva combattuto in Ungheria. Allo stesso tempo, due legioni ungheresi si formarono in Italia per partecipare alla prima guerra d’indipendenza. Una di 110 soldati guidati da István Türr in Piemonte, l’altra di 60 uomini – costituita a Savona nel 1848 – comandata da Lajos Winkler a Venezia.
E nel 1860 al seguito di Garibaldi gli stranieri più numerosi furono gli ungheresi (circa 350), assieme ai francesi.
Ma l’ungherese più importante in Italia, durante il Risorgimento, fu Lajos Kossuth. Guidò la rivoluzione ungherese del 1848 e l’anno dopo fece proclamare dall’Assemblea l’indipendenza dell’Ungheria e la decadenza degli Asburgo. Quando la rivoluzione fu stroncata dall’esercito russo e dalla repressione austriaca, Kossuth andò in esilio in varie città europee (gli ultimi decenni della sua vita li trascorse a Torino), diventando capo dell’emigrazione politica magiara e coltivando i rapporti con i movimenti indipendentisti ungherese, polacco e italiano. Il suo obiettivo era l’indipendenza dall’Austria dei popoli danubiani, legando la questione magiara a quella dell’indipendenza e unità italiane. In tal senso, e con l’aiuto di altri ungheresi (György Klapka, Lázló Teleki, Ferencz Puiszky ecc.), cercò accordi con la Francia e il Piemonte, ed ebbe contatti con Garibaldi per preparare uno sbarco in Dalmazia. In particolare, nel 1859 promosse la costituzione della legione ungherese, di stanza ad Acqui e a Genova, che dall’Italia doveva dirigersi in Ungheria (nello stesso anno un Reggimento di ussari, guidati da Gregory Bethlen, si formò a Piacenza). L’obiettivo fallì, ma nel 1866 l’Impero Austriaco dovette concedere una costituzione ed istituzioni liberali, pattuire una parificazione (in tedesco Ausgleich) con i magiari, e il nome dello Stato cambiò in Austria-Ungheria a seguito di un accordo di compromesso (in ungherese Kiegyezés) nel 1867.
Altri ungheresi di spicco in Italia furono i comandanti della “Brigata Eber” istituita da Garibaldi in Sicilia nel 1860: il citato Nandor Eber e Lajos Tüköry (che morì nell’assalto di Palermo). E ancora István Türr, distintosi nella spedizione dei Mille (fu protagonista a Talamone, dove i garibaldini si impossessarono di armi, e poi governatore di Napoli). Anche nella terza guerra d’indipendenza (1866), Türr fu con Garibaldi, che lo incaricò di preparare una nuova insurrezione in Ungheria, senza seguito per il mutato quadro politico. Fu nominato aiutante di campo onorario di Vittorio Emanuele II e nel 1888 gli fu accordata la cittadinanza italiana.
Gustáv Frigyesy, Daniel Ihasz, Adolf Magyarody, Sándor Teleki furono altri ufficiali ungheresi tra i garibaldini.
I francesi sopportarono il peso maggiore della battaglia e per ricordarla fondarono Ville de Magenta, sulla Marna. Il Comune di Magenta è gemellato con questo piccolo comune della Champagne dal 2009.
Sarebbe una bel gesto se Magenta – per rinsaldare il legame risorgimentale che ha visto affratellati italiani e ungheresi per libertà e pace – si gemellasse con una città ungherese, magari per il 155° anniversario della battaglia.
Un’idea analoga venne al Prevosto Don Cesare Tragella, a Magenta dal 1884 al 1910. Egli avrebbe voluto dedicare nella Basilica una cappella espiatoria per tutti i soldati morti nella battaglia di Magenta, ma opportunità della Chiesa glielo impedirono. In particolare, pensava alla cappella della Madonna (dal 1911 chiamata Madonna del Rosario), rappresentata come “Regina della Pace”. Essa e Gesù bambino porgono due piccole medaglie ungheresi, su una delle quali c’è scritto: Sancta Maria Mater Dei Patrona Hungariae, Santa Maria Madre di Dio Patrona d’Ungheria.
LETTURE
§ Mario Comincini, L’Est Ticino e il 1859, inCURIA PICTA 2009
§ Attilio Vigevano, La legione ungherese in Italia (1859-1867), Libreria dello Stato 1924
§ Ufficio Storico del Comando del Corpo di Stato Maggiore, La guerra del 1859 per l’indipendenza d’Italia, Roma 1910
INTERNET
L’eco della Battaglia nella Basilica di Magenta